Scenari politici, spiegati bene

Una guida per capire queste giornate complicate: chi vuole elezioni subito e chi un nuovo governo? A chi conviene cosa? E soprattutto, cosa farà Matteo Renzi?

In questi giorni la situazione politica italiana è incerta e fluida: Matteo Renzi ha dato le dimissioni da presidente del Consiglio e sono in corso le consultazioni per cercare un suo successore alla guida del governo. Su cosa accadrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni circolano molti retroscena e ipotesi, spesso in contraddizione le une con le altre. Non è facile prevedere cosa accadrà, anche perché gli stessi protagonisti di queste vicende non hanno ancora le idee del tutto chiare su quali mosse converrà loro intraprendere. Abbiamo preparato una guida semplice per cercare di orientarsi tra le notizie di questi giorni.

Chi vuole andare alle elezioni subito?
Al momento, la grande divisione tra le forze politiche è tra chi vuole andare a elezioni il prima possibile e chi invece è aperto alla possibilità di appoggiare un governo che duri più a lungo, magari fino alla scadenza naturale della legislatura, nella primavera del 2018. A favore dell’ipotesi elezioni subito ci sono soprattutto le due forze politiche che più di tutte le altre hanno fatto campagna per il No al referendum e contro il governo Renzi: il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord. Anche i principali leader di Forza Italia hanno detto di essere favorevoli a un voto tra non molto (Berlusconi è stato più ambiguo e il partito appare abbastanza diviso: ci torniamo tra poco).

Le ragioni tattiche di chi vuole andare subito al voto sono abbastanza chiare: capitalizzare rapidamente il risultato positivo ottenuto al referendum e sfruttare il momento negativo che sta vivendo il governo e il centrosinistra. La loro motivazione politica, invece, è che il risultato del referendum mette fine al mandato politico di questa legislatura e rende opportuno la formazione di un Parlamento che rifletta più fedelmente le attuali opinioni degli elettori. La scelta di andare a votare subito però ha delle controindicazioni sia per il Movimento 5 Stelle che per la Lega Nord, perché con ogni probabilità significa eleggere i nuovi membri della Camera con l’Italicum modificato dalla Corte Costituzionale (la sentenza è attesa per il 24 gennaio) e al Senato con il cosiddetto “Consultellum”, ossia il “Porcellum” dopo le modifiche fatte dalla Corte Costituzionale (qui avevamo spiegato l’intricata questione delle leggi elettorali). Oppure proprio per questo gli conviene?

Il punto è che si rischia di andare a votare con due leggi elettorali proporzionali senza premio di maggioranza. Questo significa, da un lato, che molto difficilmente il Movimento 5 Stelle potrà sperare di ottenere una maggioranza da solo (con una legge proporzionale gli servirebbe circa il 50 per cento dei voti, a meno di non voler fare alleanze) mentre il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, avrà grosse difficoltà a diventare il leader di una coalizione di centrodestra (senza premio di maggioranza, infatti, Forza Italia non ha molte ragioni per allearsi con la Lega e organizzare primarie per scegliere il leader di coalizione). Altri sostengono però che proprio per questo Lega e M5S vorrebbero votare subito: potrebbero andare comunque molto bene – il M5S potrebbe anche diventare il primo partito in termini di voti – e costringere PD e Forza Italia ad allearsi per fare un governo di grande coalizione, l’ennesimo, i cui inevitabili compromessi scontenterebbero i loro elettori e rafforzerebbero ulteriormente i partiti di opposizione più radicali, cioè proprio M5S e Lega.

Chi vuole un nuovo governo?
Gli esponenti della minoranza del Partito Democratico schierati per il No e altri dirigenti del partito hanno detto apertamente, o fatto capire, che sono favorevoli all’ipotesi di un nuovo governo, magari con un nuovo presidente del Consiglio (i nomi che si fanno in queste ore sono soprattutto quelli dei ministri Dario Franceschini, Pier Carlo Padoan e Paolo Gentiloni). Secondo i retroscena pubblicati dai giornali, da prendere quindi con una certa cautela, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella preferirebbe la formazione di un nuovo governo che porti avanti la legislatura.

È importante sottolineare che, sempre stando a quanto scrivono i giornali, in quasi tutti i partiti esistono fazioni che più o meno segretamente sono favorevoli a rimandare le elezioni anticipate. Alcuni leader di Forza Italia, per esempio, sono aperti a sostenere un nuovo governo; lo stesso Silvio Berlusconi in alcune occasioni è sembrato lasciare intendere che il suo appoggio a un altro governo non è da escludere (ma è pur sempre Berlusconi).

Le ragioni per volere un nuovo governo sono molto varie. Il PD al momento ha la maggioranza relativa alla Camera e al Senato: sarà la forza principale che dovrà sostenere il nuovo governo e quella che con ogni probabilità ne avrà la guida. Per alcuni leader del PD, quindi, questa è una delle ultime occasioni per diventare presidenti del Consiglio. Per altri, evitare le elezioni subito potrebbe permettere di approvare una nuova legge elettorale unitaria per entrambe le camere, cosa che però richiederà mesi di difficili trattative e un governo stabile (se fosse facile fare una legge elettorale in venti giorni, come dicono alcuni, non ci sarebbero il Porcellum e i suoi eredi da dieci anni). Anche lo scenario di una nuova legge elettorale potrebbe essere un incentivo a rimandare il voto per alcuni partiti: un sistema proporzionale con premio di maggioranza assegnato alla coalizione permetterebbe ai partiti più piccoli di continuare a essere rilevanti, perché le formazioni più grandi saranno costrette a formare ampie coalizioni nel tentativo di raggiungere il premio. A questo bisogna aggiungere la teoria, non solidissima, secondo cui molti parlamentari vogliono che la legislatura prosegua in modo da ottenere la pensione.

Ci sono anche ragioni meno “tattiche” per voler rimandare le elezioni. Il sistema bancario italiano si trova in una situazione molto complicata: un governo stabile, che rimanga in carica per il prevedibile futuro, potrebbe aiutare a risolvere alcune delle crisi più urgenti. Il nostro paese, inoltre, dovrà ospitare una serie di eventi internazionali nel corso del 2017, come il G7 che si terrà a Taormina il prossimo maggio. Arrivare a questi appuntamenti con un governo dimissionario ed elezioni imminenti rischia di mostrare al mondo l’immagine di un paese instabile e inaffidabile.

E Renzi?
Matteo Renzi, presidente del Consiglio dimissionario e segretario del PD, è una delle persone che influenzeranno di più il corso degli eventi nelle prossime settimane. Giornalisti ed esperti sono molto incerti su quali siano attualmente i suoi piani (trovate questa incertezza esemplificata in alcune prime pagine dei principali quotidiani usciti in questi giorni). Secondo alcuni Renzi punta alle elezioni anticipate, secondo altri vorrebbe appoggiare un nuovo governo, altri ancora dicono che accetterà un reincarico da Mattarella o che addirittura stia pensando di ritirarsi dalla vita politica per un periodo.

Quello che sappiamo per certo è quello che ha detto nel corso della direzione nazionale del PD, mercoledì pomeriggio, prima di presentare formalmente le sue dimissioni al presidente della Repubblica. Renzi ha detto che è disposto ad appoggiare un nuovo governo, ma ad alcune condizioni. Dovrà esserci un largo sostegno parlamentare e il nuovo governo non dovrà essere attaccato tutti i giorni dall’opposizione. In altre parole Renzi ha detto che non vuole fare la fine dell’ex segretario del PD Pierluigi Bersani, che nel corso del 2012 si consumò appoggiando un governo impopolare, quello di Mario Monti, e fu poi sconfitto alle elezioni del 2013. Il problema è che è irrealistico pensare che le opposizioni, soprattutto Movimento 5 Stelle e Lega Nord, decidano di abbassare i toni delle loro critiche o di sostenere un governo con PD e Forza Italia. È possibile che Forza Italia decida di dare il suo appoggio a un nuovo governo, ma il rischio è che comunque Berlusconi si sfili dal governo all’ultimo momento (esattamente come fece nel 2012 con Monti), lasciando da soli il PD e NCD, cioè l’attuale maggioranza.

Andare a elezioni subito è probabilmente una delle scelte che aiuterebbero Renzi a minimizzare i danni causati dalla sconfitta al referendum. Gli permetterebbe di non logorarsi appoggiando per mesi un governo che sarà probabilmente poco popolare e gli consentirà di capitalizzare i voti ottenuti dal Sì il 4 dicembre (per quanto non sono necessariamente voti che otterrà automaticamente il PD, il Sì ha ottenuto 13 milioni di voti, due milioni in più rispetto a quelli ottenuti dal PD alle europee del 2014). Inoltre, secondo lo statuto del PD, Renzi è automaticamente il candidato presidente del Consiglio in quanto segretario del partito, una carica che – a meno di dimissioni o di “rivolta interna” – continuerà a mantenere fino al congresso dell’autunno 2017. Molto però deve ancora essere deciso: il referendum ha probabilmente cambiato i rapporti di forza interni al PD e le strade, per il momento, sembrano ancora essere tutte aperte.