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  • Venerdì 8 aprile 2016

La Russia si è davvero ritirata dalla Siria?

A un mese dall'annuncio di Putin, non proprio: più che altro ha cambiato approccio militare

Un elicottero militare nella base militare russa della provincia di Latakia, in Siria (STRINGER/AFP/Getty Images)
Un elicottero militare nella base militare russa della provincia di Latakia, in Siria (STRINGER/AFP/Getty Images)

Poco meno di un mese fa il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato inaspettatamente il ritiro parziale delle forze militari russe dalla Siria. Il governo russo aveva detto che la sua missione a sostegno del regime siriano di Bashar al Assad era stata compiuta. Nelle settimane successive, però, diversi analisti hanno messo in dubbio le vere intenzioni della Russia: più che un ritiro della “parte principale” delle forze militari russe in Siria, sembra che si sia verificato un cambio di operazione militare, condizionato anche dalla tregua entrata in vigore tra governo siriano e parte dei gruppi di ribelli che combattono contro Assad.

Justin Bronk, studioso di scienze militari al think tank britannico Royal United Services Institute, ha spiegato su al Jazeera cosa è successo nelle ultime tre settimane alle forze militari russe in Siria. La Russia ha ritirato diversi aerei da bombardamento a lungo raggio – aerei molto veloci che vengono usati soprattutto per bombardare obiettivi fissi, come un deposito di munizioni all’interno di una città – e li ha sostituiti con elicotteri che volano più basso e che sono più utili a colpire obiettivi in movimento, come un pick-up. Per esempio pochi giorni fa è stato avvistato per la prima volta un Ka-52 Alligator, un tipo di elicottero che non si era mai visto in azione in Siria finora. Bronk ha scritto inoltre che nonostante nelle ultime tre settimane il potere aereo generale della Russia in Siria sia stato ridotto, sono rimasti in territorio siriano i Su-30 e i Su-35S, aerei pensati per combattere contro altri aerei: probabilmente un messaggio diretto ai paesi che in Siria continuano ad usare aerei da combattimento, soprattutto Stati Uniti e Turchia (Anna Borshchevskaya e James Jeffrey hanno scritto per il Washington Institute che il mantenimento degli aerei russi in Siria potrebbe per esempio complicare gli sforzi americani di creare una no-fly zone).

La nuova strategia della Russia – l’uso di elicotteri in grado di colpire obiettivi mobili – ha il vantaggio di fornire un aiuto più diretto alle forze di Bashar al Assad (è un intervento tattico più che strategico, si direbbe in termini militari), soprattutto dopo la tregua entrata in vigore con alcuni gruppi di opposizione siriani. La nuova strategia è stata molto utile al regime siriano per colpire obiettivi mobili e in campo aperto a Palmira, la città siriana che fino alla scorsa settimana era controllata dallo Stato Islamico: sarebbe stata invece molto meno efficace se fosse stata usata in una città controllata dalle forze ribelli, come nelle zone attorno ad Aleppo. Allo stesso tempo la nuova strategia ha lo svantaggio di essere molto rischiosa per gli equipaggi russi, visto che gli elicotteri possono essere colpiti con i MANPADS, un sistema missilistico antiaereo a corto raggio che si può trasportare in spalla e che è posseduto dalle forze che combattono Assad.

Sul perché la Russia stia continuando a impegnarsi militarmente in Siria ci sono diverse interpretazioni. Sembra chiaro a diversi analisti che il ritiro parziale delle forze militari russe sia stato deciso dopo le vittorie degli ultimi mesi ottenute dal regime siriano contro i ribelli: in questo senso l’obiettivo principale dell’intervento russo – garantire la sopravvivenza del regime di Assad seriamente minacciata dall’avanzata dei ribelli nel nord della Siria – può dirsi raggiunto. Oggi il regime di Assad non rischia più un imminente collasso: ha firmato una tregua con diversi gruppi di ribelli e sta concentrando i suoi sforzi militari nella riconquista di territori che erano stati in precedenza conquistati dallo Stato Islamico, come Palmira. La Russia sembra però voler continuare a essere presente in Siria, sia per tutelare i suoi interessi militari nella regione e imporre i propri termini in un’eventuale tregua definitiva nella guerra siriana, sia come parte di una politica estera molto aggressiva portata avanti da Putin al di fuori dei confini nazionali russi.