“10 Cloverfield Lane” è una gran bella sorpresa

Fino a tre mesi fa non si sapeva nulla, ora che è uscito sta piacendo tanto: e per diversi motivi (potete leggere, niente spoiler)

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(Da "10 Cloverfield Lane")

10 Cloverfield Lane, nei cinema italiani dal 28 aprile, è un film ambientato in un bunker antiatomico. Senza dire niente di più di quello che si vede nel trailer, la protagonista è una ragazza che ha un incidente in auto e si sveglia ore dopo nel bunker. Lì c’è un uomo che dice di averla salvata e di doverla tenere lì perché fuori è successo qualcosa di molto grave: un attacco batteriologico o atomico, pare. Il problema è che lei non sa se lui è un folle e spietato rapitore oppure il suo salvatore. Con loro – lo si vede nel trailer – c’è un’altra persona.

Si sa che esiste un film chiamato 10 Cloverfield Lane solo dal 15 gennaio, quando uscì il suo trailer. Di solito di un film escono decine di anticipazioni, la prima delle quali arriva almeno un anno prima dell’uscita nei cinema. Con 10 Cloverfield Lane è successo il contrario: fino a gennaio nessuno ha mai detto nulla del film e anche dopo il trailer sono circolate pochissime informazioni. Un’informazione era però evidente: nel titolo del film c’è un riferimento a Cloverfield, un film di fantascienza del 2008 diretto da Matt Reeves e co-prodotto da J.J. Abrams, ideatore di Lost e regista di Star Wars: Il risveglio della Forza.

Anche 10 Cloverfield Lane è prodotto da Abrams; il regista in questo caso è Dan Trachtenberg, al suo primo film. La protagonista è interpretata da Mary Elizabeth Winstead, un’attrice e cantante che non ha mai avuto ruoli famosissimi (ha interpretato la figlia di John McClane nel Die Hard del 2007, per dire). L’uomo del bunker è John Goodman. L’altra persona nel bunker è interpretata da John Gallagher Jr., il Jim Harper di The Newsroom.

10 Cloverfield Lane non è però un diretto sequel di Cloverfield e, in realtà, non è ben chiaro come si ponga nei confronti di Cloverfield. Il film era nato per essere tutt’altra cosa con tutt’altro titolo e solo mentre era già in produzione si decise di cambiarne certe cose per farlo diventare un “Cloverfield”. In questi mesi – negli Stati Uniti il film è uscito a marzo – Abrams si è divertito a dare risposte di volta in volta un po’ diverse alle domanda: «Cloverfield e 10 Cloverfield Lane sono collegati? Se sì, quanto?». Il legame tra i due film è soprattutto una questione di marketing: richiamando un film che andò benissimo, il nuovo Cloverfield è riuscito a far parlare di sé, ottenendo nei due-tre mesi che sono passati dal trailer all’uscita nei cinema quello che altri film fanno in un anno. L’aver fatto un film che è forse, vagamente, un po’ collegato a un altro, senza chiare spiegazioni, è stato molto apprezzato da Vulture, che ha scritto che 10 Cloverfield Lane potrebbe cambiare i franchise cinematografici“.

Come è stato fatto?

Cloverfield, quello del 2008, è un film che racconta la storia di un mostro molto brutto e molto grosso che attacca New York. Tutto il film è raccontato dalle immagini registrate da alcuni ragazzi che si trovano lì durante l’attacco. È un film che racconta una piccola parte di una grande storia, senza dare risposte su tutto quello che c’è prima, dopo e intorno a quell’attacco. Che dopo Cloverfield ci fosse spazio per altri film lo si era quindi già intuito. Nel 2011 Reeves disse: «Ci stiamo mettendo molto a mettere giù l’idea giusta. Un seguito di Cloverfield lo vedrete, solo non sappiamo quando». In altre occasioni Abrams e Reeves spiegarono che non c’era niente di deciso e che un seguito di Cloverfield era solo una vaga ipotesi.

Mentre Abrams e Reeves rispondevano alle domande su un ipotetico Cloverfield 2 qualcun altro – John Campbell e Matt Stuecken, che nulla avevano a che fare con Abrams e Cloverfield – stavano pensando a un film tratto da una sceneggiatura chiamata The Cellar (cantina, in inglese). Nel 2012 quella sceneggiatura era finita nella Hit List, un documento per addetti ai lavori che viene pubblicato ogni anno per mostrare le migliori sceneggiature sul mercato. A un certo punto la Bad Robot Productions, la casa di produzione di Abrams, se ne interessò ed entrò nel progetto. Da quel momento il film cambiò titolo e diventò Valencia. Per dirigere Valencia fu scelto il regista Damien Chazelle, che però lasciò tutto per andare a dirigere Whiplash. È in quel momento – siamo nel 2014 – che Dan Trachtenberg arrivò a dirigere il film; poco dopo Goodman e Winstead entrarono nel progetto.

In un momento non meglio definito del 2014 qualcuno si accorse che quel film poteva diventare 10 Cloverfield Lane e lo fece notare a Abrams, che decise quindi che quel film sarebbe potuto diventare un “Cloverfield”. La particolarità – come ha spiegato Entertainment Weekly in un articolo che parla dei “6 passaggi per fare un film segreto” – è che nessuno disse che Valencia era diventato qualcos’altro, nemmeno agli attori. Abrams, che nel frattempo aveva imparato sul set del nuovo Star Wars cosa vuol dire provare a non far sapere troppe cose su un film che si sta girando, diede indicazioni su come tenere tutto il più segreto possibile. Il film è stato girato in 36 giorni nell’autunno del 2014. Da lì al gennaio 2016 tutto quello che si sapeva era che prima o poi sarebbe uscito Valencia, un film prodotto da Abrams e forse ambientato in un bunker.

10 Cloverfield Lane non è il primo film ad aver avuto un titolo di lavorazione: è una pratica piuttosto comune, utile per tenere nascosta la trama del film. Per E.T. L’extra-terrestre si usò il titolo A Boy’s Life; quando James Cameron andò con la sua troupe in Canada per girare alcune immagini da usare in Titanic disse che era lì per un film di fantascienza chiamato Planet Ice e gli attori di Avengers ricevettero la sceneggiatura del film con un titolo diverso: Group Hug, che vuol dire “abbraccio di gruppo”.

Come è fatto?

Cloverfield era girato come se le cose che si vedevano fossero state riprese da un ragazzo con la sua videocamera. Le immagini erano quindi imprecise, di bassa qualità con tanti evidenti movimenti di camera. 10 Cloverfield Lane non è girato in quel modo e, anzi, i movimenti di camera sono essenziali. Un’altra differenza tecnica tra i due film l’ha spiegata Pierpaolo Festa su Film.it:

La differenza maggiore sta nella formula narrativa: se nel primo film i personaggi spiegavano costantemente in stato di totale confusione quello che avrebbero fatto, qui invece ci si affida alla forza visiva limitando il numero di battute pronunciate.

La principale qualità di 10 Cloverfield Lane sta però in quello che viene raccontato, nei modi e nei tempi in cui le cose succedono. Ci sono molti colpi di scena e il film vive soprattutto di ambiguità: gli spettatori finiscono nel bunker insieme alla protagonista e insieme a lei devono cercare di trovare senso e logica nelle poche informazioni che ricevono.

Com’è?

Secondo Todd VanDerWerff di Vox, 10 Cloverfield Lane “è la prima grande sorpresa cinematografica dell’anno”. Il film è una sorpresa perché non se ne sapeva nulla, ok, ma anche perché secondo molti critici è sorprendentemente bello e a suo modo innovativo. Ed è interessante che un film così arrivi da un regista che era vagamente conosciuto per Portal: No Escape – un cortometraggio tratto da un videogioco le cui premesse sono molto simili a quelle di 10 Cloverfield Lane – e che ha lavorato con un budget di circa 15 milioni di dollari (pochi, per il cinema statunitense).

Su Slate Ben Mathis-Lilley ha scritto: «10 Cloverfield Lane appartiene al genere cinematografico dell’umorismo surreale e asciutto a cui si aggiunge una commedia-thriller con dentro momenti di estrema violenza». Come ammette Mathis-Lilley “è un genere cinematografico molto piccolo” ma c’è almeno un altro film che ne fa parte: secondo lui è Quella casa nel bosco, uscito nel 2012.

Bryan Bishop di The Verge è uno dei critici a cui il film è piaciuto di più: la sua recensione è intitolata “10 Cloverfield Lane è un meraviglioso modo di ricordarci perché le scatole magiche funzionano“. Secondo lui il più grande pregio nel film sta in una domanda che si fa nei primi minuti del film: «Howard [il personaggio interpretato da Goodman] è pazzo? Che per fortuna dello spettatore è la stessa domanda che si fa anche la protagonista, che è combattiva, intelligente, astuta». La particolarità nel film sta nell’inversione di quello che succede di solito: in genere, spiega Bishop, è la persona che tiene prigioniera un’altra a guidare la storia, qui è il contrario, “è la protagonista a far andare avanti la trama”. Per Bishop la grande capacità di Trachtenberg sta invece nell’aver capito le convenzioni del genere cinematografico con cui si trovava a operare e di averle usate a suo vantaggio per stupire, spiazzare e spaventare il pubblico.

Una delle cose che permette al film di funzionare è senza dubbio l’interpretazione di Goodman: ne ha scritto Kristopher Tapley su Variety.

Non voglio dire troppo sul personaggio di Goodman o sulla trama, ma la sua prova da attore è impressionante per quanto è complessa. Partendo da una sceneggiatura che è zeppa di tensione e momenti in cui la tensione sembra calare, l’interpretazione di Goodman sembra un valzer, volteggiando tra i ritmi narrativi, attirando la massima attenzione ogni volta che è nello schermo. È uno spettacolo, un’interpretazione coinvolgente sia nei momenti di quiete che in quelli più esplosivi. Non mi stupirei se qualcuno la definisse la miglior interpretazione della carriera di Goodman.

Di un altro piccolo ma interessante particolare del film ha parlato Laura Bradley su Slate: la spallina del reggiseno della protagonista. In molte scene parti del reggiseno spuntano da sotto la maglietta e Bradley ha spiegato che di solito nei film horror “i reggiseni che si vedono sono sinonimo di una damigella in pericolo”, simbolo di una femminilità che sta per diventare oggetto delle insane attenzioni di qualche killer. Secondo Bradley “questo reggiseno è diverso”: sembra una sottile e ironica critica alla retorica dei reggiseni nei film horror.