Il traditore Benigni

Massimo Recalcati sull'inclinazione "stalinista" tuttora presente a sinistra, che annulla gli individui e li mette alla gogna

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

Dopo che giovedì scorso l’attore Roberto Benigni aveva – nei toni sempre poco solenni dei suoi interventi – parlato a favore del Sì al referendum costituzionale, molti sostenitori del No lo hanno attaccato personalmente anche in forme molto aggressive e volgari. Tra questi anche diversi militanti o elettori di sinistra, abitualmente simpatizzanti delle stesse cause sostenute da Benigni nel tempo, o dei suoi attacchi contro il centrodestra o contro Silvio Berlusconi.
Su Repubblica di venerdì il filosofo e scrittore Massimo Recalcati ha usato la questione per cercare di analizzare le ragioni della grande violenza con cui spesso molte persone di sinistra si rivolgono nei confronti di persone della loro stessa parte politica nel momento in cui le considerano “traditori” (oppure “rinnegati”, come scrive Adriano Sofri sul Foglio in una risposta a Recalcati) .

La scadenza per il voto sul referendum costituzionale si avvicina e, come è normale, il dibattito politico si infiamma. In ogni referendum che ha marcato il passo, il paese si è inevitabilmente diviso (monarchia e repubblica; divorzio, aborto). Accade in democrazia che vi sia una maggioranza e una minoranza. La cosa che più mi colpisce non è quindi né l’infiammarsi del dibattito politico, nè la divisione del paese, ma un sintomo che manifesta una grave malattia che ha da sempre storicamente afflitto la sinistra (ora pienamente ereditata dal M5S). Ne ha fatto recentemente le spese Roberto Benigni aspramente attaccato per la sua presa di posizione a favore del Sì. A quale grave malattia mi sto riferendo? Si tratta della malattia (ideologica) del “tradimento”. Anche una parte del fronte di sinistra del No ne è purtroppo afflitta. Non coloro che ragionano nel merito dei contenuti della riforma non condividendoli (come provò a fare con cura Zagrebelsky in un recente confronto televisivo con Matteo Renzi), ma coloro che vorrebbero situare il confronto sul piano etico impugnando, appunto, l’antico, ma sempre attualissimo, tema del tradimento degli ideali.
L’accusa patologica di tradimento implica innanzitutto l’idea di una degradazione antropologica del traditore, di una sua irreversibile corruzione morale. Non un cambio di visione, non la formulazione, magari tormentata, di un giudizio diverso, non l’esistenza di contraddizioni difficili da sciogliere, non il travaglio del pensiero critico. Niente di tutto questo. Il traditore è colui che ha venduto la propria anima al potere, al regime, al sistema. È l’accusa che risuona oggi, non a caso, nella bocca di diversi intellettuali schierati per il No rivolta verso quelli che sostengono le ragioni del Sì: venduti, servi, schiavi dei “poteri forti”. Non a caso agli inizi della campagna referendaria Il fatto quotidiano ne pubblicò addirittura una lista di 250 per mostrarne l’indegnità e la consistenza risibile. L’accusa è che il traditore abbia subdolamente cambiato idea o abbia condiviso un’idea ingiusta per difendere avidamente i propri interessi personali. Il che lo rende moralmente ancora più infame. Egli ha barattato in modo sacrilego la purezza assoluta dell’Ideale con la volgarità interessata e meschina del proprio Io. Ambizione personalistica, prevalenza dell’individuale sul collettivo, incapacità di servire umilmente la Causa perché l’attaccamento “borghese” al proprio Io prevarrebbe cinicamente sul senso universale della storia e sulle sue ragioni.

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