Chi ha ucciso il cliffhanger?
Il famoso meccanismo che veniva usato per tenere gli spettatori attaccati alle serie tv è molto cambiato, e la colpa è di...
Big Little Lies era una delle serie tv più attese dell’ultimo anno e meglio recensite delle ultime settimane: l’ultimo dei sette episodi sarà trasmesso in Italia il 19 aprile e – tranquilli, NESSUN TIPO DI SPOILER – finalmente si scopriranno un po’ di cose. La serie finisce infatti con la morte di qualcuno (“Somebody’s Dead”, “qualcuno è morto”, è addirittura il titolo del primo episodio) ma non si sa niente di più, perché i numerosi ma brevi momenti in cui se ne parla non dicono in realtà molto. Che la guardiate o meno la questione è semplice: si passa tutta la serie a aspettare una morte, forse un omicidio e a chiedersi, senza in realtà avere molti elementi a riguardo di chi sia morto e chi, nel caso, forse, l’abbia ucciso (o uccisa). Come ha scritto Megan Garber sull’Atlantic, «è una domanda fondamentale, posta fin dall’inizio» della serie e la cui risposta è attesa «per un lungo, irritante e allo stesso tempo stuzzicante periodo di tempo». Secondo Garber succede una cosa simile in altre recenti serie tv – Riverdale e This Is Us, per esempio – ed è il segno di un cambiamento.
La maggior parte delle serie tv classiche – quelle di uno o due episodi a settimana – funzionavano e ancora funzionano sfruttando il cliffhanger. In inglese “cliff” significa scogliera, o roccia (una a cui ci si possa aggrappare) e il cliffhanger è il momento alla fine di un episodio in cui si vede che sta per succedere qualcosa – per esempio, qualcuno è in pericolo – ma l’episodio finisce prima che si scopra se e come quel personaggio riuscirà a salvarsi. È un termine che, pare, si cominciò a usare per via di un capitolo del libro di Thomas Hardy del 1873 Due occhi azzurri, che finiva con un personaggio appeso in bilico a una roccia. Letteralmente un cliffhanger.
Il cliffhanger, in una serie tv, serve a mantenere vivo l’interesse di chi guarda, a far sì che si ponga delle domande, che ne parli con altri spettatori e soprattutto che, una settimana dopo, abbia voglia di vedere cosa succede. Le serie tv in streaming – per esempio quelle di Netflix che si possono vedere una dopo l’altra – in genere non ne hanno tra un episodio e l’altro o ne hanno di meno potenti, perché è meno importante convincere gli spettatori a ritornare davanti alla televisione per vedere come prosegue la storia, ma molte serie si basano ovviamente su una domanda di fondo – “come finisce tutta questa storia?”, “ma come ci sono finiti lì?”, “ma alla fine si innamorano?” – che ottiene risposta solo (e non sempre) alla fine dell’ultimo episodio dell’ultima stagione.
Poche serie però erano in passato interamente basate, come Big Little Lies, su domande la cui risposta non è nemmeno accennata per tutta una stagione. Era anzi considerato strano – e da qualcuno pure fastidioso – che Game of Thrones ci avesse messo così tanto a dare quella risposta su cosa ne fosse stato di Jon Snow o che Dallas ci avesse messo otto mesi a rispondere alla domanda “chi ha sparato a J.R.?”. Successe nel 1980 quando, appena prima della fine della seconda stagione, qualcuno di non riconoscibile sparò a J.R. Ewing, il cattivo della serie. Uno dei cliffhanger televisivi più famosi di sempre.
Per mesi la frase “Chi ha sparato a J.R.?” divenne un tormentone negli Stati Uniti. CBS, il network che produceva Dallas, decise di investire molto nel marketing della serie; la frase finì sulle prime pagine dei principali giornali statunitensi e fu ripresa persino dal presidente Jimmy Carter, che disse che non avrebbe avuto problemi a finanziare la sua campagna per la rielezione se solo avesse saputo «chi ha sparato a J.R.». La risposta alla domanda arrivò otto mesi dopo: l’episodio “Who Done It” (“Chi è stato”) ebbe il 76 per cento di share e fu visto da 90 milioni di spettatori statunitensi.
Garber ha scritto che serie tv come Big Little Lies hanno fatto evolvere il «vecchio trucchetto della narrazione» che è il cliffhanger: «La suspense che creano, più che trovare soddisfazione nell’episodio o nella stagione successiva, si allunga nel tempo. Non si tratta di spettatori appesi a una roccia ma di spettatori che sono lì senza fretta. I loro misteri se ne stanno lì, languidamente». La principale peculiarità delle serie tv che secondo Garber hanno fatto evolvere il cliffhanger è che concentrano tutta la storia su una singola domanda senza risposta (almeno fino alla fine), mentre i cliffhanger “classici” mettevano la domanda – e l’attesa di risposta – «nei momenti vuoti»: tra un episodio e l’altro, o tra una serie e l’altra. «Big Little Lies, Riverdale e This Is Us hanno preso la logica di “chi ha ucciso J.R.” e l’hanno ribaltata. La tensione non esiste (non solo) per catturare l’attenzione dello spettatore» ma per trasformare «un occulto mistero nella vera essenza della storia». «È come cuocere a fuoco lento anziché far bollire».
Anche perché, comunque, è molto probabile che dopo che uno spettatore abbia iniziato una serie tv, investendo ore nei primi episodi, continui a farlo fino alla fine, che la serie tv gli piaccia o no, perché c’è una sorta di punto di non ritorno superato il quale quasi chiunque continua a vedere una serie tv.