Che aria tira al CNEL, intanto

Dicono che il loro ruolo è stato «sottovalutato» durante la campagna elettorale, ma anche che «adesso dobbiamo dimostrare veramente di essere utili»

Villa Lubin, sede del Cnel, il giorno dopo il referendum costituzionale, Roma, 5 dicembre 2016 (ANSA/ GIORGIO ONORATI)
Villa Lubin, sede del Cnel, il giorno dopo il referendum costituzionale, Roma, 5 dicembre 2016 (ANSA/ GIORGIO ONORATI)

La riforma sottoposta a referendum costituzionale il 4 dicembre – e bocciata – prevedeva tra le altre cose anche la soppressione del CNEL, forse l’unica cosa su cui erano sostanzialmente d’accordo anche i partiti e i movimenti che avevano fatto campagna elettorale per il No. Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) è un organo previsto dalla Costituzione (all’articolo 99) e che dovrebbe funzionare da organo consultivo su materie economiche per il Parlamento. Originariamente il CNEL aveva 112 membri, di cui 99 in rappresentanza di sindacati dei lavoratori e associazioni di imprenditori, ai quali si aggiungevano 12 esperti del mondo accademico e un presidente.

La Costituzione assegna al CNEL la facoltà di promuovere disegni di legge, funzione però che non è mai stata usata nella storia dell’ente. L’idea originale dei costituenti era creare un organo che fungesse da collegamento tra mondo dell’impresa e del lavoro e istituzioni parlamentari. Di fatto nel corso della sua storia il CNEL ha offerto un contributo piuttosto ridotto allo sviluppo di leggi. Il CNEL costava in passato circa 20 milioni di euro l’anno, ma successive riforme hanno ridotto i suoi costi. Attualmente si era calcolato che la sua definitiva abolizione avrebbe portato a un risparmio di circa 5-10 milioni di euro l’anno, a seconda delle stime.

Dopo la vittoria dei No al referendum in molti avevano scherzato ipotizzando grandi festeggiamenti a Villa Lubin, a Roma, dove ha sede il CNEL. Il vicepresidente Gian Paolo Gualaccini ha risposto spiegando che non c’era stato «nessun festino, né trenini, né champagne. Noi qui non prendiamo indennità da quasi due anni». Gualaccini ha anche spiegato che «in 80 paesi del mondo esistono i CNEL. Ne ha uno anche l’Unione Europea e si chiama CESE. In Italia la legge ordinaria che lo regola è vecchia di 30 anni e andrebbe riformata per cambiare mission, governance, numero di consiglieri». Poi Gualaccini ha spiegato come il bilancio di 8 milioni l’anno non sarebbe stato tagliato anche con una vittoria del Sì: «I dipendenti andavano comunque a lavorare in altri uffici statali e la villa storica dove stiamo andava comunque mantenuta».

In un video di ANSA Gualaccini ha detto: «Siamo diventati improvvisamente famosi», «Adesso dobbiamo dimostrare veramente di essere utili a governo e parlamento». E poi: «Il CNEL è importante perché è un organo costituzionale che è la casa delle parti sociali (…) ed è il luogo dove i cosiddetti corpi intermedi devono fare la fatica di trovare la sintesi e offrirla al governo e al parlamento di turno». E ancora: «Dobbiamo saper dimostrare di fare quello che la costituzione ci chiede».

Il presidente del CNEL, Delio Napoleone, è stato invece intervistato da Adnkronos: «L’ironia va colta sempre nel suo lato positivo. Non do risposte di pancia. Mi ha colpito, certo, la facilità con cui una parte della politica e dell’informazione ha sottovalutato il ruolo del CNEL, organo di rilevanza costituzionale, ma le cui origini risalgono agli inizi del ‘900. In ogni caso, quella di domenica è stata una battaglia democratica grande e importante». Napoleone ha spiegato che il risultato del referendum è chiaro: «Per i cittadini l’art.99 della Costituzione non va toccato e il collegamento tra il mondo del lavoro, la politica, i corpi rappresentativi intermedi, interrotti da troppo tempo, vanno ripristinati, in modo da favorire l’armonizzazione degli interessi di capitale e lavoro: è stato riconosciuto il nostro ruolo come valore aggiunto della democrazia».