Un documentario “crime” diverso dagli altri

È uscito da due giorni su Netflix, racconta una vecchia storia americana di cronaca nera con una tecnica particolare, e senza ricostruire il crimine di cui parla

Una scena del trailer Casting JonBenet dal 28 aprile su Netflix
Una scena del trailer Casting JonBenet dal 28 aprile su Netflix

Da due giorni è disponibile su Netflix Casting JonBenet, un film della documentarista australiana Kitty Green ispirato a un caso di cronaca nera locale avvenuto nel 1996 nel Colorado, negli Stati Uniti. Il caso è piuttosto noto negli Stati Uniti – l’uccisione di JonBenét Ramsey, una bambina di 6 anni che faceva la reginetta di bellezza – ma il documentario in questione sta ricevendo molte attenzioni perché girato con una tecnica particolare e molto lontana dai “soliti” documentari del genere. Fra gli altri, il film è stato recensito molto positivamente dal Guardian, che lo ha giudicato brillante e originale e non è riuscito a inquadrarlo in un unico genere, dato che contiene elementi crime, satirici e tragici e a tratti assomiglia a un dramma di teatro dell’avanguardia.

La scelta più originale di Green riguarda la modalità narrativa, già utilizzata dalla regista nel corto del 2015 The Face of Ukraine: Casting Oksana Baiuldel. Nel film non è presente una voce narrante che guidi lo spettatore nell’interpretazione di ciò che vede e ascolta, né viene mostrata alcuna immagine di archivio legata all’evento. I personaggi sono gli abitanti di Boulder, la città nel Colorado dove Ramsey viveva, ripresi mentre partecipano a un finto casting per scegliere gli attori che interpreteranno i personaggi di un ipotetico film sulla storia dell’omicidio. Così facendo, Green ha raccolto gli aneddoti, i ricordi e le sensazioni degli abitanti della città, concentrandosi più sugli effetti che la vicenda ha avuto e ha sulle persone della comunità, piuttosto che sul caso di omicidio, che resta irrisolto.

JonBenet Ramsey, che nel 1996 aveva sei anni, venne trovata morta nella cantina di casa dei suoi genitori otto ore dopo la denuncia della sua sparizione. Sul suo corpo furono trovate fratture e segni di molestie sessuali e in un primo momento furono sospettati dell’omicidio i genitori e il fratello undicenne Burke. Una delle tesi dell’accusa sosteneva che a uccidere la bambina fosse stato il fratello, e che i genitori avessero poi coperto il reato commesso dal figlio. Nel 2003 i risultati di un test del DNA scagionarono parzialmente la famiglia, i cui membri furono prosciolti nel 2008 per mancanza di prove.

A differenza di quello che si può immaginare dal titolo, le parti dedicate al casting per il ruolo di JonBenet sono solo una piccola parte del film, in alcune delle quali le bambine candidate posano in foto sorridendo come la vera JonBenet, che nei suoi sei anni di vita partecipò a diversi concorsi di bellezza per bambine, abbastanza diffusi negli Stati Uniti e nei quali la madre era inserita perché ex Miss West Virginia del 1977.

La maggior parte del film è invece dedicata alle audizioni degli attori locali, ripresi mentre espongono ricordi e formulano teorie sull’evento, in alcuni casi mostrando simpatia per la famiglia Ramsey, in altri parlando del caso atteggiandosi come chi ha una certa autorevolezza in merito. Il risultato, hanno scritto su Vox, è un film che riesce a commuovere profondamente, sorprendere, e in alcuni momenti persino a divertire. Il New York Times ha invece criticato lo schema un po’ trito del film, che resta lo stesso per un’ora e venti, ma ha anche apprezzato il fatto che in così poco tempo siano messi sul tavolo diversi temi importanti:

«L’identità come performance; la performance come un’identità; il ciclo del gossip; l’impatto del sensazionalismo dei media; la trasformazione delle bambine in oggetti sessuali; e più in generale, gli Stati Uniti. L’unica solida conclusione a cui si arriva, però, è che un omicidio può essere sfruttato all’infinito».