L’intervista a Paolo Borsellino di Canal+

Fu registrata due giorni prima della strage di Capaci e due mesi prima di quella di via D'Amelio in cui morì Borsellino stesso

Tra le molte storie importanti e non chiare che si affollano intorno alla storia maggiore delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui vennero uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha assunto col tempo una notevole importanza e ha generato molte ipotesi un’intervista che Paolo Borsellino fece per la rete televisiva francese Canal+ nella sua casa a Palermo il 21 maggio 1992: due giorni prima che fosse ucciso Giovanni Falcone e due mesi prima che fosse ucciso lo stesso Borsellino.

L’intervista, che venne diffusa pubblicamente per intero solo molti anni dopo, ha una strana e interessante genesi. Gli autori sono Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, due giornalisti (il secondo è nato in Italia, ma è un giornalista noto e di lunga carriera in Francia) che avevano chiesto di parlare con Paolo Borsellino per avere informazioni sulle indagini nei confronti di Vittorio Mangano e sui suoi rapporti con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Mangano, nelle ricostruzioni successive di diverse inchieste e nella sentenza che ha condannato Vittorio Dell’Utri confermata nel 2014, è il mafioso che visse tra il 1974 e il 1976 nella villa di Berlusconi come garante e controllore dell’accordo di “protezione” che la mafia siciliana aveva estorto (stando alla sentenza) a Berlusconi grazie al tramite di Dell’Utri (che è stato condannato per questo a sette anni di carcere). Ma nel 1992 tutto questo non si sapeva, e in Italia era del tutto ignorato pubblicamente (lo stesso Dell’Utri allora compariva solo occasionalmente nelle cronache di finanza dei quotidiani come capo della concessionaria Publitalia e pochi conoscevano il suo nome: Berlusconi non faceva ancora politica, ma l’imprenditore, ed era noto soltanto per le reti televisive e la proprietà del Milan).

I due giornalisti francesi però avevano saputo qualcosa: Calvi – che si occupava di mafia siciliana da tempo ed era stato molto a Palermo – racconta di essere stato informato da una sua fonte nei servizi segreti italiani che si stava indagando a Palermo sui rapporti tra la mafia e Berlusconi, ipotizzati in seguito alle indagini su Mangano per altri reati. E di essere stato incuriosito dall’incendio in cui era stato distrutto un grande yacht di Berlusconi in un cantiere e dagli attentati contro un negozio Standa in Sicilia, tra il 1990 e il 1992. E in Francia Berlusconi era da poco diventato una notizia per il suo progetto televisivo La Cinq: la rete Canal+ si dichiarò quindi assolutamente interessata alla proposta di inchiesta di Calvi e Moscardo. Il risultato fu che i primi giornalisti a fare un’inchiesta sulle possibili relazioni con la mafia di Silvio Berlusconi furono francesi, due anni prima che Berlusconi si candidasse alle elezioni.

Calvi conosceva bene Paolo Borsellino, lo aveva intervistato altre volte, e successivamente lo ha definito “un amico”: iniziò da lui a informarsi sulle indagini su Mangano, e Borsellino gli diede un appuntamento a casa propria, per il 21 maggio 1992.

Le riprese di quel giorno hanno avuto una storia tormentata e controversa, dopo: il progetto di una più ampia inchiesta televisiva fu accantonato dopo che l’impresa francese di Berlusconi si era chiusa, e così l’interesse per la storia, e Calvi ne pubblicò la trascrizione sull’Espresso solo due anni dopo – il documentario era sospeso e intanto Berlusconi si era candidato in politica -, dando al giornale una sintesi del video per garanzia di alcuni passaggi. Sintesi che acconsentì a dare anche alla vedova di Borsellino, la quale a sua volta la consegnò ai magistrati che indagavano sulla strage di via D’Amelio. Da lì ne ottennero una copia dei giornalisti di Rai News 24 che la trasmisero – tra molte tensioni all’interno dell’azienda – con grandi polemiche nel 2000: il fatto che si trattasse di un montaggio parziale generò anche accuse di manipolazione, e tutto il materiale girato a casa Borsellino fu diffuso dal Fatto Quotidiano solo nel 2009 (tantissimo materiale girato per quel documentario, con molti intervistati, è ancora in possesso di Calvi, che non ha mai trovato una produzione, e non è mai stato mostrato).

Il contenuto dell’intervista a casa di Paolo Borsellino è impressionante, non solo col senno di poi rispetto a quello che succederà due giorni e due mesi dopo (c’è un momento in cui Agnese Borsellino avvisa che vanno spostate le macchine da davanti alla casa, per ragioni di sicurezza), ma per le cose che suggerisce e non chiarisce. Borsellino si era evidentemente preparato e documentato ed espone con grande precisione, ma anche attenzione, quello che sa di Vittorio Mangano dalle sue indagini precedenti. Gli intervistatori lo invitano a parlare delle ragioni delle relazioni tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi, e Borsellino conferma le loro ipotesi sugli investimenti della mafia al nord, e sull’esistenza di un’indagine a carico di Dell’Utri e di suo fratello Alberto, ma facendo attenzione a non confermare niente di diretto su Berlusconi e alludendo più volte al fatto di essere a conoscenza di un’indagine su Dell’Utri ma di non poterne parlare perché non è sua. Alla fine del colloquio, però, con una telecamera ancora accesa che lo riprende, Borsellino parla dei documenti investigativi che ha tra le mani – una lista di inchieste diverse in cui compaiono anche riferimenti a Berlusconi – e dice che qualcuno “riguarda ‘sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi”. Ma malgrado questo, e malgrado le ripetute allusioni di Borsellino alla loro esistenza, non risulterà poi nessuna inchiesta a Palermo contro Dell’Utri prima del 1996.