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  • Martedì 4 ottobre 2016

Il Sole 24 Ore è in grossi guai

Dopo anni di perdite – e dati un po' ingannevoli sulle copie vendute – ha bisogno di soldi e sta attraversando grandi turbolenze dirigenziali

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Lo scorso 2 maggio il Sole 24 Ore ha festeggiato il 150° anniversario dalla sua fondazione con una sontuosa cerimonia al Teatro La Scala di Milano, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poche settimane prima il direttore e l’amministratore delegato del gruppo avevano annunciato gli straordinari risultati ottenuti dal giornale: il più letto quotidiano italiano in abbonamento digitale e il secondo più venduto in edicola, secondo i loro conteggi. Venerdì scorso – appena cinque mesi dopo – i risultati economici annunciati dal nuovo amministratore delegato nel corso di una drammatica riunione del consiglio di amministrazione hanno mostrato che il giornale è a un passo dal fallimento, e avrà bisogno di un aumento di capitale per non finirci.

È almeno dal 2010 che gli addetti ai lavori sanno che il gruppo Sole 24 Ore si trova in una situazione difficile. Il Sole fu fondato nel 1865 e cento anni dopo si fuse con il 24 Ore, diventando il principale – e per decenni unico – giornale di informazione economica e finanziaria d’Italia. Oggi il gruppo si è ingrandito e comprende anche una radio, Radio 24, un’agenzia di stampa, Radiocor, numerose riviste specializzate per professionisti e amministratori e una scuola che si occupa di organizzare master e corsi di specializzazione. L’azienda ha in tutto 1.200 dipendenti, di cui 200 sono giornalisti.

Per decenni il Sole 24 Ore ha esercitato la sua funzione informativa in una situazione di monopolio. Anche oggi la concorrenza di giornali economici come Italia Oggi e Milano Finanza rappresenta una fetta molto minoritaria del mercato. Inoltre il Sole 24 Ore opera in una sorta di conflitto d’interesse: il gruppo editoriale è quotato in borsa ma la maggioranza del capitale è di proprietà di Confindustria. Il principale quotidiano di informazione economica, quindi, è di proprietà della più grande associazione imprenditoriale del paese. Nel corso degli anni, poi, il giornale ha fatto scelte editoriali discusse: come ha notato Sergio Noto, professore di storia dell’impresa all’università di Verona, il Sole 24 Ore definì Parmalat la “Coca Cola d’Italia” poco prima della bancarotta della società. Nel 2009 invece decise di dare il premio di “Uomo dell’anno” a Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia – di un paese in profonda crisi economica, peraltro – e quindi azionista di maggioranza di alcuni dei più grandi soci di Confindustria (ENI, ENEL e Finmeccanica fanno tutte parte dell’associazione). Al terzo posto il Sole nominò Emma Marcegaglia, allora presidente di Confindustria.

La situazione particolare del Sole 24 Ore ha portato anche ad altre contraddizioni. Accanto a scelte innovative e originali, come la creazione del pluripremiato mensile IL, e un investimento significativo nella versione online del giornale, il gruppo ha fatto scelte molto conservatrici. Il quotidiano cartaceo, per esempio, è uno degli ultimi in Italia a utilizzare ancora il “broadsheet”, il formato lenzuolo: piegato a metà il Sole 24 Ore ha circa la stessa superficie di Repubblica, che invece è in formato “tabloid”.

Costi elevati, scelte sbagliate e la crisi dell’intero settore hanno lentamente eroso i conti del giornale, che è in perdita da sette anni. I problemi erano conosciuti e spesso discussi dagli addetti ai lavori e dai giornalisti del gruppo: ciclicamente il comitato di redazione (cdr), l’organo di rappresentanza sindacale dei giornalisti delle varie testate del gruppo, ha pubblicato comunicati in cui avvertiva che la situazione del giornale non era floridissima. Ma nel clima da “vivi e lascia vivere” che spesso avvolge la stampa italiana, in pochissimi in questi anni si sono occupati della crisi in corso: e questo perché anzi negli ultimi anni il Sole 24 Ore è stato spesso celebrato per gli ottimi risultati ottenuti nella digitalizzazione.

Pochi anni fa, secondo i dati diffusi dall’amministrazione del giornale, il Sole 24 Ore era l’unico in Italia che riusciva ad aumentare le copie vendute. Nel 2014 sembrava essere diventato il secondo giornale italiano, subito dietro il Corriere della Sera. Nel maggio di quell’anno l’allora presidente del gruppo, Benito Benedini, in seguito ad alcune critiche, pubblicò un comunicato per difendere i risultati ottenuti nel corso della sua amministrazione e quelli dell’attuale direttore, Roberto Napoletano, che è anche direttore della radio e dell’agenzia di stampa del gruppo.

[…] La direzione giornalistica di Gianni Riotta ha preso il giornale a 318.585 copie (dati Ads) a marzo 2009 e l’ha lasciato a 261.661 a marzo 2011 (- 57mila copie, equivalenti al 18%). Roberto Napoletano ha preso la direzione del giornale a fine marzo 2011 a 261.661 copie (dati ads marzo 2011) portando la diffusione totale a marzo 2014 a 362.377 copie (dati ads) con una crescita di 100.716 copie, equivalenti al +38% in netta controtendenza rispetto all’andamento del merca­to editoriale.

Crescere di 100 mila copie in un periodo in cui le vendite di tutti i quotidiani sono in flessione sarebbe stato un risultato eccezionale. Ma parte di questo incredibile risultato è frutto di una specie di illusione ottica. I dati sul periodo di direzione di Gianni Riotta erano alterati dal fatto che all’epoca nelle statistiche sulle copie vendute non erano conteggiati gli abbonamenti digitali. I dati sugli anni successivi, in cui è stato direttore Napoletano, non solo conteggiano gli abbonamenti su internet ma sono gonfiati da un’offerta che permetteva agli abbonati cartacei di ricevere un abbonamento digitale per un piccolo sovrapprezzo. Di fatto all’epoca più di 50 mila abbonamenti digitali erano in realtà abbonamenti cartacei abbinati al digitale, dai quali il gruppo guadagnava solo la frazione di un nuovo abbonamento.

Nei due anni e mezzo successivi la situazione è peggiorata ulteriormente. Tra il maggio del 2014 ed oggi il Sole 24 Ore ha perso un totale di 120 mila copie, tra cartacee e digitali. Anche ai suoi principali concorrenti le cose non sono andate bene: il Corriere ne ha perse poco più di 100 mila e Repubblica circa 60 mila (qui trovate tutti i dati). Ma Corriere e Repubblica sono riusciti a tenere i loro conti in ordine e hanno compiuto importanti operazioni di riassetto proprietario. Il gruppo l’Espresso, che pubblica Repubblica, ha acquistato La Stampa, mentre il Corriere della Sera è stato acquistato dal gruppo Cairo, che possiede La7. Il Sole 24 Ore, invece, è rimasto escluso da questa serie di consolidamenti e ha continuato ad accumulare un anno di perdite dopo l’altro, registrando cali di guadagni in tutti i settori: vendite, raccolta pubblicitaria e altri ricavi, derivati dai corsi e dai servizi digitali offerti dal gruppo.

La situazione al Sole è arrivata a una svolta insieme al cambiamento dei dirigenti di Confindustria. Vincenzo Boccia è stato eletto alla guida di Confindustria lo scorso maggio, sostituendo Giorgio Squinzi che, tra gli ultimi atti del suo mandato, si era nominato presidente del Gruppo 24 Ore. Lo scorso luglio il nuovo amministratore delegato Gabriele Del Torchio, nominato da Squinzi lo scorso giugno, ha deciso di posticipare al 30 settembre la presentazione del bilancio semestrale a causa del pessimo stato dei conti e delle perdite degli anni precedenti che stavano emergendo, segno di una situazione molto grave. Venerdì scorso Del Torchio ha presentato i risultati del semestre e si è capita la ragione della sua scelta: nei primi sei mesi del 2016 il gruppo ha perso 49,8 milioni di euro, portando la perdita complessiva degli ultimi sette anni a circa 300 milioni. Il comitato di redazione ha definito la situazione “sull’orlo del baratro”.

Venerdì sera, nel corso del Consiglio d’amministrazione in cui sono stati presentati i risultati, c’è stata una sorta di resa dei conti tra la vecchia gestione di Giorgio Squinzi e i nuovi amministratori. Secondo i giornali e alcune delle persone che hanno partecipato, la riunione è stata molto tesa. I rappresentanti di Confindustria hanno fatto sapere che ci sarà un aumento di capitale per salvare il gruppo, al quale potrebbero partecipare anche le banche creditrici che così entrerebbero nella sua proprietà. Per facilitare il passaggio e dare un segnale di cambiamento, il direttore generale di Confidustria avrebbe chiesto ai membri del Cda di presentare dimissioni in bianco, senza data. Il gesto è stato definito da alcuni componenti del Cda irrituale e senza precedenti. In risposta il presidente Squinzi e altri quattro consiglieri d’amministrazione, Livia Pomodoro, Carlo Pesenti, Claudia Parzani e Mauro Chiassarini, hanno dato le dimissioni, seguiti poche ore dopo da un sesto membro del Cda, Maria Carmela Colaiacovo. Al termine della riunione l’amministratore Del Torchio è stato ricoverato in ospedale per un problema al cuore.

Dopo la riunione il comitato di redazione ha espresso critiche durissime alla vecchia gestione, compreso il direttore Napoletano.

Quello sin da ora evidente è un fallimento su più livelli. La strategia, quella dell’espansione dei volumi, sia sul digitale sia sulla carta, con marginalità assai dubbia; anzi, a vedere i risultati, ovviamente oggetto di confronto, negativa. La governance, quella formale con il pasticcio delle deleghe esecutive sovrapposte tra presidente e amministratore delegato, con conseguente difficoltà a identificare il capoazienda e quella sostanziale, con l’impropria assunzione di un ruolo manageriale da parte di chi manager non è. La proprietà, con un’associazione degli imprenditori che ha lasciato gestire il suo asset principale con logiche tutt’altro che imprenditoriali; da “basso impero” piuttosto.

Non è stato possibile avere commenti su queste critiche da parte dei membri usciti dal cda contattati dal Post. Tra sabato e domenica sono stati rapidamente nominati un nuovo presidente, Carlo Robiglio, e un nuovo vicepresidente del Cda, Luigi Abete, in attesa dell’assemblea degli azionisti del prossimo novembre, quando l’intero Cda sarà rinnovato. Sempre a novembre dovrà essere chiarito il futuro del giornale, con l’annuncio dei dettagli dell’aumento di capitale e con la presentazione del nuovo piano industriale che, dopo sette anni di perdite, dovrà riuscire a portare di nuovo il quotidiano in attivo.