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  • Giovedì 15 marzo 2018

Quali conseguenze avrà il caso della spia russa avvelenata?

Meno di quanto sembri dai toni di questi giorni: la tensione è stata "dopata" da eventi slegati dall'attacco e non porterà a scontri irreparabili

Vladimir Putin (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)
Vladimir Putin (KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)

Da giorni è in corso uno scontro diplomatico rumoroso e intenso tra Regno Unito e Russia con al centro Sergei Skripal, ex spia russa che per anni aveva passato informazioni ai servizi segreti britannici. Skripal è stato trovato accasciato su una panchina della città inglese di Salisbury il 4 marzo, insieme a sua figlia, dopo essere stato avvelenato con un agente nervino probabilmente prodotto in Russia. Il governo britannico guidato dalla prima ministra Theresa May ha già approvato diverse misure per rispondere a quello che considera un attacco proveniente dalla Russia e ha ottenuto l’appoggio degli alleati in una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il governo russo ha promesso a sua volta ritorsioni – «dobbiamo reagire rapidamente», ha detto la speaker del Senato russo – e i giornali di mezzo mondo si sono chiesti se tutto questo non fosse l’inizio di una nuova Guerra fredda.

Nonostante i toni allarmistici degli ultimi giorni, la crisi diplomatica tra Regno Unito e Russia – e di conseguenza tra Occidente e Russia – non porterà probabilmente a nessuno scenario irreparabile di scontro. Quella che si sta vedendo in questi giorni sembra essere per lo più una situazione di tensione, ma “dopata” da almeno due cose: la debolezza del governo May e le imminenti elezioni presidenziali in Russia.

La prima cosa da considerare è che la prima ministra May, conservatrice, guida un governo di minoranza piuttosto debole e consumato dai complicati negoziati su Brexit. «Una crisi di sicurezza internazionale è un’opportunità che May non può permettersi di perdere», ha scritto il giornalista Tom McTague su Politico. May è riuscita nel giro di due giorni a ottenere l’appoggio della stragrande maggioranza dei parlamentari britannici – una cosa particolarmente rara di questi tempi – ordinando l’espulsione dal Regno Unito di 23 diplomatici russi considerati spie sotto copertura, sospendendo le relazioni bilaterali di alto livello e annunciando un’altra serie di ritorsioni minori. La sua decisione è stata appoggiata anche dal Partito nazionale scozzese, dai Liberal-democratici e da molti Laburisti, il principale partito di opposizione nel paese. È stata osteggiata solo da Jeremy Corbyn, leader dei Laburisti e molto di sinistra, che ha messo in dubbio la responsabilità della Russia in tutta questa storia e che ha avviato l’ennesimo dibattito interno al Partito laburista, da tempo molto diviso.

Nonostante la reazione del governo May all’avvelenamento di Skripal sia stata a parole furiosa, e nonostante gli annunci roboanti fatti nel Parlamento britannico, le misure prese finora dal Regno Unito sono state molto contenute. Per esempio non sono stati toccati i beni, gli investimenti e le proprietà dei ricchi imprenditori russi nel Regno Unito e non si è discusso seriamente di un rafforzamento delle sanzioni internazionali contro il circolo ristretto dei collaboratori di Putin, unica misura che secondo molti analisti possa davvero avere qualche efficacia.

Avviare un qualche tipo di azione internazionale non sembra però nelle capacità del governo britannico, almeno per ora. Con i negoziati su Brexit in corso, il peso del Regno Unito nelle istituzioni europee si è ridotto parecchio, senza contare che in tutta Europa stanno emergendo forze politiche populiste non particolarmente ostili nei confronti della Russia, come hanno dimostrato anche le ultime elezioni italiane (per approvare nuove sanzioni dell’UE contro la Russia ci vuole l’unanimità di tutti gli stati membri). Eventuali ritorsioni decise in sede ONU sembrano altrettanto improbabili: la Russia è un membro permanente con potere di veto al Consiglio di Sicurezza – organo incaricato di approvare le sanzioni internazionali – e ha quindi la capacità di bloccare qualsiasi iniziativa politica ed economica rilevante decisa dalle Nazioni Unite che sia contraria ai suoi interessi.

C’è poi la questione della posizione degli Stati Uniti. Ieri si è tenuta una riunione convocata d’urgenza al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella quale Nikki Haley, ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, si è schierata senza mezzi termini dalla parte del governo May: «La Russia è responsabile dell’attacco fatto contro due persone nel Regno Unito usando un agente nervino». Quella espressa da Haley, ha detto Thomas Wright del centro studi Brookings Institution, è però solo una delle due strategie di sicurezza portate avanti in parallelo dal governo americano: è quella ufficiale, internazionalista e che si basa sul sistema di alleanze costruite finora dagli Stati Uniti (con l’Europa e all’interno della NATO, soprattutto). Ma c’è anche una strategia molto più imprevedibile, quella del'”America First” – l’America prima di tutto – introdotta da Trump e basata su idee nazionaliste, filo-russe e isolazioniste. Le due strategie non hanno niente da spartire, ma il fatto che coesistano rende molto più difficile capire quale potrebbe essere la reazione dell’amministrazione americana di fronte a un evento di questa portata. Insomma: il governo britannico può contare sull’appoggio degli Stati Uniti, ma non ciecamente e probabilmente con molti limiti.

L’agitazione che si è creata attorno alle accuse contro la Russia per l’avvelenamento dell’ex spia Skripal è legata anche alle imminenti elezioni presidenziali russe, che si terranno domenica. Putin è sicuro della vittoria – non c’è stata nemmeno una vera campagna elettorale – ma arrivare al voto con una crisi internazionale da poter sfruttare a proprio vantaggio sarebbe anche per lui un’opportunità unica che potrebbe aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi: 70 per cento di affluenza e 70 per cento di voti. Le accuse mosse alla Russia dal governo britannico, ha scritto Andrew Higgins sul New York Times, non hanno fatto altro che alimentare l’idea promossa da Putin negli ultimi anni, cioè che la Russia è una specie di fortezza assediata, minacciata costantemente da nemici esterni e interni ai suoi confini.

La strategia russa per il momento sembra avere funzionato. L’inviato del Guardian a Mosca, il giornalista Andrew Roth, ha raccontato che per le strade della capitale l’idea più diffusa è quella ribadita dal governo e dalla televisione nazionale: cioè che la Russia non c’entri nulla con l’attacco e che sia l’obiettivo ingiustificato della rabbia occidentale. Non sembra nemmeno che il governo russo si aspetti di subire gravi conseguenze dalle misure prese e annunciate dal Regno Unito. Durante la riunione straordinaria di mercoledì del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vasily Nebenzya, ha risposto alle accuse del governo britannico con prese in giro e parecchio sarcasmo: per esempio ha accusato il governo del Regno Unito di agire come l’ispettore Lestrade, il detective dei romanzi di Arthur Conan Doyle costantemente messo in ombra dall’intelligenza e acutezza di Sherlock Holmes.

In altre parole, l’impressione è che tutta questa storia dell’avvelenamento dell’ex spia russa non porterà a nessuna grave conseguenza, almeno dal punto di vista delle relazioni internazionali. Potrebbe avere però effetti su altri piani, che comunque non sono da sottovalutare: potrebbe rafforzare la posizione di May, almeno nel breve periodo, aumentare la pressione all’interno dell’amministrazione Trump per definire una strategia di sicurezza meno ubriaca e potrebbe paradossalmente andare a vantaggio della popolarità di Putin in Russia. Di certo non aiuterà i rapporti tra Occidente e governo russo, già molto incrinati negli ultimi anni, e diminuirà il livello di fiducia reciproca, uno degli elementi più importanti su cui si basano le relazioni tra stati.