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  • Mercoledì 27 aprile 2016

Trump e Clinton ce l’hanno quasi fatta

Martedì si è votato in cinque stati: Trump ha vinto in tutti e cinque, Clinton in quattro su cinque, entrambi dicono che «è finita»

Donald Trump dopo le vittorie di stanotte. (KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)
Donald Trump dopo le vittorie di stanotte. (KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)

Donald Trump e Hillary Clinton hanno fatto un altro passo importante, potenzialmente decisivo, nella vittoria delle primarie dei Repubblicani e dei Democratici statunitensi con cui si stanno scegliendo i candidati alle elezioni presidenziali dell’8 novembre del 2016. Le primarie sono arrivate nella loro fase finale – martedì si è votato in Connecticut, Pennsylvania, Delaware, Maryland e Rhode Island – e si concluderanno nella prima metà di giugno.

Trump ha vinto in tutti e cinque gli stati in cui si votava, ottenendo ovunque la maggioranza assoluta dei voti e vincendo 105 delegati contro soltanto uno di Ted Cruz, il suo principale sfidante, e cinque di John Kasich. Trump ha allargato così ulteriormente il vantaggio nei confronti dei suoi avversari, avvicinandosi alla soglia della metà più uno dei delegati di cui ha bisogno per ottenere la nomination alla convention del prossimo luglio a Cleveland: oggi ne ha 949, per essere sicuro della nomination deve arrivare a 1.237 entro la fine delle primarie. Cruz e Kasich matematicamente non possono più arrivare a 1.237: per questo da settimane ormai il loro unico obiettivo è evitare che ci arrivi Trump, e hanno annunciato una specie di alleanza per i prossimi stati in cui si vota.

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Dopo le vittorie, Trump si è dichiarato il vincitore delle primarie, pronunciando un discorso nel quale ha detto sostanzialmente che la corsa «è finita» e invitando i suoi avversari a ritirarsi. Sulla possibilità che Cruz o Kasich possano sottrargli la candidatura alla convention, qualora lui dovesse mancare di poco la maggioranza assoluta dei delegati, Trump ha detto: «Come fareste a spiegare agli elettori la scelta di un candidato che ha perso di cinque milioni di voti perché a Trump sono mancati, supponiamo, 14 delegati al primo scrutinio? Io non credo che ce la fareste». Buona parte degli analisti è concorde con Trump su questo: il suo vantaggio nel voto popolare è tale e la sua vittoria “politica” così evidente che se dovesse mancare la soglia dei 1.237 delegati sarebbe complicato per i suoi avversari cercare di togliergli la candidatura senza che sembri un tradimento clamoroso del mandato popolare.

Tra i Democratici, invece, Hillary Clinton ha vinto in quattro stati su cinque, lasciando a Bernie Sanders la vittoria nel solo Rhode Island, il più piccolo e ininfluente tra gli stati che sono andati a votare. Il vantaggio di Clinton nel voto popolare e nel numero dei delegati è ormai praticamente incolmabile: oggi ne ha ottenuti 1.640 contro i 1.331 di Sanders (il triplo del vantaggio massimo che Obama ebbe su di lei alle primarie del 2008). Contando anche le scelte dei cosiddetti “superdelegati” – persone che partecipano di diritto alla convention per via dei loro incarichi istituzionali e nel partito, e possono votare chi vogliono – Clinton è a quota 2.159 delegati: deve arrivare a 2.383.

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Oltre ai numeri, l’altra cosa che non dà speranze a Sanders è la sua incapacità di allargare la sua base elettorale. I risultati di stanotte confermano quello che è successo negli ultimi mesi: nonostante raccolga e spenda molti più soldi di quanti ne investa Clinton in campagna elettorale, Sanders continua a vincere soprattutto negli stati piccoli e popolati quasi esclusivamente da bianchi, mentre Clinton vince negli stati più grandi, influenti ed etnicamente variegati. Dopo le sue vittorie, Clinton ha invitato il partito a unirsi attorno alla sua candidatura, complimentandosi con Sanders per quanto ottenuto fin qui. Sanders però ha ribadito che non intende ritirarsi, nonostante praticamente non abbia più una strada plausibile per rimontare lo svantaggio.

Le primarie si spostano ora in alcuni contesti minori per praticamente l’intero mese di maggio, salvo le importanti primarie in Indiana, Kentucky e Oregon, prima del “gran finale” del 7 giugno: il giorno in cui si vota tra gli altri in California e New Jersey, con centinaia di delegati in ballo.