Com’era Milano delle BR

Fabrizio Ravelli rinfresca la memoria su un periodo lontano, dopo il ritrovamento di vecchi documenti

(ANSA-FARABOLA)
(ANSA-FARABOLA)

Il giornalista e blogger del Post Fabrizio Ravelli ha scritto un articolo su Repubblica in cui ricorda com’era la vita quotidiana a Milano durante i cosiddetti “Anni di Piombo”, quando le Brigate Rosse e altri gruppi armati di sinistra radicale commettevano rapimenti e omicidi quasi ogni settimana. Il racconto parte dal recente ritrovamento al Policlinico di Milano di alcuni documenti nascosti circa trent’anni fa dai brigatisti milanesi in un controsoffitto dell’ospedale.

Che da un controsoffitto del Policlinico spuntino fuori vecchie carte della Brigate rosse non è cosa che possa eccitare più di tanto l’interesse degli storici, o riattizzare paure sociali. Ma la memoria di quegli anni, per quanto appannata nella gran parte degli italiani, è capace di far sanguinare vecchie ferite. Chi ha avuto familiari ammazzati o feriti non può dimenticare, e vedrà forse con una sorta di fastidio luttuoso riemergere i segni di un’epoca tremenda. Per tutti gli altri, spettatori smemorati, vale la pena di uno sforzo evocativo: voi forse non sapete che cos’erano quegli anni.

Chi era Luigi Marangoni, di cui si ritrova il volantino che rivendicava l’esecuzione, come la chiamavano allora i brigatisti (e purtroppo anche i giornali) pretendendo di esercitare giustizia? Era il direttore sanitario del Policlinico di Milano, veneranda istituzione. Qual era la sua “colpa”? Aver denunciato dei sabotaggi dentro l’ospedale.

Oggi, dalle parti di San Siro, c’è un giardino pubblico che lo ricorda. Il 17 febbraio del 1981 lo aspettarono in strada e lo ammazzarono: aveva 44 anni. La rivendicazione era firmata Brigata ospedalieri Fabrizio Pelli, l’opuscolo intitolato “Attacchiamo la Dc principale responsabile della ristrutturazione in ospedale”. Qualcuno di questa “brigata” decise di infilare nel controsoffitto le carte uscite ora. A quale scopo non si sa, se non per il feticismo documentario che le Brigate rosse coltivavano. Fabrizio Pelli era un brigatista di Reggio Emilia, che cominciò sparando con un Flobert nel sedere di un esponente del partito liberale, a 17 anni, continuò partecipando alla prima uccisione di marca Br a 22 (era il 1974, due morti nella sede padovana del Psi di via Zabarella), e morì di leucemia a San Vittore (fu lasciato morire, accusarono i suoi amici) a 27.

La Milano di quegli anni ‘70 e ‘80 era insanguinata da una litania di omicidi, e bisogna scorrerne la cronologia per provare a immaginare. Solo per restare alla Colonna Walter Alasia, quella di cui faceva parte la brigata ospedaliera: il 2 giugno ‘77 gambizzano (così si diceva, orribilmente) Indro Montanelli; il 1° aprile 1980 entrano al Circolo Perini di Quarto Oggiaro e feriscono Antonio Iosa (presidente), Eros Robbiani, Emilio Del Buono, Nadir Tedeschi; il 12 novembre 1980 uccidono Renato Briano, direttore del personale della Ercole Marelli; il 28 novembre 1980 uccidono Manfredo Mazzanti, direttore tecnico della Falck; il 17 febbraio 1981 Marangoni; il 3 giugno 1981 sequestrano Renzo Sandrucci, direttore di produzione dell’Alfa Romeo, che viene poi rilasciato.

In mezzo (15 maggio 1975) c’è il ferimento di Massimo De Carolis, avvocato ed esponente della Maggioranza silenziosa, nel suo studio di via Monte di Pietà: il suo tesserino dell’Ordine dei giornalisti è fra i documenti ritrovati nel controsoffitto. Questa striscia di sangue comprende anche le vittime brigatiste: da Walter Alasia, a cui si intitolò la colonna operaista e “ribelle” delle Br, ucciso nel 1976 dopo aver colpito a morte due uomini della polizia (Sergio Bazzega e Vittorio Padovani), a Walter Pezzoli e Roberto Serafini, militanti uccisi dai carabinieri del Nucleo speciale del generale Dalla Chiesa. I milanesi scoprivano quasi ogni giorno il ripetersi di questa mattanza che mieteva persone per lo più del tutto sconosciute. Quadri di fabbrica, funzionari di aziende pubbliche, professionisti. Figure intermedie, articolazioni di una normale società civile che si ritrovava esposta al rischio della vita.

Ma quella società civile ospitava anche i lottarmatisti, il loro muoversi guardingo sui mezzi pubblici, gli appartamenti denominati “covi” in quartieri popolari e vicini alle stazioni. Per le Br era cominciata da anni la vita in clandestinità. Dal 2 maggio ‘72, quando il loro capo Mario Moretti, perito elettronico alla Sit-Siemens, arrivò sulla sua Fiat 500 sotto il “covo” di via Boiardo, vide i carabinieri e telefonò a casa sua (al Gallaratese, altro quartiere popolare): «Mi si è rotta l’auto, farò tardi», e sparì dalla circolazione.

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