Il programma di Liberi e Uguali per le elezioni del 2018

Tutte le proposte e le promesse della lista guidata da Pietro Grasso in vista delle elezioni politiche del 4 marzo

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Il programma politico di Liberi e Uguali, la lista di sinistra guidata dal presidente del Senato Pietro Grasso, è disponibile da qualche tempo sul sito della lista. Liberi e Uguali è un cartello elettorale: ne fanno parte diversi partiti – Sinistra Italiana, MDP, Possibile – ma non è una coalizione. I titoli dei vari paragrafi dicono molto sul programma stesso: ci sono per esempio “Uguaglianza nei diritti”, “Fisco equo e progressivo”, “Dignità e diritti per i lavoratori”, e così via.

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Introduzione

Il progetto di Liberi e Uguali nasce per restituire speranza nella democrazia a milioni di cittadine e cittadini che oggi non si sentono più rappresentati da nessuno.Vogliamo radicare questo progetto nella società italiana per riaprire una prospettiva di governo di segno autenticamente progressista.

La crescita delle diseguaglianze è oggi il principale fattore di crisi dei sistemi democratici. La lunga crisi, assieme a un processo di globalizzazione non regolato, ha enormemente accresciuto le diseguaglianze, ha svalutato il lavoro e compresso i suoi diritti, ha costretto alla chiusura tante piccole e medie aziende, ha condannato i giovani a una disoccupazione di massa e una precarietà endemica, ha indebolito l’istruzione, la sanità e la previdenza pubbliche, ha colpito il ceto medio e ha allargato l’area di povertà e di insicurezza sociale. Il progetto di Liberi e Uguali nasce per contrastare queste tendenze, riaffermando l’attualità del modello sociale ed economico disegnato dalla Carta costituzionale.

Vogliamo riportare l’istruzione, il lavoro e l’ambiente al centro della nostra vita sociale.

L’attacco all’autonomia e alla qualità della scuola e dell’università pubblica ha indebolito l’istruzione pubblica quale luogo dove formare cittadini e cittadine con spiriti e menti libere, in grado di affrontare le sfide sociali e professionali del nuovo millennio. Ricrearlo è il nostro primo pilastro.

Il lungo ciclo della precarizzazione ha permesso alle imprese di non affrontare il nodo della stagnazione della produttività, ha compresso i salari, ha accresciuto la disoccupazione, ha dequalificato una parte importante del nostro apparato produttivo e ha portato la precarietà nella vita quotidiana delle persone. Invertire questo processo è il nostro secondo pilastro.

La tutela dell’ambiente deve diventare il cardine e il principio ordinatore di una nuova politica economica, industriale e dell’innovazione. La conversione ecologica dell’economia è il terzo pilastro su cui si fonda la nostra casa.

Una sanità pubblica moderna ed efficiente, un sistema delle pensioni rispettoso dei diritti e delle differenze, l’equità e la progressività del sistema fiscale, la lotta all’evasione fiscale, una giustizia celere, un sostegno reale all’innovazione tecnologica, la valorizzazione del patrimonio culturale, la tutela e la messa in sicurezza del territorio sono gli altri tasselli essenziali di un progetto di ricostruzione dello Stato democratico e della sua insostituibile funzione economico-sociale.

La riaffermazione di diritti sociali primari è essenziale anche per aprire il campo a una nuova stagione di avanzamenti sul terreno dei diritti civili. Strategia indispensabile anche per difendere principi irrinunciabili in materia di accoglienza e integrazione.

La piena affermazione a tutti i livelli della libertà, della pari dignità e delle pari opportunità, individuali e sociali, delle donne è un punto fondante del nostro progetto di attuazione integrale della Costituzione repubblicana e del suo cuore pulsante, l’articolo 3, così come lo è la prevenzione e il contrasto della violenza di genere.

Il ripudio della guerra e il rilancio del multilateralismo e della cooperazione internazionale devono essere la bussola di un nuovo ruolo dell’Italia e dell’Europa nel mondo globale, in un quadro ancora drammaticamente segnato da conflitti, terrorismo e grandi fenomeni migratori.

La nostra è una scelta chiaramente europeista ma vogliamo combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo. Vogliamo un’Europa più giusta, più democratica e solidale. Occorre superare la dimensione intergovernativa che detta i doveri e non garantisce i diritti con politiche di dura austerità. Vogliamo dare maggiore ruolo al Parlamento europeo che elegga un vero governo delle cittadine e dei cittadini europei affinchè possano tornare ad abitare la loro casa.

Il cambiamento e la discontinuità rispetto alle politiche degli ultimi anni costituiscono l’elemento fondamentale di questa visione, che ambisce a radicarsi in maniera stabile nella società italiana. Non mille promesse ma progetti che servono, scritti bene, da fare meglio. Un lavoro ben fatto. La politica che ritrova il suo ruolo di servizio a favore dei cittadini.

Per questo Liberi e Uguali partecipa alle elezioni politiche con una proposta autonoma e alternativa ai partiti esistenti, con una lista che è il primo passo verso la costruzione di un nuovo soggetto politico comune delle forze progressiste, civiche e di sinistra nel nostro paese.

Istruzione e ricerca: al primo posto.
Da anni siamo collocati agli ultimi posti in Europa per investimenti nel settore. Eppure, tra mille difficoltà, la scuola ha saputo affrontare sfide enormi, come quella dell’inclusione.

Dobbiamo cancellare la logica della cosiddetta “Buona scuola” e ripartire da una scuola che si fa comunità educante, che si dà l’obiettivo fondamentale di contrastare la dispersione scolastica e di creare condizioni di uguaglianza sostanziale. Una scuola ancorata ai principi costituzionali, rendendola realmente gratuita, riqualificando e ampliando il “tempo scuola”, moltiplicando l’offerta pubblica di nidi, rendendo universale la scuola dell’infanzia.

Solo una scuola felice e piena di dignità può essere buona.

Una scuola che funzioni davvero, dove gli insegnanti siano persone fiere del loro lavoro e restituiscano ai nostri figli il meglio di loro stessi. Una scuola povera, senza mezzi, con insegnanti mortificati costruisce – al di là del valore dei singoli – una società frantumata e rancorosa in cui la lotta tra poveri inizia tra i banchi di scuola perchè non tutti possono permettersi di pagare le attività sportive, culturali, ricreative, la mensa, i materiali didattici.

E’ necessario riconoscere la dignità e il valore della funzione degli insegnanti, stabilizzando i precari attraverso un piano pluriennale, dando risposte a chi (vittima di un algoritmo impazzito) ha subito una mobilità inutile e dannosa, adeguando gli stipendi di docenti e personale Ata agli standard europei.

L’alternanza scuola-lavoro è da rivedere completamente con il riconoscimento della volontarietà dell’adesione, dando agli studenti strumenti per comprendere il mondo del lavoro e portarvi elementi di innovazione, spirito critico, autonomia intellettuale.

Serve un piano per l’edilizia scolastica in linea con il progetto di conversione ecologica.

Nel corso dell’ultimo decennio si è assistito al continuo sotto-finanziamento del sistema universitario e della ricerca pubblica, accompagnato dal crollo delle immatricolazioni: l’Università diventa sempre di più un club per pochi. Contestualmente, gli enti pubblici di ricerca hanno subito una razionalizzazione selvaggia, un’esplosione del precariato in spregio all’utilità strategica di molti istituti.

È irrinunciabile un investimento sul diritto allo studio e sulla progressiva gratuità dell’accesso a partire dall’abolizione delle tasse universitarie, sull’effettivo sostegno con borse di studio e residenze per gli aventi diritto, sulla qualità dell’insegnamento, sulla valorizzazione di professori e ricercatori, sulla stabilizzazione dei precari dell’Università e del sistema pubblico di ricerca, sulla valutazione seria della ricerca definendo nuovi criteri e finalità della valutazione dei singoli e delle istituzioni. Strumenti strutturali per la ricostruzione di un sistema universitario e della ricerca pubblica all’avanguardia e diffuso lungo tutta la penisola.

Il lavoro. Quello buono.
Dopo dieci anni di recessione, l’Italia è un paese più povero, ma soprattutto molto più diseguale. La diseguaglianza nei redditi, già molto marcata nel nostro paese, ha continuato a crescere negli anni della crisi, e la ricchezza è concentrata in poche mani: secondo Oxfam Italia, l’1% dei più ricchi possiede, da solo, il 25% della ricchezza nazionale. E’ uno scandalo a cui porre rimedio, oltre che una delle cause principali di una crescita debole e disomogenea.

La via maestra per la redistribuzione di redditi e ricchezza è quella verso la piena e buona occupazione, da stimolare attraverso un piano straordinario di investimenti necessari per rimettere in piedi il Paese. Un Green New Deal, che apra la strada alla riconversione ecologica dell’economia, intervenendo prioritariamente su: messa in sicurezza del territorio, delle scuole, degli ospedali, degli edifici pubblici e delle abitazioni; energie alternative, risorse idriche, istruzione, sanità, trasporto pubblico, cultura, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ricerca. Sono tutti investimenti ad alto moltiplicatore, cioè in grado di generare una crescita economica, e quindi una occupazione, molto più elevata rispetto agli sgravi fiscali o ai trasferimenti monetari.

Crediamo sia inoltre necessario un reale sblocco del turnover nella Pubblica Amministrazione, nei comparti di sanità, scuola, università, servizi sociali e sicurezza, superando situazioni di precarietà ormai croniche e assumendo giovani con le competenze di cui la Pubblica amministrazione oggi è più carente.

Dignità e diritti per tutti i lavoratori
L’obiettivo della piena occupazione deve coniugarsi con quello della dignità e dei diritti del lavoro. Da troppi anni il ricatto della precarietà ha eroso la civiltà del lavoro e la qualità della vita dei singoli cittadini portando i salari a livelli tanto bassi da essere nocivi per la stessa crescita dell’economia.

È quindi necessario intervenire con decisione, superando il Jobs Act e tutte le forme contrattuali che alimentano il peggiore sfruttamento.

La nostra proposta è tornare a considerare il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18 (che oggi continua a valere solo per gli assunti prima del Jobs Act e per i dipendenti pubblici), come la forma prevalente di assunzione. Ad esso possono affiancarsi il contratto a tempo determinato e il lavoro in somministrazione, esclusivamente con il ripristino della causale, che giustifichi la necessità di un’assunzione a scadenza.

Va superata, di conseguenza, la giungla di forme contrattuali precarie introdotte nell’ultimo ventennio, che decreto Poletti e Jobs act hanno contribuito a rafforzare.

Occorre invece disciplinare, nell’ottica di tutela del lavoratore, le nuove forme di lavoro, come quelle con le piattaforme, per le quali manca un inquadramento giuridico certo, perché stanno potenzialmente a cavallo fra il lavoro subordinato e quello autonomo; riformare la normativa sull’assegnazione degli appalti; rafforzare l’ispettorato del lavoro per contrastare l’uso illecito di manodopera, la diffusione di finti contratti part-time.

Va comunque affermato il principio per cui nessuna forma di prestazione può essere svolta in modo gratuito o sottopagata rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali..

Puntiamo ad annullare il divario salariale tra uomini e donne, ad introdurre misure strutturali di sostegno alla genitorialità.

Pensiamo sia giusto ridiscutere quegli accordi internazionali che antepongono la finalità del libero scambio alla tutela dei consumatori e dei diritti dei lavoratori e affrontare il tema della rivoluzione 4.0, che comporterà una riduzione dell’occupazione e un mutamento dei settori produttivi del secondario e del terziario, che va governato considerando in primo luogo il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Quel grande piano verde
Abbiamo di fronte una grande transizione fatta di cambiamenti climatici divenuti ormai una costante minaccia anche a causa dello stato di colpevole fragilità in cui versano territorio, costruzioni, infrastrutture oltre ad essere alla base di guerre, violenze, carestie, migrazioni e nuove disuguaglianze. Dobbiamo rendere di nuovo l’Italia un luogo di capace di anticipare e accelerare le trasformazioni.

Il settore strategico, capace di intervenire su tutte le dimensioni della transizione, è la conversione ecologica dell’economia, capace di liberare l’enorme potenzialità per il rilancio di eccellenze industriali italiane, per la creazione di posti di lavoro diffusi, stabili, per la promozione delle economie sane in grado di produrre più risorse di quante vengano sottratte, in termini ambientali e sociali.

Per tutto questo, serve un Grande Piano Verde che contenga visione e strategia per puntare senza più indugi verso una totale decarbonizzazione del nostro paese e per passare dall’economia lineare a quella circolare: strategia “rifiuti zero”, riduzione dei consumi e in particolare di quelli energetici, radicale efficientamento di casa, mobilità e trasporti, e la contestuale conversione dei consumi residui verso uno scenario al 100% rinnovabile entro il 2050. Un obiettivo che si innesca sia agendo opportunamente sulla leva fiscale per esempio attraverso l’introduzione di una carbon-tax, sia investendo in programmi di efficientamento energetico, sia liberando le energie rinnovabili dalle norme fossili che le imbrigliano e, permettendo così alle imprese di guadagnare in competitività e alle famiglie di liberare risorse per altri consumi e investimenti.

Operare per il superamento della dipendenza dalle energie fossili significa, anche, costruire un modello di “democrazia energetica” che favorisca l’autoproduzione di energia pulita, in cui i cittadini e le comunità siano sempre di più consumatori, produttori e distributori di energia, riducendo così lo strapotere economico e geopolitico degli oligopolisti che oggi controllano nel mondo il settore energetico e spesso agiscono senza riguardo per i diritti umani e per l’ambiente.

Occorre poi reindirizzare gli ingenti sussidi statali attualmente diretti al sostegno di attività dannose per l’ambiente verso interventi virtuosi per la rigenerazione delle nostre città, per imporre un definitivo stop al consumo di suolo urbano e agricolo, per varare un piano di tutela e promozione del capitale naturale del nostro paese, per intervenire seriamente sulla riduzione degli impatti del mondo agricolo e dell’allevamento, per pianificare ed attuare le bonifiche dei territori devastati da attività industriali dissennate e dalla diffusione di manufatti in amianto, per migliorare la qualità dell’aria partendo da un forte potenziamento dei trasporti pubblici urbani e pendolari su ferro e dei sistemi logistici intermodali nonché per un programma strutturale per la conversione dell’industria pesante ed inquinante.

Immaginiamo la creazione di una sorta di sala verde, una cabina di regia da convocarsi in modo permanente per la concertazione e la programmazione e che non consenta mai più, ad esempio che possa vararsi una Strategia Energetica Nazionale per il 2030, senza che essa sia coerente e coordinata con la strategia per il Clima al 2050. Che serva a delineare sia un grande piano di investimenti pubblici (diametralmente opposti alla logica delle grandi opere), sia una vera “bonifica” normativa per rimuovere gli ostacoli che impediscono la libera iniziativa sana in campo economico e produttivo, a cominciare dalla burocrazia e dalle sue scadenze. Nel segno della più totale trasparenza, della legalità, della qualità, del rispetto delle peculiarità e vocazioni dei territorio e anche dell’innovazione ambientale.

Questa prospettiva rappresenta per l’Italia uno speciale valore aggiunto perché consente di valorizzare, di più e meglio, ricchezze e talenti tipicamente italiani: la bellezza de nostri luoghi, la creatività della nostra tradizione artigianale che ha fatto grande il made in Italy, l’eccellenza qualitativa del lavoro italiano. Una nuova economia capace di superare l’odierna organizzazione dei mercati e la dicotomia “profit- non profit”, dunque aperta al ruolo fondamentale della cittadinanza attiva e delle imprese responsabili.

Dobbiamo costruire nuove relazioni con i mondi che ci circondano: per il benessere animale, contro la caccia in deroga, per la promozione della biodiversità, per comportamenti più salubri, per ridurre l’impronta ecologica, per tutelare la natura e quindi noi stessi.

Una distribuzione più equa del carico fiscale
Il dettato costituzionale e un’economia che funzioni per tutti ci impongono scelte che vadano nella chiara direzione della redistribuzione della ricchezza e del sostegno ai redditi da lavoro.

C’è domanda di equità, da garantire attraverso un fisco più giusto, la lotta all’evasione fiscale e all’elusione fiscale perché sottraggono al bilancio dello Stato risorse fondamentali per l’erogazione dei servizi pubblici e per il Welfare. La questione fiscale è una grande questione di giustizia.

La base imponibile dell’Irpef è costituita in larga parte da redditi di lavoro e pensione. Bisogna alleggerire il peso di questa imposta partendo dalla riduzione dell’aliquota del primo scaglione in modo da concentrare gli sgravi soprattutto sui redditi bassi e medi. Gli scaglioni di reddito devono essere più stretti e le aliquote più progressive (può essere preso in considerazione anche il modello tedesco di Irpef graduata secondo una funzione matematica continua). Ogni ipotesi di imposta piatta o con poche aliquote va invece respinta perché beneficia i più abbienti colpendo i ceti medi. Occorre ritornare a sistemi di progressività effettiva, rispettando la previsione dell’art. 53 della Costituzione.

Le detrazioni per carichi familiari vanno unificate con gli assegni familiari in uno strumento unico di sostegno alle famiglie, da estendere anche ai lavoratori autonomi, in modo da superare il problema dell’incapienza (che riguarda circa 10 milioni di contribuenti che non possono beneficiare di alcuna detrazione fiscale perché già hanno un’imposta pari a zero).

Dall’altro lato i tanti prelievi esistenti sui redditi da capitale e sul patrimonio mobiliare e immobiliare (imposte sostitutive, Imu, imposta di bollo sulle attività finanziarie) possono essere eliminati e sostituiti da un’imposta unificata con aliquota progressiva e minimi imponibili adeguati, che lascino esenti i patrimoni inferiori alla media, in modo che anche il capitale, oltre al lavoro, contribuisca al finanziamento del welfare e della spesa pubblica. Contestualmente va fortemente ridotta l’imposta di registro.

Deve essere introdotta, possibilmente a livello europeo, una vera imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax) e va sostenuta la proposta europea di una tassazione sui profitti delle multinazionali, che impedisca loro di sfuggire all’imposizione nei paesi in cui realizzano i loro profitti. Nel frattempo va introdotta una vera web tax sui beni e servizi commercializzati via web da imprese multinazionali non residenti in Italia.

Una lotta senza tregua all’evasione fiscale deve andare a beneficio di chi le tassa le paga fino all’ultimo centesimo: la lotta all’evasione si fa utilizzando le nuove tecnologie, secondo proposte da tempo sul tappeto con le quali è possibile recuperare in pochi anni almeno 50 miliardi da utilizzare per ridurre le tasse.

Si deve inoltre prevedere uno specifico piano di azione, da coordinare a livello europeo e internazionale, contro l’elusione fiscale delle grandi multinazionali, soprattutto se in rapporto con paradisi fiscali, per una rigida interpretazione delle norme sulla trasparenza degli assetti proprietari, per la reintroduzione del reato penale di elusione.

In un’epoca segnata da grandi progressi sul piano dell’automazione e della robotizzazione riteniamo ineludibile affrontare il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Poichè il sistema di welfare si basa prevalentemente sul prelievo che grava sui redditi da lavoro, la riduzione del monte salari a fronte della robotizzazione pone interrogativi in termini di sostenibilità. Si deve ragionare in anticipo su questi temi, per evitare di essere colti impreparati: per esempio spostando il prelievo dai redditi da lavoro all’intero valore aggiunto. La proposta è creare un fondo collettivo per il finanziamento del welfare, sostituendo Irap e contributi sociali con una imposta su tutti i redditi prodotti.

Vogliamo mettere in atto un riordino del sistema dei controlli sull’attività bancaria e finanziaria, in un quadro più certo di responsabilità e poteri di Banca d’Italia, Banca Centrale Europea, Consob e magistratura; una rinnovata distinzione tra banche commerciali e di investimento; un più incisivo impegno dell’Italia nella definizione delle caratteristiche dell’Unione bancaria europea, a partire da proposte di correzione della direttiva sul bail in (Brrd), per assicurare la stabilità del sistema e per ristabilire la tutela del risparmio prevista dall’articolo 47 della Costituzione; la creazione di un fondo pubblico per l’acquisizione dei crediti in sofferenza garantiti da immobili, da destinare all’edilizia popolare con affitti calmierati.

Un welfare universale
Ci battiamo per un welfare universale, non solo per motivi di equità, ma anche per motivi di efficienza ed efficacia. Le politiche sociali, per la famiglia, per la casa, per pensioni e ammortizzatori sociali devono smettere di essere le cenerentole del nostro sistema pubblico.

Vogliamo estendere il Rei (reddito di inclusione) in modo da renderlo realmente uno strumento universale di contrasto alla povertà assoluta, adottare un piano sociosanitario nazionale per la non autosufficienza incentrato sulla domiciliarità e articolato in funzione del grado di bisogno, definire un piano integrato di interventi a favore delle persone con disabilità, che ne favorisca la vita indipendente e che interessi non solo l’inserimento lavorativo ma anche, ad esempio, l’accessibilità delle case e dei luoghi pubblici nonché la mobilità territoriale.

La crisi ha lasciato in eredità un enorme patrimonio immobiliare abbandonato che pesa sui bilanci delle banche. Dalla sua acquisizione, come abbiamo già detto, può venire una risposta importante all’esigenza di tornare a rendere effettivo il diritto alla casa.

La pensione è uno degli argomenti più delicati per tanti milioni di italiani. Riteniamo occorra rivedere in profondità la riforma Fornero, anche riarticolando il sistema delle uscite anticipate o ritardate per tipologie di attività, in base al carico di gravosità del lavoro svolto. L’eventuale superamento della soglia di età differenziata così identificata deve avvenire esclusivamente su base volontaria. Anche la maternità deve essere riconosciuta come fattore di possibile anticipo dell’età di pensionamento, va garantita la stabilizzazione di “Opzione donna” e, con una nona salvaguardia, la definitiva soluzione del problema degli esodati.

Per avere finalmente una discussione seria nel Paese sul finanziamento dell’insieme del sistema di welfare e sullo stato dei conti dell’Inps, la previdenza va finalmente separata dall’assistenza.

Una sanità pubblica, davvero
Un numero crescente di persone non riesce ad avere accesso alle cure, a causa di costi sempre più elevati, di ticket che sono più elevati del prezzo delle prestazioni, di liste d’attesa sempre più lunghe, della mancanza di servizi di prossimità.

Dobbiamo rovesciare il sistema puntando sulla prevenzione ed evitare la malattia, riducendo i fattori di rischio legati all’ambiente di vita e di lavoro oltre che alla reale accessibilità di analisi preventive, perché solo in questo modo si possono scoprire i problemi prima che diventino gravi. Un esame può salvare una vita, ma molti oggi non se lo possono permettere e rimandano all’infinito il momento di farlo. Siamo decisamente contro gli sprechi, in primis di vite umane.

Serve un forte rilancio del finanziamento della salute e dell’assistenza sanitaria, per riallineare progressivamente la spesa sanitaria pubblica italiana alla media dei paesi dell’Europa occidentale e garantire investimenti pubblici per il rinnovamento tecnologico e l’edilizia sanitaria, da finanziare con 5 miliardi in 5 anni.

È necessario inoltre porre un freno alla diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi, attraverso regole più precise e/o evitando di sostenerla con la fiscalità generale che rischia altrimenti di portare progressivamente ad un indebolimento del sistema pubblico. Vogliamo mettere in campo un piano triennale di rafforzamento del personale dipendente, che passi anche per la riduzione del lavoro precario, delle collaborazioni esterne e dell’appalto di servizi.

Proponiamo: di superare l’attuale sistema dei ticket, già previsto dal Patto per la Salute del 2014 e l’abolizione dei superticket; un Piano d’azione per la salute mentale; una nuova politica del farmaco attraverso la promozione dell’uso dei farmaci generici (l’Ocse ci posiziona nel 2015 al penultimo posto su 27 paesi); l’informatizzazione del settore sanitario; un’attenzione specifica alla promozione del diritto alla salute delle donne, garanzia dei diritti sessuali e riproduttivi, attraverso il sostegno e il finanziamento della rete dei consultori; il rilancio dei programmi di educazione sessuale e contraccettiva nelle scuole; l’applicazione della legge 194 intervenendo sul problema del numero eccessivo di medici obiettori.

L’uguaglianza nei diritti
L’uguaglianza non ammette distinzioni, perché non parliamo di una concessione della politica, ma del riconoscimento di diritti da rendere esigibili. Abbiamo la necessità di riformare nel suo complesso il diritto di famiglia, che deve essere declinato al plurale, parlando di “famiglie” e includendo anche quelle di fatto e ogni altra forma di legame familiare. L’istituto dell’adozione ordinaria va riformato per rispondere a criteri più accessibili e semplificati, nell’esclusivo interesse del minore.

Il matrimonio deve essere un istituto unico, accessibile a tutte e tutti con il pieno ed eguale riconoscimento di tutti i legami affettivi, compresi quelli delle coppie LGBT, una parità dei diritti anche sul piano della genitorialità.

Sono necessari progetti formativi anche scolastici, efficaci sull’educazione affettiva, sessuale e alle differenze, con un approccio critico alle relazioni di potere fra i generi. Dobbiamo introdurre misure efficaci dal punto di vista normativo per inasprire le pene e renderle efficaci per chi commette violenze con l’aggravante della discriminazione.

Torniamo a parlare delle persone transessuali, per troppo tempo dimenticate dalla politica. E’ necessario percorrere la strada della depatologizzazione della condizione trans per affermare il pieno diritto di autodeterminazione della persona.

È necessaria un’azione determinata e continua di contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Un contrasto che passa anche da un piano straordinario per l’occupazione femminile che renda le donne libere di scegliere e fiduciose nel proprio futuro. Per fare questo abbiamo bisogno di una maggiore presenza femminile nella politica, nel mondo economico, nelle professioni.

Sulle politiche di accoglienza è aperta una faglia in tutta Europa. Dobbiamo rigettare accordi con Paesi in cui non siano garantiti i diritti umani, promuovere reali occasioni di sviluppo nei Paesi di provenienza e non permettere che si continui a depredarli.

Dobbiamo gestire le migrazioni con razionalità, abolendo la Bossi-Fini, introducendo un permesso di ricerca lavoro e meccanismi di ingresso regolari, promuovendo la nascita di un unico sistema di asilo europeo che superi il criterio del paese di primo accesso e che comprenda canali umanitari e missioni di salvataggio.

Va costruito un sistema di accoglienza rigoroso, diffuso e integrato, sulla base del modello Sprar, adeguatamente dimensionato, superando la gestione straordinaria che troppi scandali e distorsioni ha generato in questi anni, stroncando ogni forma di speculazione e invece generando nuove opportunità di inclusione e sviluppo.

Con la stessa forza va affermato che riconoscere la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia da genitori stranieri, o è arrivato in Italia da piccolo e ha completato almeno un ciclo di studi, non è un atto di solidarietà, ma un riconoscimento doveroso che si deve a chi nei fatti è già italiano.

La giustizia uguale per tutte e tutti
Il problema principale della giustizia è quello dell’efficienza e della produttività.

È indispensabile procedere al completamento della informatizzazione dei processi in ogni ambito e settore e fare in modo che lo sviluppo della macchina giudiziaria proceda a pari passo con l’innovazione tecnologica. Andrebbero poi predisposti piani per l’adeguamento del personale secondo almeno la media comparata degli altri Stati dell’Unione Europea, con conseguenti piani di adeguamento delle strutture giudiziarie.

In tema di processo civile occorre ridurre la lunghezza dell’istruzione della causa, assicurando tempi certi e celeri per l’emissione della sentenza. Anche in tema di giustizia penale fondamentale è il problema della durata dei processi, da affrontare ponendosi l’obiettivo di avere una sentenza nel tempo più breve possibile, avere una sentenza giusta, avere una certezza dell’effetto risarcitorio e/o riabilitativo della condanna, recuperando la funzione rieducativa della pena e rafforzando le misure alternative.

È essenziale intervenire sulla tracciabilità dei pagamenti per contrastare i molteplici reati dalla corruzione al riciclaggio anche valutando la reintroduzione di una soglia più bassa all’uso del contante. La lotta alle mafie deve essere una priorità e va continuamente alimentata, stante l’ampiezza delle infiltrazioni e la loro ramificazione non solo nazionale. Da questo punto di vista educare i giovani alla legalità rappresenta un impegno prioritario. Il regime del carcere duro per i mafiosi che mantengano un rapporto con i propri territori d’influenza non va mitigato e vanno tutelati i testimoni e i collaboratori di giustizia nei processi di mafia.

È urgente un intervento sul sistema carcerario e una riforma dell’ordinamento penitenziario per garantire il rispetto della dignità della persona, anche quando detenuta. Il numero di suicidi in carcere è un dato che non può essere più ignorato.

Va modificata la normativa, pur approvata dal nostro Parlamento di recente, sul delitto di tortura secondo le indicazioni che ci provengono dall’ONU e dagli organismi europei.

Un mondo digitale
Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e si configura come uno spazio economico che rende possibile innovazione e crescita in un contesto democratico. Per tutti questi motivi l’accesso al web rappresenta uno strumento che può influire in maniera determinante sull’effettività dei diritti fondamentali.

La politica deve sfruttare pienamente le potenzialità delle nuove tecnologie per promuovere un nuovo modello di sviluppo che sia socialmente ma anche ecologicamente sostenibile, così come per incrementare la trasparenza e la partecipazione democratica. Deve aumentare in modo considerevole gli investimenti pubblici nella ricerca e nell’innovazione rappresentata dalle tante giovani imprese, così che facciano da traino agli investimenti privati anch’essi non sufficienti nel nostro Paese.

A tutti deve essere garantito il diritto di accesso in rete e va superata ogni forma di divario, da quello di genere a quello economico, da quello dovuto a vulnerabilità personale o a disabilità.

Ogni persona ha il diritto alla protezione personale dei dati che la riguardano per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.

L’ipotesi di abolire la neutralità della rete va combattuta con determinazione perché consentirebbe alle grandi società di telecomunicazione di offrire servizi più veloci a chi paga di più e anche di scegliere quali contenuti possano avere la precedenza su altri. Internet deve restare uno spazio dove tutti i cittadini e tutte le imprese possano accedere a idee, informazioni e servizi, senza alcuna discriminazione, a prescindere dai contenuti e dai servizi.

Agricoltura
L’agricoltura pulita ed in particolare quella biologica vogliamo che diventino attività di interesse economico centrale del nostro paese per la loro valenza sociale di sviluppo e crescita dei territori e di opportunità di lavoro bello e creativo per i giovani e non solo. Vanno valorizzati il lavoro e i prodotti di qualità nelle aree interne che sono a rischio spopolamento e abbandono.

L’agricoltura deve smettere di inquinare e in questo senso servono un impegno forte e obiettivi anche di tempo precisi. Il cibo buono che ne deriva anche grazie allo stop ai pesticidi, deve perseguire: la salute delle persone, la salute degli animali, la salute della terra, dell’acqua e dell’aria. Vogliamo una vera legge nazionale sui biodistretti che valorizzi i territori e non solo le filiere affinchè diventino motore di una crescita trasversale e inclusiva di altri settori dell’economia e delle istituzioni.

In tutto il mondo come anche da noi, stanno proseguendo forme diverse di privatizzazione dei semi e dei dna di piante ed animali. Noi sosteniamo che come esistono la sanità pubblica e quella privata, le università pubbliche e quelle private, dobbiamo avere presso il Ministero dell’Agricoltura una banca di sementi libere e di qualità, disponibili per gli agricoltori del nostro paese.

Le ridotte dimensioni di impresa che riguardano sia il settore agricolo sia quello dell’industria alimentare, la mancanza di strumenti efficaci di governo e l’elevato potere di mercato dei soggetti della commercializzazione indeboliscono la nostra competitività e non garantiscono una equa distribuzione del valore tra tutti gli attori del sistema agroalimentare penalizzando in particolare gli operatori del settore agricolo.

Va inoltre affrontato con decisione il tema dello sfruttamento e dell’illegalità presenti nella filiera agroalimentare.

Il tema dell’alimentazione deve tornare al centro dell’agenda politica. La sostenibilità del cibo è ormai una questione di giustizia sociale. L’agricoltura e l’industria alimentare hanno, infatti, un ruolo fondamentale per garantire un futuro all’umanità e al nostro pianeta. In questo contesto non dovrà mancare il ruolo guida dell’Unione europea. Il percorso della prossima riforma della Pac rappresenta infatti un’importante occasione per modernizzare gli obiettivi e le funzioni oltre a valorizzare gli effetti positivi sull’ambiente, sulla tutela del lavoro di qualità e dell’occupazione.

Con la cultura si vive
Con la cultura si mangia, si vive, si lavora: nutrendo il corpo e la mente. Sviluppando diritti e cittadinanza attiva. L’Italia è cultura, il made in Italy è cultura, la nostra storia e tradizioni sono cultura, la nostra quotidianità è cultura e il sistema produttivo culturale e creativo occupa il 6% del totale dei lavoratori. Per questo una valorizzazione moderna che tuteli pienamente e insieme promuova è la sfida che ci pone il nostro tempo.

Serve una strategia che abbiamo perso: riguarda le biblioteche che devono tornare ad essere centri di aggregazione e scoperta; il sistema dei musei che si devono riempire di narrazione e visitatori; il patrimonio artistico e archeologico la cui gestione faccia tesoro delle migliori iniziative che vengono dalla società introducendo pratiche di co-gestione che coinvolgano le comunità locali, che tendano a socializzare i benefici e a creare valore condiviso.

Un percorso di valorizzazione che si estenda alle periferie – anche grazie ad esperienze di cittadinanza attiva ed autorganizzata – alle zone degradate e alle aree interne del nostro Paese anche per nutrire un turismo di qualità che soprattutto nel Sud Italia può rappresentare una formidabile risorsa di sviluppo sostenibile capace di iniziare a colmare il gap con il resto del Paese.

Occorre avviare un processo serio per il riconoscimento delle professioni culturali e interventi per garantire la qualità e stabilità del lavoro. Troppe sacche di precariato e di sfruttamento. Va regolamento anche il volontariato culturale che non deve essere sostitutivo del lavoro. Lo stesso va detto anche dell’uso del servizio civile con fondi statali, che a volte rischia di apparire sostitutivo rispetto a vuoti in organico.

Turismo sostenibile
Il turismo è molto di più di una semplice attività economica che vale, con l’indotto, il 10% del Pil italiano. Il turismo di qualità è la più sostenibile delle nostre industrie nazionali perché si fonda sul rispetto del territorio e dei suoi equilibri ambientali, culturali e sociali. È un potente stimolo per la riqualificazione. È valorizzazione della nostra straordinaria biodiversità culturale, artistica, paesaggistica, architettonica, enogastronomica, agricola, artigianale. È offerta del nostro patrimonio diffuso dove ogni angolo e ogni persona può e deve essere fiero della bellezza autentica da cui è circondato diventandone il primo difensore. È terreno fertile per sperimentazione, innovazione tecnologica e imprenditorialità giovanile. È narrazione che produce benessere e restituisce conoscenza, coscienza ed infine consapevolezza del proprio valore. È la visione di un Paese che prende in mano il suo destino investendo su ciò che di più prezioso possiede e che una parte del mondo vorrebbe condividere: la propria identità.

Si tratta di un settore in forte e costante crescita che va governato con cura perché impattante sulla qualità della vita quotidiana degli abitanti e sulla fragilità del nostro territorio nelle località di maggiore afflusso, così come vanno monitorati gli effetti della sharing economy per evitare che i benefici vengano annullati da abusi e concorrenza sleale.
Il turismo sostenibile deve realmente essere un traino per la ripresa etica oltre che economica del nostro Paese colmando la distanza del sottosviluppo tra aree geografiche e condizioni sociali. E rappresenta con evidenza le grandi potenzialità ancora inespresse della nostra terra che deve solo decidere di investire sul proprio futuro.

Pace e disarmo
Di fronte a quella che viene definita la “terza guerra mondiale diffusa”, all’espansione del terrorismo internazionale, ai profughi che scappano dai Paesi devastati, occorre riaffermare pienamente il principio costituzionale del “ripudio della guerra”. È tempo, ormai, di cambiare le coordinate, a partire dalla conoscenza dei dati reali, e impostare politiche attive di pace e disarmo.

I dati reali (analizzati e diffusi dall’”Osservatorio italiano sulle spese militari italiane”) ci dicono che negli ultimi 10 anni di recessione e di tagli in tutti i comparti sociali, la spesa pubblica militare italiana è invece aumentata del +21% con una crescita costante, che continua tuttora arrivando, con la Legge di Bilancio per il 2018, all’1,42% del Pil (più della Germania, ferma all’1,2%).

Serve una politica estera di pace. Dobbiamo rafforzare le politiche di cooperazione e solidarietà internazionale, di promozione dei diritti umani attraverso l’applicazione delle convenzioni internazionali e rifiutare l’interventismo militare al servizio di una logica di guerra. Un investimento è già stato fatto con i corpi civili di pace, da sviluppare con l’istituzione di un Dipartimento della difesa civile, quale mezzo alternativo per promuovere iniziative multilaterali di risoluzione pacifica dei conflitti.

Crediamo inoltre non rinviabile una riduzione delle spese militari, con un risparmio per la finanza pubblica. Occorre far rispettare all’industria italiana degli armamenti – integralmente e strettamente – le norme internazionali, europee e sulle limitazioni all’export bellico, a partire dalla legge 185/90, in particolare sui paesi in guerra. All’interno di questa cornice occorre interrompere l’autorizzazione dell’export bellico nei confronti dell’Arabia Saudita, in guerra con lo Yemen. L’Italia deve inoltre impegnarsi a sottoscrivere e promuovere il Trattato per la proibizione delle armi nucleari.