Il problema di Facebook con le notizie false

La sezione che raccoglie le notizie più discusse, Trending Topics, è stata modificata dopo i problemi degli ultimi mesi, ma è ancora un posto dove proliferano falsità e teorie del complotto

di Caitlin Dewey – The Washington Post

(JUSTIN TALLIS/AFP/Getty Images)
(JUSTIN TALLIS/AFP/Getty Images)

Qualche settimana fa la rubrica del Washington Post “The Intersect”, che si occupa di internet e cose digitali, ha deciso di condurre un esperimento: nei giorni feriali alcuni giornalisti si sono messi a controllare ogni ora i “Trending Topics” di Facebook, prendendo nota di quali notizie venissero segnalate. I “Trending Topics”, che non esistono nella versione italiana di Facebook, sono la sezione che segnala le notizie più popolari e discusse in quel momento sul social network. Già molto discussi quando erano curati da un team di persone accusate di essere faziose, dopo alcuni cambiamenti introdotti recentemente da Facebook i “Trending Topics” sono finiti al centro di diverse polemiche.

Il “caso Megyn Kelly” doveva essere un’anomalia. Un isolato episodio infelice. Uno sfortunato avvenimento pubblico molto imbarazzante. Nelle sei settimane da quando ha ristrutturato il suo sistema dei “Trending Topics” – e dopo aver promosso una notizia inventata sulla giornalista di Fox News – Facebook ha continuato a promuovere come notizie delle storie che erano in realtà opere di fantasia. Nel quadro di un’indagine più ampia sui “Trending Topics” di Facebook, il Washington Post ha registrato ogni notizia segnalata in quattro account Facebook diversi nei giorni feriali dal 31 agosto al 22 settembre. Durante questo periodo tra le notizie popolari segnalate da Facebook il giornale ha trovato cinque notizie inequivocabilmente false e altre tre molto imprecise, oltre a comunicati stampa, post da siti come Medium e link a negozi online come iTunes. Facebook non ha voluto commentare. «Non sono assolutamente sorpreso della quantità di storie false segnalate come popolari da Facebook», ha raccontato al Washington Post un ex membro del gruppo che aveva l’incarico di controllare i “Trending Topics” di Facebook. «Per chiunque conosca la vera funzionalità del prodotto, e non solo il codice, era una cosa più che prevedibile», ha aggiunto questa persona, che aveva firmato un accordo di non divulgazione con Facebook e ha chiesto di rimanere anonima.

I risultati del Washington Post non devono essere presi per definitivi. Dal momento che Facebook personalizza in modo diverso le notizie per ogni utente e che i risultati di cui ha preso nota il Washington Post erano relativi solo ai giorni feriali, non è possibile dire con certezza se i giornalisti hanno scovato tutte le bufale. Ma che Facebook continui a segnalare periodicamente notizie false è ancora un dato di fatto, ed è semmai possibile che il Washington Post abbia sottostimato la frequenza di questa tendenza. Il 31 agosto il Washington Post ha trovato una notizia con poche fonti che raccontava di come un responsabile della Clemson University del South Carolina avesse cacciato dal campus dell’università un uomo che stava pregando; la storia, che era stata ripresa da un sito di estrema destra, è stata completamente smentita dall’università. La settimana dopo, l’8 settembre, Facebook ha promosso un articolo che parlava in toni entusiasti delle nuove e magiche, letteralmente, funzioni dell’iPhone, riprendendolo dalla pagina satirica “Faking News” del sito di news Firstpost. Il giorno dopo nei “Trending Topics” è apparso un comunicato stampa della Association of American Physicians and Surgeons, un’organizzazione medica libertaria molto poco affidabile, e un articolo di un tabloid in cui si sosteneva che gli attacchi dell’11 settembre fossero stati in realtà una «demolizione controllata».

Se gli utenti pensavano che le polemiche intorno alle teorie del complotto sull’11 settembre segnalate da Facebook avrebbero portato dei cambiamenti nei “Trending Topics”, si sbagliavano: meno di una settimana dopo, Facebook ha ripreso dal noto sito satirico SportsPickle un articolo sulla squadra di football dei Buffalo Bills. «Mi piacerebbe poter dire di aspettarmi di più da Facebook per quanto riguarda la diffusione della verità e l’informazione a cittadini», ha detto DJ Gallo, fondatore e direttore di SportsPickle, «ma penso che con quest’elezione si sia visto come gran parte delle notizie pubblicate su Facebook, e sui social network in generale, non siano precise».

La sezione “Trending Topics” di Facebook dovrebbe dare un’istantanea delle notizie più importanti e discusse del giorno, grazie a una combinazione di algoritmi e al lavoro di un gruppo di giornalisti: un algoritmo trova gli argomenti particolarmente popolari, un essere umano li esamina e li verifica, e un altro algoritmo mostra poi le notizie approvate alle persone a cui potrebbero interessare di più. Eliminando una parte qualsiasi del processo, la sezione non può funzionare efficacemente, come ha dimostrato bene un prodotto di Facebook che si chiama Signal e serve a mostrare le due liste prodotte dall’algoritmo prima e dopo l’approvazione. La seconda lista è troppo lunga ed è difficile capire come uno qualsiasi degli argomenti possa essere di qualche importanza, mentre la prima è un mucchio infinito e indecifrabile di nomi di posti, squadre sportive e complotti.

A maggio, tuttavia, Facebook aveva ricevuto molte critiche da persone importanti per i presunti pregiudizi politici della squadra di giornalisti responsabili dei “Trending Topics”. Le polemiche erano state così forti che la società aveva poi deciso di rivedere il ruolo degli esseri umani nell’approvazione delle notizie che finivano nei “Trending Topics”. Il 26 agosto Facebook ha licenziato la squadra dando agli ingegneri chiamati per sostituirli un compito molto diverso. Mentre i giornalisti dovevano verificare in modo indipendente gli argomenti popolari segnalati dall’algoritmo, anche con ricerche incrociate su «Google News e altre fonti d’informazione», agli ingegneri è stato chiesto invece di approvare tutti gli argomenti popolari collegati a tre o più articoli recenti, da qualsiasi fonte, o a un articolo di cui parlavano almeno cinque post.

Prima di essere licenziati, i giornalisti avevano anche un ruolo nel decidere quali articoli mostrare per ogni argomento, e potevano rifiutare una storia segnalata dall’algoritmo che giudicavano “faziosa”,”acchiappa-clic” o non pertinente. La squadra che oggi si occupa del controllo qualità dei “Trending Topics” non esamina gli URL delle pagine. L’asticella è stata abbassata così tanto che l’approvazione delle voci su Megyn Kelly – o magari quelle sull’annuncio della Terza guerra mondiale – è quasi scontata. Facebook lo ha ammesso in un comunicato in seguito alla vicenda Kelly, in cui ha detto che la notizia poi risultata falsa sulla giornalista «soddisfaceva i requisiti per l’approvazione perché c’era un numero soddisfacente di articoli sull’argomento», aggiungendo che «a una seconda revisione l’articolo era stato giudicato inappropriato».

Nonostante le linee guida per la verifica delle notizie sembrino essere in gran parte inadeguate, Facebook non ha detto di avere in programma di cambiarle. La società sostiene invece che il problema delle notizie false possa essere risolto da algoritmi migliori e più solidi. Durante una recente conferenza Adam Mosseri, il vicepresidente di Facebook responsabile della gestione dei prodotti, ha detto che la società stava cercando di aggiungere all’algoritmo usato per i “Trending Topics” delle tecnologie automatizzate per filtrare le bufale e gli articoli-parodia, come quelle usate per News Feed, la sezione notizie di Facebook che appare appena si apre il social network e ipotizza quali possano essere i contenuti interessanti per l’utente sulla base del suo comportamento. Un’altra soluzione potrebbe essere adottare un sistema simile a quello che Google News usa per classificare le sue storie più importanti, che fornisce a degli editori selezionati gli strumenti per evidenziare i contenuti degni di nota. Va ricordato che ovviamente anche Google News si è sbagliata in passato e che tutti i social network, non soltanto Facebook, faticano a gestire l’enorme e complesso compito di identificare bufale e altre forme di disinformazione. Quello di Facebook, però, è un caso particolare: circa il 40 per cento degli americani adulti usa il social network come fonte d’informazione, il che – nonostante il CEO Mark Zuckerberg si ostini a dire che Facebook «non è una società di media» – fa sì che la gestione di cose come i “Trending Topics” da parte di Facebook sia molto importante.

Walter Quattrociocchi, un ricercatore italiano che si occupa della diffusione della disinformazione su internet, ha sottolineato come Facebook sia un ambiente fertile per le bufale e i complotti. I suoi utenti tendono a raggrupparsi in bolle di persone che condividono le stesse opinioni e ricevono notizie molto personalizzate nel News Feed e grazie a servizi come “Trending Topics”. Quando Facebook inserisce in modo selettivo delle notizie false in questo flusso di informazioni altamente personalizzate – ha detto Quattrociocchi – il rischio è quello di polarizzare ulteriormente quegli utenti che tendono a credere di più alle teorie del complotto.«Sta diventando un vaso di Pandora», ha detto Quattrociocchi: e Facebook non ha ancora trovato il modo di chiuderlo.

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