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  • Martedì 7 novembre 2017

Oggi si vota negli Stati Uniti

Si cambiano un sindaco (e che sindaco) e un paio di governatori: i Democratici sperano di trarne qualche soddisfazione

L'ex presidente americano Barack Obama saluta il candidato governatore della Virginia Ralph Northam durante un comizio a Richmond, 19 ottobre 2017 (Alex Wong/Getty Images)
L'ex presidente americano Barack Obama saluta il candidato governatore della Virginia Ralph Northam durante un comizio a Richmond, 19 ottobre 2017 (Alex Wong/Getty Images)

Oggi negli Stati Uniti sono in corso diverse elezioni locali: le più importanti in New Jersey e Virginia, dove si vota per il governatore. Si voterà anche a New York, dove il sindaco Bill de Blasio cercherà di essere rieletto, mentre nel Maine si terrà un referendum per espandere il Medicaid, il programma pubblico di copertura sanitaria destinato ai cittadini più poveri. In tutte e quattro le elezioni, i Democratici sono favoriti: New Jersey e Virginia sono stati storicamente più vicini ai Democratici che ai Repubblicani, a New York Bill de Blasio è messo molto bene e nel Maine la proposta di allargare il Medicaid – fatta dai Democratici – piace anche a parte degli elettori di Donald Trump.

Come accade in paesi particolarmente grandi ed eterogenei come gli Stati Uniti, le elezioni locali dicono molto poco sull’andamento della politica nazionale. I partiti se ne servono soprattutto per guadagnare articoli positivi sulla stampa nazionale e per distogliere momentaneamente l’attenzione da quello che succede a Washington; la stampa cerca di descriverli come test nazionali, ma molto spesso non è detto che lo siano. Queste elezioni però un valore possono averlo per entrambi (oltre che per gli elettori che ne sono direttamente coinvolti, ovviamente). Oggi i Democratici contano poco a Washington – non controllano né la presidenza né Camera e Senato – e non hanno ancora trovato un modo davvero efficace e visibile di opporsi a Trump. I Repubblicani sembrano sempre più divisi al loro interno fra i conservatori “classici” ostili a Trump e quelli più leali nei confronti del presidente. Una vittoria, anche piccola, servirebbe a entrambi i partiti.

Le elezioni in Virginia
Sono le elezioni a cui guardano con più attenzione i giornalisti politici statunitensi. Terry McAuliffe, il governatore Democratico uscente, ha scelto di non ricandidarsi. Il suo posto se lo giocano il vicegovernatore uscente Ralph Northam, del Partito Democratico, e Ed Gillespie, Repubblicano ed ex consigliere di George W. Bush alla Casa Bianca.

McAuliffe è stato un governatore popolare e in campagna elettorale Northam non ha combinato disastri, ma la corsa è più in bilico di quanto speravano i Democratici. Secondo una media dei sondaggi elaborata da Real Clear Politics, Northam è avanti a Gillespie di poco più di 3 punti: ed è un distacco che è diminuito molto nelle ultime settimane. Alle elezioni presidenziali del 2016 Hillary Clinton andò molto bene in Virginia, staccando Trump di 5 punti.

La campagna di Northam si è concentrata soprattutto sui voti degli afroamericani, che compongono il 20 per cento dell’elettorato e che come altrove tendono a votare prevalentemente per i Democratici. Northam però non è un personaggio particolarmente carismatico, è a pieno titolo parte dell’establishment del partito e negli ultimi giorni, come racconta CNN, ha cambiato posizione sulle cosiddette sanctuary city, cioè le città che scelgono di non considerare un reato l’immigrazione clandestina. Northam si è detto contrario alla loro esistenza, forse per sottrarre voti a Gillespie e perché in Virginia non ce n’è nemmeno una. Il suo ripensamento potrebbe danneggiarlo con le minoranze etniche, soprattutto con gli elettori ispanici.

Una sconfitta di Gillespie potrebbe danneggiare in piccola parte anche Trump stesso, che in questi giorni si sta spendendo molto per appoggiarlo. Gillespie fa parte del ristretto gruppo di Repubblicani-di-una-volta che ha deciso di avvicinarsi alle posizioni di Trump. Negli ultimi giorni di campagna elettorale ha diffuso uno spot dai toni piuttosto “trumpiani” in cui attacca Northam per le sue posizioni sull’immigrazione, e in generale si è spostato moltissimo a destra nel corso della campagna elettorale, per cercare di portare a votare le persone della “base” del partito.

Il New Jersey
Il governatore uscente è il Repubblicano Chris Christie, da anni caduto in disgrazia. Fino a pochi anni fa Christie, che ha 54 anni, era considerato uno dei più promettenti e talentuosi politici statunitensi. Il suo declino iniziò nel 2014, quando la sua amministrazione fu accusata di aver chiuso un ponte per danneggiare un avversario politico. Poi Christie si candidò con scarso successo alle primarie dei Repubblicani per la presidenza, ma si ritirò ben presto per via degli scarsi risultati. Più tardi non è riuscito nemmeno ad ottenere un ruolo nella nuova amministrazione di Donald Trump, nonostante fosse stato il primo Repubblicano “moderato” di primo piano ad appoggiarlo. Oggi Christie ha un tasso di impopolarità altissimo, e persino la sua vice – Kim Guadagno, la candidata Repubblicana per sostituirlo – ha provato a distanziarsi da lui.

Il New Jersey vota stabilmente per i Democratici da trent’anni – l’ultimo candidato presidente Repubblicano a prendere più voti alle presidenziali fu George H. W. Bush – ma Christie riuscì a farsi eleggere grazie alla sua fama di politico pragmatico e centrista. Guadagno non ha la sua stessa fama, e difficilmente riuscirà a colmare il divario che la separa dal candidato Democratico, l’ex finanziere Phil Murphy. A oggi Murphy è dato al 50 per cento, più di 15 punti sopra a Guadagno.

Chris Christie non stava prendendo il sole, aveva il cappellino

(l’ultimo guaio di Christie, risalente a questa estate)

New York
Oggi si tengono anche le elezioni per eleggere il sindaco di New York. Ci sono pochi dubbi su chi le vincerà: il sindaco uscente Bill de Blasio è parecchio popolare e al momento è dato in vantaggio di più di 40 punti sulla candidata Repubblicana, Nicole Malliotakis, una giovane deputata statale con poca esperienza politica.

Il mandato di de Blasio era iniziato con qualche difficoltà. Nel 2014 diversi poliziotti di New York lo criticarono platealmente – dandogli le spalle in diverse occasioni pubbliche – perché dopo l’omicidio di Eric Garner, un uomo nero ucciso dalla polizia durante un arresto, de Blasio aveva detto di aver consigliato a suo figlio Dante, che è nero, di «stare molto attento durante ogni suo contatto con la polizia». Si parlò molto anche del suo cattivo rapporto con il governatore Andrew Cuomo – Democratico anche lui, e molto ambizioso – e della sua abitudine di fare pisolini in orario di lavoro e del fatto che raramente fosse puntuale a incontri ed eventi pubblici. Più tardi si iniziò a parlare di un’inchiesta federale sui metodi di raccolta fondi del suo comitato elettorale, giudicati parecchio spregiudicati.

In questi anni però de Blasio è riuscito a costruire un consenso personale praticamente impossibile da pareggiare. Per prima cosa, ha notato il New York Times, de Blasio ha mantenuto diverse promesse fatte in campagna elettorale, come l’introduzione dell’asilo nido gratuito per tutti i residenti e la fine dello stop-and-frisk, uno strumento di controllo adottato dalla polizia che colpiva soprattutto gli afroamericani. De Blasio, inoltre ha iniziato a lavorare con grande anticipo alla sua rielezione. A novembre del 2016, praticamente un anno fa, si è assicurato il sostegno di due sindacati che non lo avevano appoggiato nel 2013. A gennaio di quest’anno, otto mesi prima delle primarie e dieci mesi prima delle elezioni, de Blasio aveva già raccolto 2,2 milioni di dollari di finanziamenti per la propria campagna elettorale, una cifra abbastanza consistente da tenere alla larga eventuali avversari di primo piano, che in effetti non si sono mai presentati.

Il referendum nel Maine
Sarà la prima volta dall’introduzione della riforma sanitaria di Barack Obama, avvenuta quattro anni fa, che l’espansione della copertura sanitaria per i più poveri – uno dei punti fondamentali, reso opzionale dalla Corte Suprema – viene sottoposta a referendum. Il quesito proporrà di espandere l’assistenza anche alle persone che guadagnano un massimo di 16.643 dollari all’anno – se vivono da sole – oppure 22.412 dollari se sono sposate. Se venisse approvata, verrebbero coperte 70mila persone in più rispetto a quelle già incluse nel programma. Il 90 per cento degli eventuali costi sarebbe a carico dello stato federale.

Vox fa notare che sono stati realizzati pochissimi sondaggi sul referendum. Ciò nonostante il Sì è considerato favorito: la proposta è appoggiata dai Democratici e il Maine è uno stato che vota tendenzialmente Democratico (anche se nel 2016 Trump è andato bene, ottenendo il 45 per cento dei voti). La proposta, inoltre, dovrebbe piacere anche a diversi sostenitori di Trump, soprattutto ai bianchi della classe media che vivono nelle zone rurali dello stato.

Il governatore del Maine, il Repubblicano Paul LaPage, appoggia convintamente Trump e ha messo il veto per cinque volte a una proposta di espansione approvata dal Congresso locale. Se il referendum di oggi venisse approvato con percentuali molto alte, Trump potrebbe convincersi della popolarità del Medicaid fra il suo elettorato, cosa già ipotizzata da diversi sondaggi.

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