Google ha fatto causa a Uber

Sostiene che un suo ex dirigente abbia sottratto 14mila file riservati per sviluppare sistemi di guida automatica, usati per fondare una società poi acquisita da Uber

(Waymo - FCA)
(Waymo - FCA)

Google ha accusato Anthony Levandowski – uno dei suoi ex dirigenti più importanti nello sviluppo delle automobili che si guidano da sole – di avere sottratto migliaia di file contenenti informazioni riservate sulle sue tecnologie usate per la guida autonoma, sfruttandole in un secondo momento per sviluppare i sistemi di Otto, azienda per la guida automatica costituita dallo stesso Levandowski e poi acquisita da Uber. La vicenda potrebbe portare a un contenzioso legale con pochi precedenti per Alphabet – la holding che controlla Google – e che ieri ha presentato formalmente una causa contro Otto e Uber attraverso Waymo, la società costituita nel 2016 e nella quale è confluita la divisione di Google che fino ad allora si era occupata della progettazione delle automobili che si guidano da sole.

14mila file rubati
Nei documenti presentati in un tribunale di San Francisco (California), Waymo sostiene che Otto sia riuscita a produrre in breve tempo un proprio sistema laser (basato sulla tecnologia LiDAR, una sorta di radar che permette all’automobile di rilevare l’ambiente e gli ostacoli che ha intorno) copiando i progetti e i documenti di Google. Sarebbe stato Levandowski a fornire la documentazione, sottraendo 14mila documenti “altamente confidenziali” poco prima di lasciare Google e nei quali c’erano anche i dettagli per costruire un circuito stampato essenziale per far funzionare il LiDAR.

È cominciato tutto da un errore in un’email
Waymo dice di avere scoperto quello che avrebbe fatto Levandowski analizzando il suo computer aziendale che utilizzava prima di andarsene. Verifiche di questo tipo non sono eseguite abitualmente, ma i responsabili dell’azienda hanno deciso di procedere quando un loro impiegato ha ricevuto una strana email, nella quale era stato incluso in copia per errore. Il messaggio era stato inviato da uno dei fornitori dei componenti per produrre i LiDAR e riportava come oggetto “Otto Files”. L’email era indirizzata a una serie di persone che secondo Waymo fanno parte di Uber e comprendeva, in allegato, i progetti per costruire un circuito stampato per il LiDAR di Otto che secondo Waymo era tale e quale al proprio.

Insospettiti, i responsabili della sicurezza di Waymo hanno recuperato il computer aziendale usato da Levandowski e hanno analizzato la cronologia del browser, i file passati attraverso la memoria, i registri sui dispositivi che erano stati collegati, e rilevando un trasferimento di 14mila file dal computer a un disco esterno. Nei documenti della causa, quelli di Waymo sostengono che in questo modo Levandowski sia riuscito a fare uscire dall’azienda informazioni fondamentali per costruire un LiDAR migliore di quelli della concorrenza, tale e quale ai dispositivi utilizzati sulle automobili che si guidano da sole di Google.

Uno dei passaggi più significativi della causa sostiene:

Il circuito stampato copiato rispecchia la tecnologia LiDAR altamente confidenziale di proprietà di Waymo e segreti industriali della stessa Waymo. Inoltre, il circuito stampato copiato è specificamente progettato per essere utilizzato insieme a molti altri segreti industriali di Waymo e nel contesto dei sistemi LiDAR coperti da brevetti di Waymo.

I legali sostengono quindi che la copia delle tecnologie sia molto più estesa, perché quel tipo di LiDAR può funzionare solamente se si applicano altre tecnologie coperte da brevetti di Waymo. Per dare maggiore sostanza alle loro accuse, gli avvocati hanno anche ottenuto le comunicazioni tra Otto e lo stato del Nevada, dove la società ha sperimentato i suoi veicoli a guida autonoma. In queste, Otto sostiene di avere costruito da zero un proprio LiDAR e di non avere utilizzato versioni commerciali già disponili sotto licenza. Secondo Waymo, ciò dimostra che l’azienda ha potuto realizzare un proprio LiDAR in pochissimo tempo copiando dai suoi progetti.

Chi è Anthony Levandowski
Anthony Levandowski
ha 36 anni e si occupa da tempo di automobili che si guidano da sole. I suoi primi progetti in tema risalgono agli anni in cui studiava presso la University of California, Berkeley; poi nel 2007 fu assunto da Google dove iniziò a lavorare nella divisione dell’azienda che si occupa di Street View. In seguito Google acquisì la sua startup 510 Systems dedicata alla progettazione dei sistemi di rilevamento laser per la guida autonoma dei veicoli. Stando a diversi siti di tecnologia, negli ultimi anni Levandowski aveva maturato una certa insoddisfazione nei confronti di Google, che aveva raggiunto grandi progressi nella guida automatica ma senza avere le idee chiare su cosa farne dal punto di vista commerciale.

Già verso la fine del 2015, quando era ancora dipendente di Google, Levandowski aveva iniziato a lavorare a un progetto alternativo, che avrebbe portato alla sua uscita dall’azienda e alla costituzione di Otto nel gennaio del 2016. Secondo la ricostruzione degli avvocati di Waymo, Levandowski aveva detto ad alcuni colleghi in Google di volere “riprodurre” il LiDAR e altre tecnologie in una nuova azienda. Le date indicate nella causa non sembrano essere molto a sua favore: Levandowski visitò la sede di Uber a San Francisco il 14 gennaio 2016, il giorno seguente avviò la fondazione di Otto e meno di due settimane dopo lasciò Google senza preavviso; ad agosto dello stesso anno Uber formalizzò l’acquisizione di Otto per 680 milioni di dollari. Gli avvocati di Waymo segnalano un’altra particolare coincidenza: Uber annunciò l’acquisizione di Otto poco dopo che Levandowski ottenne la sua liquidazione multimilionaria da parte di Google.

Cosa c’entra Uber
Fino all’inizio del 2016, Uber sembrava essere concentrata sulla sua attività principale, cioè il servizio di automobili con autista prenotabili tramite applicazione, e di non avere idee e piani chiari per entrare nel settore dei veicoli che si guidano da soli. Il periodo era lo stesso in cui Otto iniziava a far parlare di sé, sia per la presenza di Levandowski, sia per il principale obiettivo dichiarato dalla società legato alla produzione di sistemi di guida automatica per i camion e non per le automobili. Poi, in pochi mesi, le cose per Uber sono cambiate a una velocità sorprendente: a luglio del 2016 l’azienda ha annunciato un progetto per un servizio di auto a chiamata che si guidano da sole a Pittsburgh, il mese dopo ha formalizzato l’acquisizione di Otto e a settembre ha avviato le prime corse a Pittsburg.

Quasi tutte le automobili che si guidano da sole, Tesla a parte, utilizzano il LiDAR per rilevare le cose che hanno intorno e integrare queste informazioni con quelle raccolte dagli altri sensori di bordo. Non ne esiste una sola versione, quindi ogni produttore ha grandi interessi nel creare un LiDAR migliore per rendere più accurata e sicura la sua guida autonoma. La divisione di Google, poi confluita in Waymo, ha impiegato anni per realizzare un LiDAR considerato oggi tra i migliori al mondo e che la società conta di dare in licenza ai produttori tradizionali di automobili (un primo accordo riguarda FIAT-Chrysler). Uber, si legge nella causa, fino ad agosto 2016 non aveva una tecnologia LiDAR affidabile, nonostante un progetto di ricerca condotto per 18 mesi con la Carnegie Mellon University (Pittsburgh); poi ha acquisito Otto e d’improvviso ha avuto un LiDAR funzionante ed efficace.

Uber ha risposto alle accuse di Waymo dicendo di volere approfondire la vicenda “accuratamente” prima di fornire altre dichiarazioni. Lo scorso anno in un’intervista concessa a Forbes, quindi molti mesi prima che fossero mosse accuse nei suoi confronti, Levandowski aveva detto: “Non abbiamo rubato nessuna proprietà intellettuale di Google. Voglio che questo sia super chiaro. Abbiamo costruito tutto da zero e abbiamo tutti i documenti per dimostrarlo”.

Concorrenza
Grazie ai progressi raggiunti negli ultimi anni, la concorrenza nel settore della guida autonoma si è fatta estremamente serrata, soprattutto tra le aziende della Silicon Valley. Da una parte ci sono aziende ormai affermate e con grandi disponibilità come Alphabet e Uber, dall’altra numerose startup che sperimentano soluzioni creative e se possibile più avveniristiche per la guida automatica, applicando per esempio sistemi per l’intelligenza artificiale. Dopo un periodo di grandi cautele, giustificate in parte dalla crisi del settore seguita a quella economica, le case automobilistiche tradizionali guardano con grande interesse alle aziende che sviluppano le tecnologie per la guida autonoma. Per recuperare il tempo perduto ed evitare di partire da zero, aziende come Ford acquisiscono le startup più promettenti del settore, ottenendo brevetti e tecnologie da applicare ai loro nuovi veicoli per renderli autonomi.

Alphabet sta avviando collaborazioni e contratti con le case automobilistiche per l’utilizzo, sotto licenza, dei suoi brevetti e delle sue tecnologie, e non può quindi permettersi che le stesse siano usate dai concorrenti per avvantaggiarsi come sostiene sia avvenuto nel caso di Uber. I piani di Alphabet non sono inoltre molto chiari e non si può escludere che in un futuro, neanche troppo lontano, avvii collaborazioni per rendere Waymo una società che gestisce un servizio di automobili a chiamata che si guidano da sole come sta facendo Uber, sfruttando i sistemi di Otto.