Potremmo sciogliere i morti, invece di cremarli

È una pratica che esiste in alcune zone di Stati Uniti e Canada, e ha i suoi vantaggi

In Italia, quando una persona muore, non ci sono moltissime opzioni su cosa fare del suo corpo: la legge prevede che possa essere seppellito o tumulato (cioè messo in un loculo in muratura) oppure ancora cremato, cioè ridotto in ceneri, che poi possono essere disperse in natura oppure conservate in un’urna. In altri paesi le opzioni sono più numerose, sia per quanto riguarda le tecniche tradizionali di sepoltura, come la sepoltura senza bara, direttamente nella terra, sia per le nuove tecnologie nel campo funerario. Tra queste c’è la tecnica dell’idrolisi alcalina, un’alternativa alla cremazione, che viene svolta non bruciando il corpo ma sottoponendolo a un trattamento fisico e chimico che scioglie organi e tessuti e successivamente polverizza le ossa. È già usata in 14 stati americani e in tre province canadesi. Viene proposta come alternativa alla cremazione più sostenibile a livello ambientale ed è chiamata “biocremazione”, “cremazione verde” o anche “cremazione con l’acqua”.

Un gruppo di giornalisti di BBC ha spiegato come viene eseguito questo processo con un lungo reportage sulla visita al Bradshaw Celebration of Life Center (“Centro Bradshaw per la Celebrazione della vita”), una struttura per il trattamento dei corpi dei morti di un’agenzia di pompe funebri del Minnesota, una delle quattordici al mondo che permette di sottoporre i cadaveri all’idrolisi alcalina. Il Bradshaw Celebration of Life Center offre anche la possibilità di una normale cremazione, allo stesso prezzo, ma grazie a una comunicazione efficace è riuscita convincere molti dei propri clienti per la “biocremazione”: circa l’80 per cento dei corpi che non vengono sepolti in modo tradizionale è sottoposto alla nuova procedura.

Come funziona tecnicamente l’idrolisi alcalina
Per effettuare l’idrolisi alcalina di un corpo è necessario un grosso macchinario rettangolare, alto quasi due metri, largo 1,2 e lungo tre. Il macchinario usato per l’idrolisi al Bradshaw Celebration of Life Center è prodotto da un’azienda britannica che si chiama Resomation ed è stata fondata nel 2006. I corpi dei morti vi vengono inseriti attraverso un portellone metallico, che poi viene sigillato, e sono disposti orizzontalmente. Dopo aver chiuso il portellone, gli addetti dell’agenzia di pompe funebri avviano il macchinario premendo su un tasto: il procedimento dura tra le tre e le cinque ore, quindi un po’ di più rispetto all’unica ora necessaria per le cremazioni vere e proprie. Dopo che il ciclo è stato avviato la macchina pesa il corpo e calcola quanta acqua e quanto idrossido di potassio (una sostanza che tra le altre cose è usata nella produzione della carta e come regolatore di acidità in alcuni prodotti alimentari) saranno necessari per completare l’idrolisi. Servono più o meno 270 litri d’acqua per ogni 30 chilogrammi. La soluzione che si ottiene mescolando acqua e idrossido di potassio è una soluzione alcalina. Visto il suo effetto sul corpo si potrebbe pensare che sia acida, mentre è tutto il contrario: con un pH di circa 14 è estremamente basica.

Dopo che il corpo è stato pesato, lo si immerge in acqua e idrossido di potassio e poi la temperatura viene alzata fino a 152 gradi centigradi. Dopo un tempo che va dai 60 ai 90 minuti tutti i tessuti del corpo si sono sciolti: il liquido che resta viene fatto defluire, mentre le ossa sono prima risciacquate con acqua fredda e poi riscaldate a 120 gradi centigradi per venti minuti, in modo da asciugarsi. L’intero processo può durare fino a quattro ore e ciò che se ne ottiene è da un lato un liquido trasparente, di un colore simile a quello del tè, dall’altro le ossa ed eventuali protesi e dispositivi medici presenti all’interno del corpo del morto. Il liquido contiene amminoacidi e peptidi, ma nessuna traccia di DNA e ha un odore simile a quello del sapone; viene gettato via, attraverso uno scarico, a meno che non abbia un pH inadatto: in quel caso vengono aggiunte altre sostanze che lo rendono innocuo per essere disperso nel sistema fognario.

Il fatto che gli organi e i tessuti di cui erano composti i corpi facciano questa fine è l’aspetto dell’idrolisi alcalina che crea più problemi alle persone a cui viene proposta. I sostenitori dell’idrolisi però spiegano come gli organi e il sangue dei morti siano rimossi e gettati via anche per i corpi che vengono imbalsamati prima di essere sepolti (e questi contengono il DNA a differenza del liquido ottenuto con l’idrolisi) e che parte dei residui delle cremazioni si perde a sua volta.

Dopo essere state estratte dal macchinario per l’idrolisi, le ossa vengono nuovamente sottoposte a una procedura di asciugatura e poi sono inserite in un macchinario che le polverizza: è la stessa cosa che si fa con i resti di una cremazione tradizionale, per questo sarebbe più corretto chiamare le ceneri “polveri”. Rispetto alle ceneri che si ottengono con la cremazione, quelle che restano dopo una procedura di idrolisi alcalina sono più bianche e fini, molto simili alla farina come aspetto, e sono in quantità maggiore: circa il 30 per cento in più rispetto a quelle che si ottengono con la cremazione. Vengono inserite in un’urna e consegnate ai famigliari del morto.

Quali sono i vantaggi dell’idrolisi alcalina?
Uno ce l’ha anche la cremazione: basta un’urna a contenere i resti delle persone, quindi non è necessario occupare altro spazio nei cimiteri. La riduzione dello spazio nei cimiteri è un problema abbastanza sentito in alcuni paesi; nel Regno Unito, ad esempio, si stima che i cimiteri attuali saranno pieni da qui a vent’anni e in alcuni cimiteri di Londra si è cominciato a seppellire i morti sopra altri morti, abbassando il livello delle tombe più vecchie.

Oltre al problema logistico c’è poi quello ambientale: per l’idrolisi alcalina serve una quantità di energia minore di quella necessaria per le cremazioni e si inquina meno il suolo rispetto a quanto si fa seppellendo i cadaveri. Secondo due studi della ricercatrice olandese Elisabeth Keijzer, realizzati nel 2011 e nel 2014, l’idrolisi alcalina è il metodo di trattamento dei corpi dei morti più sostenibile a livello ambientale per diciassette di diciotto aspetti considerati: Keijzer e i suoi colleghi hanno calcolato che se il “costo ambientale” di una sepoltura è equivalente a 63,66 euro (che può variare in base alle tecniche di inumazione dei vari paesi) e quello di una cremazione con feretro (in Europa i corpi vengono cremati insieme alla bara che li contiene, diversamente da quanto avviene negli Stati Uniti) è di 48,47, quello di una procedura di idrolisi alcalina è 2,59 euro. Tuttavia considerando tutto l’inquinamento prodotto da un essere umano contemporaneo nella sua vita, quello dovuto al trattamento del suo corpo dopo la morte è una frazione microscopica.

Quindi ora useremo l’idrolisi alcalina per i corpi dei morti?
Un giorno forse sì, ma di sicuro non presto. Così come ci sono voluti anni perché la cremazione diventasse legale e fosse poi scelta da molte persone – fino al 1963 era proibita dalla Chiesa Cattolica – così probabilmente ci vorrà ancora un po’ di tempo perché questa pratica si diffonda nel mondo e diventi legale. L’idrolisi alcalina comunque non è l’unico metodo innovativo per trattare i cadaveri di cui si sta cominciando a parlare: c’è anche la crioconservazione, per chi spera che un giorno potrà essere riportato in vita, la trasformazione del corpo in compost per concimare il terreno grazie a una procedura con l’azoto liquido o con una semplice sepoltura nel terreno, senza bare. Infine l’artista Jae Rhim Lee ha proposto di ricoprire i corpi dei morti di particolari funghi che si nutrano dei resti umani e intanto riducano l’inquinamento provocato dalla loro decomposizione.