I nuovi farmaci per la depressione

L'Economist racconta a che punto è lo sviluppo dei medicinali di nuova generazione che potrebbero rivoluzionare il campo della psichiatria

Utilizzata per decenni come anestetico, negli ultimi anni la ketamina è al centro di numerose ricerche per il suo impiego nel trattamento della depressione, dove ha dato risultati molto incoraggianti e che potrebbero cambiare sensibilmente il modo in cui viene tenuta sotto controllo la malattia con una nuova classe di antidepressivi, che secondo gli esperti potrebbe rivoluzionare il campo della psichiatria. I progressi più interessanti nel settore sono finora stati raggiunti dalla multinazionale statunitense Johnson & Johnson, che lo scorso agosto ha avviato il terzo stadio dei test clinici su un farmaco basato sulla esketamina, un derivato della ketamina che potrebbe rendere molto meno complicata la somministrazione del farmaco, evitando il ricorso alle iniezioni. Come spiega l’Economist in un lungo articolo pubblicato nel suo ultimo numero, Johnson & Johnson è solo una delle aziende al lavoro per sperimentare vie nuove e più efficaci nel trattamento della depressione rispetto ai farmaci utilizzati già da anni.

Per lungo tempo il mercato dei farmaci contro la depressione è stato dominato dal Prozac, l’antidepressivo più prescritto, che alla fine degli anni Novanta raggiunse un volume di vendite pari a 3 miliardi di dollari, con decine di milioni di prescrizioni in buona parte del mondo. Il suo uso massiccio fece passare una concezione piuttosto semplice, e semplicistica, della malattia: dipende da uno sbilanciamento di alcuni composti chimici nel cervello, che con il giusto dosaggio il Prozac riesce a correggere. Negli ultimi anni, però, diverse ricerche hanno scoperto che la questione è molto più complessa e che ci possono essere soluzioni migliori del Prozac, per lo meno nel trattamento dei casi più gravi di depressione o indifferenti alle classiche terapie.

La causa della depressione per almeno 50 anni è stata associata alla presenza di attività anormali delle ammino ossidasi, enzimi coinvolti nei processi di trasmissione dei segnali nelle cellule nervose del cervello tramite i neurotrasmettitori. Il Prozac, per esempio, interviene su un neurotrasmettitore che si chiama serotonina e che tra le altre cose regola il tono dell’umore. Il problema è che al rapido aumento di questa sostanza indotto dal farmaco non corrisponde un’altrettanto rapida fine dello stato depressivo: sono necessarie settimane e a volte mesi prima di ottenere un effetto, e inoltre questa soluzione non funziona con tutti i pazienti. E qui entra in gioco la ketamina: negli ultimi dieci anni si è scoperto che ha un effetto antidepressivo molto rapido, anche se non sono ancora completamente chiari i meccanismi che lo rendono possibile e che, a differenza del Prozac, non sono legati alle ammino ossidasi.

La ketamina agisce spesso in poche ore e i suoi effetti durano per settimane dopo una sola somministrazione. Per questo motivo una quantità crescente di psichiatri ha iniziato a prescriverla “off-label”, cioè per uno scopo diverso da quello inizialmente previsto per la medicina e che aveva portato alla sua approvazione per l’uso. Il suo rapido effetto è inoltre ideale per trattare gravi stati depressivi e crisi che portano a pulsioni suicide. Negli Stati Uniti si sono diffuse negli ultimi anni cliniche apposta per effettuare le infusioni di ketamina, l’unico modo attualmente possibile per somministrarla efficacemente.

Lo sviluppo di trattamenti con ketamina in questi anni ha avuto alti e bassi, perché non ci sono grandi interessi da parte dell’industria farmaceutica a condurre ricerche e test clinici su farmaci i cui brevetti sono ormai scaduti e che quindi hanno un’inferiore resa economica. Sono però necessari i trial clinici per ottenere le autorizzazioni dagli organismi di controllo per aggiungere un farmaco in un’altra classe, superando il suo uso “off-label”. Come spiega l’Economist, alcune aziende hanno comunque investito sulla ketamina in questi anni, confidando di ottenere nuove soluzioni che siano utili per i pazienti e al tempo stesso redditizie.

Johnson & Johnson è una di queste e sta ottenendo risultati interessanti, grazie alla ricerca sulla esketamina. Semplificando molto, la ketamina è formata da due molecole sostanzialmente speculari, mentre la esketamina è costituita da una sola di quelle due molecole. Benché non sia più protetta da brevetto, l’esketamina offre qualche opportunità commerciale in più rispetto alla sua controparte: sortisce gli stessi risultati, ma con minori effetti collaterali come allucinazioni, stanchezza e dissociazione, uno stato in cui i pazienti sono coscienti ma distaccati da ciò che gli succede intorno. Johnson & Johnson sta lavorando per rendere l’esketmmina somministrabile attraverso uno spray nasale, soluzione che per l’azienda ha il vantaggio di essere brevettabile e di essere più semplice da usare per i pazienti rispetto a un’iniezione. I test condotti finora hanno dato risultati promettenti e l’azienda mira a fare approvare il suo prodotto per l’impiego nei casi di depressione con imminente rischio di suicidio, e per i casi in cui non funzionano le terapie con i classici antidepressivi.

Sono in corso molti altri studi per capire meglio come agisce la ketamina nel bloccare i recettori di alcuni neurotrasmettitori come il glutammato, uno dei più importanti eccitanti del cervello. L’ipotesi è che abbia un ruolo nella regolazione dei recettori NMDA, che fino a qualche tempo fa non si pensava fossero coinvolti nella depressione. Se si interviene sugli NMDA, si può imitare l’effetto della ketamina con un principio attivo di sintesi diverso, che comporta meno effetti collaterali. Un farmaco sperimentale che si chiama Rapastinel fa proprio questo e può essere somministrato con un’iniezione settimanale. Naurex, l’azienda che l’ha sviluppato, è stata acquisita nel 2015 da Allergan con un’operazione da 560 milioni di dollari, e prevede di eseguire test clinici più estesi nel corso dei prossimi mesi. Ci sono inoltre diverse altre società farmaceutiche al lavoro sugli NMDA.

Resta comunque ancora molto da scoprire sul rapporto tra ketamina e depressione, tanto più che proprio quest’anno una nuova ricerca ha messo in dubbio che agisca direttamente sui recettori NMDA, ma su altri sempre legati al glutammato. Se così fosse andrebbero riviste diverse cose negli studi degli ultimi anni e nei test condotti dalle case farmaceutiche come Naurex, mentre per Johnson & Johnson non dovrebbero esserci problemi perché il suo spray funziona sfruttando un derivato della ketamina che sappiamo già essere funzionante. Ciò che importa è l’effetto finale del farmaco e che comporti meno effetti collaterali possibili: in commercio ci sono molti medicinali che funzionano per precisi scopi, anche se non si è ancora capito fino in fondo come. È comunque indubbio che negli ultimi anni gli studi sulla ketamina hanno portato a progressi importanti nella ricerca contro la depressione.