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  • Martedì 25 ottobre 2016

Gli infiniti guai dei giornali in Italia

Un'analisi di Pagina 99 sui quotidiani che continuano a perdere copie vendute e pubblicità, faticando a recuperare online

(Chris Ware/Keystone Features/Getty Images)
(Chris Ware/Keystone Features/Getty Images)

Lelio Simi ha scritto su Pagina 99 un’analisi sulla crisi dei giornali in Italia, tema dibattuto molto spesso, ma non sempre avendo la consapevolezza della sua estensione e informazioni certe su numeri e dati. I problemi per gli editori dei giornali sono molti e hanno al centro un costante calo delle vendite negli ultimi 20 anni: nel 1996, per esempio, il Corriere della Sera vendeva in media 647mila copie al giorno; nel 2015 sono diventate 285mila, un calo del 56 per cento. Le cose non sono andate meglio per gli altri grandi quotidiani come Repubblica e il Sole 24 Ore. A peggiorare le cose c’è stata una progressiva riduzione negli investimenti pubblicitari, iniziata intorno al 2008 e che ancora oggi è tra le cause dei minori ricavi per i giornali: tra fine 2008 e fine 2009, il calo è stato di 232 milioni di euro per RCS, di 111 milioni per il Gruppo Repubblica-Espresso e di 57 milioni per il Gruppo 24 Ore. Negli ultimi anni i grandi gruppi non sono inoltre riusciti a compensare i minori ricavi derivanti dalle loro edizioni di carta con quelle digitali.

Nel racconto della crisi dell’editoria in Italia spesso il declino dei grandi giornali viene narrato come un evento quasi inevitabile dovuto principalmente a due fattori: la difficile transizione nell’era digitale, con Internet che arriva d’improvviso a sparigliare le carte invadendo di contenuti gratuiti il mercato dell’informazione; e, secondo fattore determinante, la crisi economica e finanziaria globale del 2008. Come dire: cosa potevano fare in questi ultime tre lustri le navi ammiraglie dell’editoria nostrana se non imbarcare sempre più acqua? Ma è proprio così? Basta il combinato di questi due fattori a spiegare (quasi) tutto?

Certo, anche all’estero la crisi ha colpito, le testate hanno perso copie, hanno tagliato costi e risorse umane, ma guardando i numeri non tutto può essere spiegato imputandone la colpa a questi due elementi. Le cose sono andate bene fino ai primi anni Duemila: i fatturati dei maggiori gruppi italiani crescevano e l’avvento del digitale sembrava tutto sommato non dover disturbare il manovratore. Se guardiamo agli investimenti pubblicitari dei tre maggiori editori di quotidiani, Rcs (Corriere della Sera), Gruppo Espresso (Repubblica) e Gruppo 24 Ore (il Sole 24 Ore), si nota come questi siano cresciuti fino al 2008 per poi flettere bruscamente l’anno successivo.

Il calo tra dicembre 2008 e dicembre 2009 non solo interrompe la corsa dei ricavi pubblicitari ma lo fa in modo drammatico: Rcs deve registrare un -232 milioni, il Gruppo Repubblica-Espresso subisce un -111 milioni e il Gruppo 24 Ore -57 milioni di euro. Sommando solo questi tre editori si arriva a una contrazione degli investimenti pubblicitari di 400 milioni anno su anno. Non tutto però è stato così improvviso. La flessione delle vendite delle copie in edicola è cominciata prima, se leggiamo i dati pubblicati da Asig (l’associazione italiana degli stampatori) nel suo report L’industria dei quotidiani in Italia vediamo come, negli anni, tra alti e bassi, il volume delle copie vendute dai quotidiani abbia raggiunto un picco nel 2006 (con 1,68 miliardi di copie complessive in un anno) per poi continuare a calare.

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