D’Alema fa «autocritica» su Orfini, suo allievo

«Diciamo che l’ho allevato male...», spiega tra le altre cose in un'intervista al Corriere in cui ne ha molte su Renzi e il governo

Massimo D'Alema (Fabio Cimaglia / LaPresse)
Massimo D'Alema (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Il Corriere della Sera pubblica oggi una lunga intervista a Massimo D’Alema, sessantasettenne storico dirigente di partito della sinistra italiana, tra le altre cose già ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. D’Alema, che dentro il Partito Democratico aveva dato sostegno alla segreteria di Pier Luigi Bersani e poi alla candidatura a segretario di Gianni Cuperlo, e più volte in passato ha espresso opinioni critiche o addirittura sprezzanti nei confronti di Matteo Renzi, nell’intervista al Corriere dice cose molto pesanti sullo stato del partito dopo le elezioni amministrative e sullo stesso Renzi, sostiene che la nuova legge elettorale sia incostituzionale e dice che voterà no al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale votata in Parlamento dal Partito Democratico (anche dalla minoranza anti-Renzi, per quel che vale). E dedica una battuta sarcastica a Matteo Orfini, presidente del PD e commissario del partito a Roma, che è stato per molti anni suo allievo e collaboratore.

«Serve una figura che si occupi del Pd a tempo pieno. E serve una direzione collegiale. Il partito è stato volutamente lasciato senza guida. Lo si ritiene non importante oppure si scarica su di esso la colpa quando le elezioni vanno male. È tutto puntato sul leader e il suo entourage, neanche collaboratori. Renzi non convoca la segreteria, che pure è un organo totalmente omogeneo. Si riunisce solo con un gruppo di suoi amici».

[…] Renzi ha perso la sintonia con la base?
«Con la base e con il Paese. Una parte molto grande dell’elettorato di sinistra non si riconosce nel Pd, non lo sente come proprio, non si mobilita. Ho fatto campagna elettorale, là dove mi hanno chiamato. Ho trovato anche qualcuno che diceva: non dovete disturbare Renzi, ma anche tanti con un sentimento di avversione. Lui non si è limitato a rottamare un gruppo dirigente; sta rottamando alcuni milioni di elettori».

[…] Cosa dovrebbe fare Renzi?
«Renzi dovrebbe cambiare. Questo risultato mette in discussione sia il rapporto tra il Pd, il suo elettorato e la società italiana, sia la politica del governo. E mette in discussione il modo in cui Renzi esercita tutti e due i ruoli. Meriterebbe da parte sua riflessioni molto diverse da quelle, sconcertanti, che ha affidato al Corriere la notte del voto».

Renzi è in grado di cambiare?
«La speranza è l’ultima a morire, ma non mi pare una persona orientata a tenere conto degli altri e neanche della realtà; neanche di quelle più prossime, visto che abbiamo perso a Sesto Fiorentino. Eppure sarebbe necessario un cambio di indirizzo nell’azione di governo, e anche un cambio di stile. Compreso il rispetto che dovrebbe essere dovuto a una classe dirigente che ha vinto le elezioni e ha fatto cose importanti per il Paese: l’euro, le grandi privatizzazioni, la legge elettorale maggioritaria uninominale; non quella robaccia che ci viene proposta adesso».

[…] A Roma il commissario del Pd è un suo allievo, Orfini.
«Sono pronto all’autocritica: diciamo che l’ho allevato male… Da anni il Pd non mi chiede nulla, e all’improvviso apprendo dai giornali che dovrei fare un appello alla vigilia del voto per una causa palesemente disperata. E addirittura si riscopre che sono un ‘fondatore del Pd’».

[…] «Non voglio impadronirmi di nulla: bisogna essere matti ad andare a gestire il Pd per come l’hanno ridotto. Sono stato felicemente riconfermato alla presidenza della FEPS. Faccio un lavoro che amo. Sono solo preoccupato che questo gruppo di personaggi con alla testa Renzi porti la sinistra e il Paese in un vicolo cieco: se non cambiamo radicalmente direzione, mi pare segnata la via che conduce al ritorno della destra, o all’arrivo dei 5 Stelle».

[…] Lei come voterà al referendum di ottobre?
«Voterò no. Troverò il modo di spiegare le ragioni di merito».

Ce ne dia un assaggio.
«Non sono molto diverse da quelle per cui votai no, nel 2006, alla riforma di Berlusconi. Che per certi aspetti era fatta meglio. Anche quella prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari. Ma riduceva anche i deputati. E stabiliva l’elezione diretta dei senatori; non faceva del Senato un dopolavoro. Sarebbe stato meglio abolirlo».