Il cantante e chitarrista Dave Matthews è nato il 9 gennaio 1967 in Sudafrica, e oggi compie 50 anni: ha vissuto dai due anni in poi negli Stati Uniti, dove è diventato famosissimo tra gli anni Novanta e i Duemila con la sua Dave Matthews Band, un gruppo che ha sfornato un sacco di dischi finiti in testa alle classifiche americane. Le loro canzoni sono un po’ rock e un po’ folk, a volte mascherate con atmosfere jazz, spesso più articolate ritmicamente e melodicamente di quelle del loro stesso campionato: e sempre con attenzioni particolari per la parte strumentale, dimostrate soprattutto negli spettacolari e lunghi concerti (molto affollati, per via di una base di fan molto vasta e affezionata) in cui si divertono a rigirare e cambiare le proprie canzoni.
Under the Table and Dreaming, il loro primo disco del 1994, arrivò all’undicesimo posto delle classifiche di vendita americane; Crash, del 1996, arrivò fino al secondo posto: da lì in avanti sono sempre arrivati al primo posto, fino al loro ultimo disco in studio, Away from the World del 2012. Matthews è sempre stato il leader e il componente più in vista della band, nella cui formazione iniziale c’era anche il sassofonista LeRoi Moore, morto nel 2008 per le conseguenze di un incidente mentre guidava un quad nella sua fattoria in Virginia. Nel 2017 la Dave Matthews Band si è presa il primo anno di pausa dai concerti da quando esiste, forse per fare un nuovo disco. Finora ne hanno venduti più di 30 milioni. Queste sono le sette canzoni scelte da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, per il libro Playlist, la musica è cambiata.
Dave Matthews Band
Un caso affascinante dell’industria discografica: pur facendo un genere di musica del tutto internazionale e convenzionale (tra jazz-rock e southern rock) ed essendo tra le band di maggior successo commerciale negli Stati Uniti, in Europa li conoscono a malapena. La verità sta nel mezzo.
Satellite
(Remember two things, 1993)
“Esci, vai fuori, vedi qualcuno, fatti una passeggiata, invece di stare sempre attaccato a quel computer” (a scaricare mp3 della Dave Matthews Band).
Ants marching
(Remember two things, 1993)
Siamo tutti formichine, ma non nel senso alacre e simpatico della metafora tradizionale: la nostra vita è dissennata, forsennata, concitata, senza una virgola di cambiamento. Finisce la settimana, comincia la settimana successiva. Con tutto un divertissement ritmico sotto.
Crash into me
(Crash, 1996)
Senza confondersi con la assai più esplicita “Sbattiamoci” di Renato Zero, la traduzione letterale del titolo in “Sbattimi dentro” si presterebbe comunque a divertenti multipli sensi. Un lentone: Matthews disse che parlava di un ragazzo che fa la posta a una signora assai più grande di lui.
So much to say
(Crash, 1996)
Il titolo è ripetuto ventiquattro volte, malgrado il concetto che esprime e senza apparente ironia. Comunque, ci vinsero un Grammy.
Crush
(Before these crowded streets, 1998)
Bella canzone con attacco jazz, ottima per una colonna sonora di scene notturne, metropolitane, tese e drammatiche ma con un brandello di speranza sul domani.
Where are you going?
(Busted stuff, 2002)
Dove stai andando? Sui lenti, la Dave Matthews Band emoziona di più, malgrado le inclinazioni della band alle complessità strumentali.
Gravedigger
(Some devil, 2003)
Grande atmosfera. Come in un’Antologia di Spoon River, ogni lapide ha una richiesta per chi scaverà la sua fossa: per esempio che non sia troppo profonda, per poter sentire la pioggia.