Cosa spinge a fare una strage?
Gli psicologi dicono che il ruolo delle armi e quello dell'ideologia non si escludono a vicenda, e spesso derive del genere partono da molto più lontano
di Amy Ellis Nutt – The Washington Post
“Odio”, “intolleranza”, “ideologia deviata” e “psicologia avvelenata”: abbiamo già sentito politici, esperti e in generale l’opinione pubblica pronunciare queste parole per le stragi di Oklahoma City, di Charleston in South Carolina, per Sandy Hook in Connecticut e per San Bernardino in California. Ma dopo il terribile massacro di domenica al Pulse, un locale gay di Orlando, in Florida – dove sono morte almeno 49 persone e altre 53 sono state ferite – cosa può dirci la scienza sulle stragi?
Le notizie riportate da diversi giornali secondo cui Mateen avrebbe avuto problemi con la sua sessualità sono un indizio importante. Domenica il padre di Mateen ha detto che recentemente suo figlio si era arrabbiato molto dopo aver visto due uomini che si baciavano. Lunedì alcune ricostruzioni poi confermate hanno riportato che Mateen frequentava spesso il Pulse e che usava app per incontri dedicate ai gay. «L’odio verso gli altri in realtà è spesso un odio “spostato” verso sé stessi», ha detto lo psicologo sociale Arie Kruglanski, che insegna alla University of Maryland. «Ha a che vedere con la perdita del senso della propria importanza e può essere provocato da fallimenti personali, dall’appartenenza a una minoranza discriminata, o quando si è oggetto di bullismo. Esistono molti modi diversi in cui una persona può sentirsi insignificante».
Nonostante le implicazioni dell’odio a livello neurologico non siano state determinate – la cosa non sorprende, dal momento che è un’emozione difficile da studiare in laboratorio – gli scienziati sanno quale zona del cervello è responsabile del senso di disgusto morale, e che la corteccia motoria è tra le regioni che vengono attivate quando una persona prova un senso di aggressività. Gli scienziati sanno anche che il nostro cervello esamina costantemente l’ambiente che ci circonda ed è sempre in guardia, per valutare se le persone o le cose vicino a noi sono amiche o nemiche. In sostanza, il sentimento di odio verso sé stessi spinge le persone ad agire per ristabilire la sensazione della loro importanza: e l’azione più veloce, efficace e potente – dice Kruglanski – è anche «l’atto più primitivo e primordiale che un essere umano possa compiere: mostrare la propria forza su altri esseri umani». La violenza, in altre parole.
Le ideologie dello Stato Islamico – a cui Mateen aveva giurato fedeltà – sembrano aver soddisfatto il bisogno di Mateen. Secondo l’antropologo Scott Atran, queste ideologie in pratica lo avrebbero spinto ad «alzarsi e vendicare il suo onore». Una persona come Mateen potrebbe essere stata particolarmente suscettibile a un messaggio del genere. Nonostante pare non avesse avuto contatti formali con dei gruppi terroristici, è evidente che Mateen si identificasse con loro e con altri gruppi di persone che considerava perseguitate, come la popolazione dell’Afghanistan, dove erano nati i suoi genitori. «Lo abbiamo sentito parlare al 911 e dire che il motivo per cui lo stava facendo è che voleva che gli americani smettessero di bombardare il suo paese», ha raccontato Patience Carter, una delle sopravvissute alla strage del Pulse. Carter è stata una dei molti ostaggi presi da Mateen che avevano cercato rifugio in un bagno del locale. Martedì, durante una conferenza stampa, Carter ha raccontato di come nel bagno Mateen avesse chiesto se ci fossero dei neri. Quando un uomo ha risposto di sì, Mateen «gli ha riposto dicendo: “Non ho problemi con i neri. Questa cosa riguarda il mio paese. Voi avete già sofferto abbastanza”».
La psicologa di Harvard Mina Cikara capisce questo tipo di processo mentale. «L’idea è che quando le persone compiono un atto d’odio per conto di un gruppo, la loro azione non ha a che vedere tanto con l’odio verso l’altro gruppo, quanto con il rafforzamento dei valori del proprio», ha detto Cikara. Da un punto di visto evoluzionistico, secondo gli scienziati ricondurre all’identificazione di gruppo le motivazioni che spingono queste persone è un’ipotesi sensata. Uno studio del 2013, pubblicato dal Journal of Experimental Social Psychology, sostiene che il cervello umano impieghi pochi millisecondi per distinguere il volto di un familiare da quello di un estraneo. Gli psicologi definiscono questa tendenza “favoritismo del proprio gruppo“, e viene riscontrata sia in soggetti giovani che in anziani; nel caso dei bambini, però, a questa tendenza si aggiunge una cosa chiamata “odio per un altro gruppo”, cioè il desiderio di fare del male a chi è diverso. Di solito scompare quando si diventa adulti, e il motivo per il quale ad alcune persone non succeda non è del tutto chiaro.
Diversi anni fa lo psicologo Adam Waytz della Kellogg School of Business alla Northwestern University dimostrò con una serie di esperimenti che più le persone sono socialmente legate a un gruppo, più possibilità avranno di pensare che le persone che non appartengono al loro gruppo siano meno intelligenti, e addirittura meno umane. Secondo lo psicologo sociale Nour Kteily, la sensazione di disumanizzazione e di isolamento dalla cultura dominante «può essere alla base di azioni come quella di Orlando». «Non so cosa abbia spinto questa persona in particolare», ha detto lunedì Kteily, «ma le rappresentazioni negative dei musulmani stanno aumentando anche per colpa di politici come Donald Trump. Le persone si rendono conto di come le minoranze vengano screditate e siano paragonate a criminali e animali». Stando agli scienziati, fare qualcosa per migliorare la situazione di ingiustizia percepita porta a un beneficio a livello neuronale, in quanto la vendetta attiva gli stessi centri del piacere nel cervello che inducono la felicità.
Potremmo non sapere mai cosa stava succedendo davvero nella testa di Omar Mateen quando domenica poco dopo le due di notte ha iniziato con calma a sparare all’interno di un locale affollato. Ma dare la colpa o alle armi da fuoco o all’ideologia dei terroristi – come stanno facendo in molti – è una «falsa scelta», ha detto Kruglanski. «Una cosa non esclude l’altra», ha aggiunto. «L’ideologia elimina l’ostacolo morale… La cosa difficile è impedire che le persone provino un senso di fallimento o si sentano infamate».
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