• Mondo
  • Lunedì 14 maggio 2018

Chi era l’attentatore di Parigi

L'uomo che sabato sera ha ucciso una persona era schedato dall'antiterrorismo francese, perché considerato violento e pericoloso

Un foro di proiettile in una vetrina di Parigi, vicino al luogo dell'attacco (ERIC FEFERBERG/AFP/Getty Images)
Un foro di proiettile in una vetrina di Parigi, vicino al luogo dell'attacco (ERIC FEFERBERG/AFP/Getty Images)

Sabato sera un uomo di una ventina d’anni armato di un coltello ha attaccato diverse persone in una zona molto frequentata di Parigi vicino alla metropolitana Quatre-Septembre, a una decina di minuti a piedi dal teatro dell’Opera. L’uomo, che è stato poi identificato dalla polizia come Khamzat Azimov, cittadino francese nato in Cecenia, ha ucciso una persona e ne ha ferite altre quattro, prima di essere ucciso a sua volta dalla polizia. Il procuratore generale di Parigi, François Molins, ha detto che durante l’attacco Azimov ha urlato “Allahu Akbar”. Poco dopo lo Stato Islamico (o ISIS) ha rivendicato l’attentato tramite un comunicato diffuso da Amaq, l’agenzia di stampa semi-ufficiale del gruppo terroristico.

Negli ultimi due giorni diversi quotidiani francesi hanno aggiunto informazioni su Azimov, citando per lo più fonti di sicurezza vicine alle indagini. Si sa che Azimov era nato in Cecenia nel 1997 e nei primi anni Duemila era arrivato in Francia insieme ai suoi genitori. Era cresciuto a Nizza e poi si era trasferito a Strasburgo, dove è presente da diversi anni una comunità numerosa di ceceni. Nel 2004 lui e la sua famiglia ottennero lo status di rifugiati politici e sei anni dopo sua madre divenne cittadina francese, permettendo anche ad Azimov di essere naturalizzato francese (la richiesta del padre, invece, fu rifiutata).

Khamzat Azimov, in una foto ottenuta da AP da una fonte che ha voluto rimanere anonima (AP Photo)

I genitori di Azimov, che hanno continuato a vivere a Strasburgo, sono stati fermati e interrogati dalla polizia dopo l’attacco, ma per il momento non è emersa alcuna prova di un loro possibile coinvolgimento. Secondo fonti di polizia citate da Le Figaro, i genitori sarebbero persone molto povere «completamente sopraffatte» dall’attacco terroristico compiuto dal figlio.

Nonostante Azimov non avesse precedenti penali, era tenuto d’occhio da tempo dall’antiterrorismo, che lo scorso anno lo aveva convocato per un interrogatorio: le forze di sicurezza avevano scoperto che era in contatto con un uomo la cui moglie era andata in Siria, e nel gruppo di persone che frequentava c’erano due ceceni già sotto la sorveglianza dell’intelligence. Non si sa ancora come e quando Azimov si fosse radicalizzato. Si sa che era stato schedato dall’antiterrorismo francese perché considerato potenzialmente violento e pericoloso. Il suo nome era finito nella lista Sûreté de l’État, più nota con la sigla “S”, cioè quella schedatura di cui in Francia sono oggetto le persone ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato (in totale sono circa 20mila, di cui 12mila schedate per radicalismo islamista). Azimov era stato inserito anche nel registro “Fichier des signalements pour la prévention de la radicalisation à caractère terroriste” (Fsprt), quello che include le persone già radicalizzate e potenzialmente violente.

L’attentato di Parigi è stato compiuto meno di due mesi dopo l’attacco di Trèbes e Carcassone, nel sud della Francia, nel quale erano state uccise quattro persone. Anche in quella circostanza l’attentatore era un uomo conosciuto dall’antiterrorismo e inserito nel registro Fsprt delle persone potenzialmente pericolose. La questione, ha scritto Libération, è che negli ultimi anni i grandi attentati pianificati dai vertici dello Stato Islamico in Francia sono stati sostituiti con attacchi più piccoli e compiuti con mezzi limitati (veicoli sulla folla, coltelli, eccetera). Patrick Calvar, ex direttore dei servizi segreti interni francesi, ha definito questo tipo di terrorismo “low-cost”. Per l’intelligence è diventato molto più difficile sorvegliare in maniera continuativa questi nuovi terroristi, che spesso sono inseriti nei registri dell’antiterrorismo ma in fasce di pericolosità non così elevate da giustificare azioni di polizia preventive.