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  • Venerdì 7 luglio 2017

La Germania “non è il nuovo leader del mondo libero”, dice l’Economist

È meno influente di quanto sembri, nonostante in molti chiedano ad Angela Merkel di prendere il posto che fu degli Stati Uniti

(Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Michael Kappeler/picture-alliance/dpa/AP Images)

L’Economist ha pubblicato un articolo intitolato “La Germania non è il nuovo leader del mondo libero”, dove “leader del mondo libero” è un titolo attribuito dalla stampa anglosassone alla cancelliera tedesca Angela Merkel dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane. Merkel è infatti vista da alcuni come unico leader a capo di uno stato forte e con valori democratici, libertà economiche e aperture commerciali. L’Economist ritiene però che quelle aspettative siano mal riposte e crede che la Germania sia uno stato troppo debole per esercitare quel ruolo, come dimostrano alcune cose successe in Africa, in Polonia e negli stessi Stati Uniti.

Uno dei grandi problemi che deve affrontare la Germania insieme al resto d’Europa è quello dell’immigrazione. Merkel ha rifiutato gli atteggiamenti di chiusura di tanti leader europei e ha trasformato il suo paese nel più grande centro di accoglienza del continente. Per trovare una soluzione a lungo termine al problema, il suo governo ha lanciato quello che molti chiamano il “Piano Marshall per l’Africa“, ispirato, almeno nel nome, al programma di aiuti americani che contribuì alla ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Il piano tedesco ha lo scopo di rafforzare le economie e i governi dell’Africa sub-sahariana, in modo da mettere un freno all’immigrazione alla sua radice. In altre parole, è una manifestazione concreta dello slogan “aiutiamoli a casa loro”.

Oggi la Germania ha già iniziato a fare investimenti nel bacino del lago Ciad, che si trova tra Ciad, Niger e Nigeria, una delle area da cui transita il numero più alto di migranti diretti in Europa. Il piano è certamente una delle poche soluzioni a lungo termine che siano state adottate per affrontare la questione dell’immigrazione, ma, come scrive l’Economist, «la Germania del 2017 non è l’America del 1947». La sua economia è molto più piccola e la quantità di risorse che può mobilitare da sola non è sufficiente a raggiungere lo scopo che si prefigge. Già oggi i funzionari tedeschi che si occupano del piano chiedono che non si utilizzi più il termine “Piano Marshall”, in modo che non vengano alimentate false aspettative, e dicono che il piano non produrrà effetti sull’immigrazione a breve termine. Inoltre, se la Germania non avrà la piena collaborazione di tutto il resto d’Europa gli effetti saranno minimi.

A questo bisogna aggiungere che ci sono iniziative a favore dell’Africa che persino Merkel esita a intraprendere. In Europa ci sono numerose barriere doganali e di altro genere alle importazioni di materie prime agricole. Abbatterle sarebbe un modo per favorire i paesi africani, permettendo loro di esportare le materie prime che producono. Le rare volte in cui è stata tentata questa strada, però, ci sono state fortissime proteste da parte degli agricoltori europei e dei loro rappresentati politici, che sono spesso i primi a utilizzare lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Da allora il tema non è stato più riproposto in maniera significativa.

Per vedere quanto poco la Germania sia davvero in grado di determinare le scelte dei suoi vicini e delle opinioni pubbliche europee, come ci si aspetterebbe dai “leader del mondo libero”, basta guardare alla Polonia, un paese di fatto economicamente dipendente dalla Germania dove però è al potere un partito di destra radicale, Legge e giustizia. La Polonia si è rifiutata di fornire qualsiasi tipo di aiuto sulla questione dei migranti e continua a opporsi a qualunque piano di condivisione degli oneri nel corso delle riunioni europee. I leader polacchi non sembrano percepire un qualche tipo di soggezione nei confronti della Germania e, anzi, utilizzano spesso il sentimento anti-germanico nato dopo la Seconda guerra mondiale per attaccare Merkel e fortificare il loro consenso interno. Immigrazione e rapporti con i vicini europei sono però elementi secondari nella costruzione dell’immagine di “leader del mondo libero”. Merkel ha ottenuto questo epiteto soprattutto dopo la vittoria di Trump, quando ha incontrato il presidente uscente Barack Obama nel corso del suo ultimo viaggio presidenziale. In quell’episodio, in molti videro un simbolico passaggio di testimone.

Il problema, scrive l’Economist, è che l’opposizione di Merkel a Trump e a quello che lui rappresenta è più retorica che sostanziale. L’Economist ricorda il discorso fatto dalla cancelliera lo scorso maggio, in cui disse che l’Europa avrebbe dovuto fare da sé, senza contare sugli Stati Uniti. Ricorda anche i suoi tentativi di proseguire sulla strada di una difesa europea coordinata e per mantenere aperte le frontiere agli scambi commerciali. Ma, sottolinea, queste prese di posizione non sono nulla di nuovo nel panorama tedesco: libero commercio e multilateralismo sono principi cardini del discorso politico in Germania oramai da decenni, non è una novità che un cancelliere torni ad affermarli. Il vero problema è che la Germania è ancora dipendente dagli Stati Uniti per tutto ciò che riguarda la difesa. Il suo esercito è piccolo e con poca esperienza: ha compiuto missioni in Afghanistan, senza mostrarsi particolarmente efficiente, e oggi è impegnato anche in Mali e Lituania. Questa inferiorità mantiene la Germania in una posizione di debolezza rispetto agli Stati Uniti. Oggi, scrive l’Economist, la diplomazia tedesca lavora per limitare i danni che potrebbe causare Trump, non per affrontarlo e scontrarsi con lui a viso aperto.

«Semplicemente, Angela Merkel non è nella posizione di esprimere la leadership che le viene richiesta», dice l’Economist, anche se la Germania è forte e sempre più sicura di sé, e con al suo fianco alleati come il presidente francese Emmanuel Macron. Questi elementi da soli, comunque, non sono sufficienti: il problema è che il mondo libero vorrebbe avere una nuova guida, ora che gli Stati Uniti non lo sono più e ora che il mondo sembra andare in direzione opposta; ma la Germania, nonostante sia stata individuata come guida, non è oggi in grado di svolgere quel ruolo.