Cos’è la riforma del governo per il Terzo Settore

Servirà o no a incentivare le grandi donazioni private a favore del "sociale"? Le intenzioni e le obiezioni su una riforma del governo Renzi di cui si è parlato meno

Novella Pellegrini, segretario generale di Enel Cuore Onlus, Lorena Milana dell'associazione Il Melograno, e Raffaela Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children. (ANSA/FABIO CAMPANA)
Novella Pellegrini, segretario generale di Enel Cuore Onlus, Lorena Milana dell'associazione Il Melograno, e Raffaela Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children. (ANSA/FABIO CAMPANA)

Lo scorso 25 maggio la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge del governo Renzi per la riforma del «Terzo Settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale». Sebbene non esista una definizione unica di Terzo Settore, ne fanno parte tutti quei soggetti anche molto diversi tra loro (onlus, organizzazioni non governative, associazioni, cooperative) che forniscono senza scopo di lucro una serie di servizi che né il pubblico né il privato sono in grado di soddisfare e che hanno a che fare soprattutto con i campi dell’assistenza sociale, sanitaria e dell’istruzione. Secondo l’ultimo censimento Istat del 2011 si tratta di 300 mila organizzazioni in Italia, con 64 miliardi di entrate e circa 6 milioni di persone coinvolte.

La legge approvata in parlamento, fortemente voluta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, è una legge delega: fissa cioè dei principi base a cui il governo nei prossimi dodici mesi si dovrà attenere nello scrivere i decreti legislativi, ossia il contenuto specifico della riforma. Prima della sua approvazione definitiva alla Camera la delega era stata modificata al Senato con l’inserimento di un articolo piuttosto contestato e suggerito, secondo quanto scrivono diversi giornali, da Vincenzo Manes, imprenditore attivo nel Terzo Settore e sostenitore da tempo del progetto politico di Matteo Renzi.

Le legge, intanto
La legge è composta da 12 articoli. L’articolo 1 e l’articolo 2 disciplinano la finalità e le linee generali della delega, definiscono che cos’è il “Terzo Settore”, prevedono che il governo adotti, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi in materia e stabiliscono i principi e i criteri generali di questi stessi decreti legislativi. L’obiettivo dei decreti sarà una drastica semplificazione dell’intero settore.

Gli articoli 3, 4 e 5 si occupano delle parti in cui il Codice civile parla di associazioni, fondazioni e enti del Terzo Settore, prevedono una semplificazione e una revisione del procedimento con cui queste associazioni vengono riconosciute a livello giuridico, stabiliscono le informazioni obbligatorie da inserire negli statuti e negli atti costitutivi, fissano una serie di regole per la trasparenza e l’informazione, individuano le attività di interesse generale di questi enti il cui svolgimento costituisce un requisito per l’accesso alle agevolazioni previste dalla normativa, introducono criteri e limiti relativi al rimborso spese per le attività dei volontari, stabiliscono un controllo superiore delle attività e della gestione dei centri di servizio per il volontariato. Il governo dovrà anche riorganizzare il sistema di registrazione degli enti secondo criteri di semplificazione in un registro unico nazionale del Terzo Settore, suddiviso in specifiche sezioni.

L’articolo 6 introduce e disciplina le “imprese sociali” come organizzazioni private che svolgono attività d’impresa «per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Le imprese sociali potranno distribuire gli utili ma dovranno assicurare la loro «prevalente destinazione al conseguimento dell’oggetto sociale». L’articolo 7 si occupa di vigilanza e monitoraggio degli enti del Terzo Settore: non è prevista alcuna istituzione di una nuova Authority ma i compiti più importanti di controllo pubblico sono stati affidati al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in collaborazione con altri ministeri e con l’Agenzia delle entrate. La delega dell’articolo 8 revisiona l’attuale disciplina in materia di servizio civile e istituisce un servizio civile universale: i giovani che potranno partecipare ai progetti (dai 18 ai 28 anni) potranno anche essere stranieri con regolare permesso di soggiorno. Quanto alle competenze, viene esplicitamente attribuita allo Stato la «funzione di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale». Sono anche previste programmazioni triennali del servizio civile che garantiscano sia agli enti che ai volontari una copertura e un’organizzazione delle attività. L’articolo 9 introduce agevolazioni fiscali, nuove regole per i finanziamenti e propone di assegnare a questi enti gli immobili pubblici inutilizzati. L’obiettivo è quello di creare un sistema unico che premi solamente quelle realtà che effettivamente svolgono attività di utilità sociale. Gli articoli 11 e 12 (al 10 ci arriviamo) parlano delle coperture finanziarie delle organizzazioni del settore e dell’istituzione di un Fondo.

L’articolo 10 e Vincenzo Manes
L’articolo 10 è stato inserito in aula durante il dibattito e istituisce la “Fondazione Italia Sociale” o, come l’ha definita Vincenzo Manes in un articolo del Sole 24 Ore, «l’Iri per il sociale». La fondazione sarà un ente di diritto privato con finalità pubbliche e avrà l’obiettivo «mediante l’apporto di risorse finanziarie e competenze gestionali» di raccogliere e organizzare finanziamenti privati da usare per «interventi innovativi caratterizzati dalla produzione di beni e servizi senza scopo di lucro» e «idonei a conseguire un elevato impatto sociale e occupazionale». L’intenzione è quella di introdurre nuovi strumenti di sostegno finanziario e manageriale a progetti di interesse sociale, in particolare quelli di maggiore impatto a livello nazionale, che oggi faticano a emergere per via di un Terzo Settore che agisce in un contesto molto frammentato e territoriale. E di aumentare significativamente le risorse economiche destinate al Terzo Settore, soprattutto incrementando la propensione a donare da parte di imprese e individui, specialmente i più abbienti. L’Italia infatti è un paese con una consistente ricchezza finanziaria, di quasi 4mila miliardi di euro. Ma la porzione di questa ricchezza che va a progetti sociali è di appena 10 miliardi di euro. E la metà di questa cifra è donata da cittadini (l’altra metà proviene da imprese), di cui più del 90 per cento sono piccole donazioni.

Lo scopo della Fondazione dovrebbe quindi essere quello di raccogliere più cospicue risorse economiche private (il pubblico interviene nella costituzione con un milione di euro) e utilizzarle efficacemente per progetti di largo impatto, incentivando la “cultura della donazione” e creando una serie di strumenti al servizio di progetti nazionali nel settore sociale (un fondo filantropico, un fondo di investimento sociale e un sistema di intermediazione per soggetti che vogliano destinare i propri patrimoni ad iniziative sociali senza dotarsi di una struttura autonoma di gestione).

Le contestazioni che sono state fatte a questa “superfondazione” riguardano innanzitutto il fatto che, secondo alcuni, abbia già una specie di presidente designato: lo stesso Manes, che nel dicembre del 2014 era stato nominato consigliere “pro bono” dal presidente del Consiglio Renzi proprio per occuparsi di riforma del Terzo Settore. Manes è un imprenditore e investitore che possiede diverse attività e controlla una grande società quotata in borsa di lavorazione del rame (disclaimer: una società di proprietà di Manes è tra i soci fondatori del Post), è membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Olivetti, è stato presidente della società Aeroporti di Firenze, e si occupa di non profit e Terzo Settore da molti anni, e soprattutto come creatore e presidente della Fondazione Dynamo che «supporta la progettazione e lo sviluppo di organizzazioni di impresa che affrontano problemi sociali come istruzione, sanità, servizi sociali e ambiente, favorendo anche nuova occupazione». La principale e più longeva attività della fondazione Dynamo è la gestione del Dynamo Camp, una grande e apprezzata struttura in Garfagnana, nell’appennino pistoiese, che accoglie ogni anno alcune centinaia di bambini con patologie molto gravi provenienti da tutto il mondo per vacanze e terapie ricreative, finanziata dallo stesso Manes e da altri contributi privati. Da tempo Manes propone l’idea di una grande fondazione pubblica in grado di coordinare e ottimizzare il fundraising di contributi privati per promuovere i progetti del Terzo Settore (già nel 2008 aveva scritto sul Sole 24 Ore un articolo intitolato “Una superfondazione per l’Italia”) ma è anche tra i primi finanziatori della Fondazione Open di Renzi con cui l’ex sindaco di Firenze sostenne la campagna politica per diventare segretario nazionale del PD.

La Fondazione Italia Sociale è stata contestata dal Movimento 5 Stelle («Un nuovo poltronificio», «Una fondazione che spende soldi pubblici per scopi privati», in riferimento ai costi iniziali del progetto), dalle altre opposizioni ma anche all’interno del PD, tra gli autori della riforma, e, riferisce la Stampa, «nel mondo stesso del Terzo Settore che la vede come uno strumento di privatizzazione del non profit». Sempre la Stampa dice:

«Desta anche perplessità la natura giuridica della nuova creatura, cioè una fondazione di diritto privato con finalità pubbliche (…). Manes, che ne sarà il presidente, la definisce «l’Iri per il sociale». Ufficialmente si tratterà di una sorta di centro operativo della filantropia, con l’obiettivo di attrarre grandi donazioni in un Paese che con i suoi 10 miliardi è ancora molto indietro rispetto ai 350 miliardi raccolti negli Stati Uniti. (…) Qualcuno in Parlamento propone che alla Fondazione vengano attribuiti poteri di trasparenza e di vigilanza, come accade per le Charity commission anglosassoni. Altri chiedono: perché una Fondazione sì e una Authority di controllo no? La risposta sarebbe perché è privata, anche se nata da una legge che prevede una dotazione iniziale di 1 milione di euro. Altri soldi arriveranno: 100 milioni previsti, la maggioranza dei quali, 70 milioni, dalle principali fondazioni o da privati. L’ultima tranche, di 30 milioni – e qui si annuncia battaglia – l’assicurerà il pubblico con stanziamenti ministeriali. Il consiglio di amministrazione rispecchierà questa tripartizione. Chi mette i soldi avrà il potere di decidere».

La replica di Manes è che sia “piuttosto vero il contrario”:

I soldi sono prevalentemente privati e gli scopi sono di interesse pubblico. L’obiettivo è quello di mobilitare risorse economiche aggiuntive e nuovi strumenti di finanziamento per il sociale. Con uno spirito di impegno civico più che con le aspettative di un investimento finanziario. Dovrebbe essere un tema di interesse comune, visto che non mi pare che il nostro paese, in cui pure le organizzazioni del settore sociale sono così diffuse e radicate, possa contare su un’ampia offerta di strumenti per favorirne la crescita. E a sentire chi lavora nelle organizzazioni nonprofit la ricerca di mezzi finanziari, specie ora che i bilanci pubblici soffrono, non è un problema marginale. Se il Terzo Settore dovesse dipendere solo da risorse pubbliche oggi avrebbe un futuro molto incerto. Chi crede davvero nel suo ruolo deve quindi porsi il problema di ampliare le sorgenti finanziarie alle quali attingere. La sfida è sviluppare all’interno del Terzo Settore una componente di imprenditorialità sociale, per renderlo meno dipendente dalla finanza pubblica. Questo non ha nulla a che vedere con la privatizzazione di servizi pubblici, ma riguarda piuttosto il tema di coalizzare risorse pubbliche e risorse private, destinate senza scopo di lucro a progetti sociali per permettere loro di svilupparsi e di restare in piedi con le proprie gambe, in piena autonomia economica.