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  • Martedì 28 novembre 2017

La storia di Michela Deriu e del suo suicidio, dall’inizio

Tre “amici” della ragazza sono stati iscritti nel registro degli indagati: secondo la procura, all'origine del suicidio ci sarebbe la minaccia di divulgare immagini a sfondo sessuale

Scalo di Porto Torres, in provincia di Sassari (ANSA)
Scalo di Porto Torres, in provincia di Sassari (ANSA)

Michela Deriu, una ragazza di 22 anni, si è suicidata nella casa di un’amica a La Maddalena, in provincia di Sassari, la notte tra il 4 e il 5 novembre. Il 3 novembre era stato pubblicato un articolo sull’edizione locale della Nuova Sardegna che raccontava di una rapina subita da Michela Deriu mentre rientrava a casa da lavoro. Sulla sua morte era stata aperta un’inchiesta, e martedì 27 novembre la procura di Tempio Pausania ha iscritto i nomi di tre amici della ragazza nel registro degli indagati dopo il ritrovamento di un video privato, che secondo la procura sarebbe all’origine del suicidio. I tre sono accusati di istigazione al suicidio, diffamazione aggravata e tentata estorsione: Michela Deriu sarebbe stata minacciata della diffusione di quelle immagini – che la mostrano durante un rapporto sessuale – se non avesse acconsentito a pagare dei soldi.

L’articolo della Nuova Sardegna del 3 novembre raccontava che una giovane donna che faceva la barista, Michela Deriu, era stata narcotizzata mentre apriva la porta di casa in pieno centro storico a Porto Torres, in provincia di Sassari, all’1.30 di notte al rientro dal lavoro. Nell’articolo si diceva che dopo il risveglio la donna aveva un grosso ematoma sul viso – «dovuto probabilmente alla caduta dopo essere stata addormentata» – e che i circa mille euro in contanti presenti in un borsello nel suo appartamento erano scomparsi. Di quei mille euro, 450 erano mance sue e dei colleghi del bar. L’articolo ipotizzava che la donna fosse stata seguita dai rapinatori e legava l’episodio a una serie di incendi di automobili, di atti di vandalismo e al «crescente fenomeno della microcriminalità» a cui si assisterebbe in città.

Venerdì 3 novembre, dopo la rapina, Michela Deriu era partita per La Maddalena dove la notte successiva si era suicidata nella casa di un’amica lasciando un breve messaggio scritto a mano. Aveva comunque con sé il biglietto del ritorno sia del traghetto che dell’autobus e prima di andarsene aveva confidato alla titolare del bar dove lavorava di avere paura e di sentirsi in pericolo, senza dare però altri dettagli.

Sulla sua morte era stata aperta un’inchiesta per istigazione al suicidio dai carabinieri del Reparto territoriale di Olbia e della compagnia di Porto Torres, ed erano state seguite diverse ipotesi: era stato analizzato il telefono di Michela Deriu ed erano state interrogate diverse persone a lei vicine. Durante le indagini, sui giornali locali era poi cominciata a circolare la notizia del ritrovamento di due video privati della ragazza e la conferma che la storia della rapina subita (per cui Michela Deriu non aveva sporto denuncia formale) era stata costruita da lei stessa per coprire la sparizione dei soldi.

Lunedì 27 novembre la procura di Tempio Pausania ha infine iscritto i nomi di tre conoscenti di Michela Deriu nel registro degli indagati: «Si tratterebbe di persone che lei frequentava con assiduità nell’ambiente di Porto Torres», scrivono i giornali locali. Sulla base di una serie di accertamenti il capo dell’ufficio inquirente, il procuratore Gianluigi Dettori, ha indicato tre capi d’imputazione: istigazione al suicidio, diffamazione aggravata e tentata estorsione. La donna sarebbe stata ricattata e minacciata della divulgazione delle immagini contenute in quei video.

Non è comunque chiaro se i video fossero più di uno o uno soltanto, ma un file è stato trovato nella memoria di un computer di uno dei tre indagati. Su Repubblica si dice che Michela Deriu «secondo una ricostruzione circolata sulle cronache locali, era stata ripresa a sua insaputa, per poi essere fatta oggetto della richiesta estorsiva». Si dice anche che alla scoperta del ricatto si è arrivati grazie al racconto di un testimone in particolare, di cui non è stata rivelata l’identità: «Una persona che sapeva dell’inferno esistenziale in cui Michela era finita o con cui la giovane si era confidata».

Lo scorso anno si era parlato molto di una storia simile, quella di Tiziana Cantone, una donna di 31 anni originaria di Napoli che si era suicidata il 13 settembre apparentemente per le conseguenze che aveva avuto sulla sua vita la pubblicazione e la diffusione online – iniziata nella primavera del 2015 – di alcuni video privati che aveva girato durante rapporti sessuali con un uomo, Sergio Di Palo. Qualche settimana fa la procura di Napoli Nord ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione per l’accusa di istigazione al suicidio.