Quello che gli altri pensano di noi

È diventato un fattore delle nostre vite potentissimo e differente, con internet: ne scrivono un libro e Marco Belpoliti su Repubblica

Due soldati dell'esercito britannico in un campo addestramento nel 1928.(Fox Photos/Getty Images)
Due soldati dell'esercito britannico in un campo addestramento nel 1928.(Fox Photos/Getty Images)

Su Repubblica di martedì Marco Belpoliti ha parlato del nuovo libro della filosofa Gloria Origgi, La reputazione, che riflette su come abbia funzionato in passato il meccanismo di costruzione di una propria identità da presentare agli altri e su come funzioni oggi, con internet e i social network. Origgi identifica i due principali cambiamenti in questo meccanismo nel fatto che oggi «ciascuno può verificare in prima persona la misura della propria reputazione», e nel fatto che «basta un nonnulla, come mostrano casi anche recenti, per perderla».

L’ultima cosa che impariamo nella vita, ha scritto una volta George Eliot, è l’effetto che facciamo agli altri. Eppure nell’età dei social network questo è diventato una delle cose più importanti. Come ci ricorda la filosofa Gloria Origgi in “La reputazione” (Università Bocconi Editore), possediamo due Io, che ci condizionano, sia per quello che siamo sia per come agiamo. Da un lato, c’è la nostra “identità”, composta di esperienze propriocettive, sensazioni fisiche incarnate nel corpo; dall’altro, la nostra “reputazione”, il sistema potentissimo di «retroazioni del sé su se stesso che costituisce la

nostra identità sociale e che integra nell’autopercezione il come ci vediamo visti». Si tratta del nostro secondo Io, che un sociologo americano, Charles Horton Cooley, all’inizio del Novecento ha definito «l’io che si riflette allo specchio». Da quando esistono quegli specchi sociali che sono il Web e i social network, e la stessa pratica del Selfie, la nostra immagine è moltiplicata nello sguardo degli altri. Di più. «L’io sociale, che controlla la nostra vita fino a condurci ad atti estremi – scrive Origgi – non ci appartiene: è la parte di noi che vive negli altri». La vicenda di Tiziana, come di altre ragazze, le cui immagini private sono state diffuse nel web con conseguenze tragiche, dimostrano la veridicità di quest’affermazione. Vergogna, imbarazzo, amor proprio, colpa, orgoglio sono i principali sentimenti ed emozioni che l’io sociale provoca in noi, in particolare in chi cura e diffonde le proprie immagini usando Facebook, Twitter o Instagram.

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