• Moda
  • Lunedì 21 marzo 2016

Jeremy Scott, lo stilista che ha rilanciato Moschino

Alla morte di Franco Moschino erano seguiti vent’anni di crisi: come lui, Scott prende in giro la moda e sguazza nella cultura pop

Lo stilista Jeremy Scott sulla passerella della sfilata della collezione autunno-inverno 2016-17 di Moschino, il 25 febbraio 2016, a Milano (Tristan Fewings/Getty Images)
Lo stilista Jeremy Scott sulla passerella della sfilata della collezione autunno-inverno 2016-17 di Moschino, il 25 febbraio 2016, a Milano (Tristan Fewings/Getty Images)

Lo stilista americano Jeremy Scott è direttore artistico di Moschino dall’ottobre del 2013 e da allora ha rilanciato la casa di moda italiana, che non si era mai ripresa dalla morte del suo fondatore, Franco Moschino, avvenuta nel 1994. Grazie a Scott nell’ultimo anno le vendite di Moschino sono cresciute del 20 per cento. Sull’ultimo numero della rivista New Yorker, dedicato alla moda, Lizzie Widdicombe ha scritto un ritratto di Scott intitolato Barbie Boy, in cui spiega come ha fatto a rendere Moschino di nuovo popolare, re-inventandone lo stile e rivolgendosi a un nuovo target di clienti.

Secondo Scott, «niente è mai alla moda, niente è mai fuori moda» e per questo non segue le tendenze di cui parlano le riviste del settore e che si possono osservare sulle passerelle di altri marchi. Come ha spiegato al Guardian, Scott è convinto che uno stilista debba essere prima di tutto una persona in grado di comunicare e che il suo scopo sia proporre abiti divertenti.

I principali riferimenti dell’estetica di Scott sono i simboli della cultura consumistica americana, che si tratti del logo di McDonald’s come nella prima collezione realizzata per Moschino, delle orecchie di Topolino su un elmetto militare come in una sfilata del suo marchio personale nel 2009, o di una scatola di Marlboro rosse trasformata in una borsa che avverte “Fashion kills”, cioè “La moda uccide”. Sempre sul Guardian Scott ha scritto che per lui le immagini sono più forti delle parole nel comunicare un messaggio e per questo sceglie di riprodurre sugli abiti quelle che fanno parte di un’iconografia condivisa (tutti riconoscono le orecchie di Topolino, da Mumbai a Timbuctu e a Los Angeles).

Scott è uno degli stilisti che si rivolgono maggiormente ai millennials, le persone nate tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila: infatti ha mescolato l’alta moda con elementi che si possono vedere nelle strade delle città, e per ogni collezione realizza anche magliette e custodie per smartphone che possono essere acquistate anche dai ragazzi che non possono permettersi capi costosi.

Le sfilate di Jeremy Scott

L’ultima sfilata di Moschino, a febbraio, aveva un riferimento culturale più sofisticato rispetto a quelle che citavano McDonald’s o Barbie. S’intitolava Il falò delle vanità, non una citazione del romanzo di Tom Wolfe, ma dell’originale “Falò delle vanità” che avvenne a Firenze nel 1497: il frate Girolamo Savonarola e i suoi seguaci sequestrarono e bruciarono oggetti di lusso considerati causa di peccati, tra cui specchi, abiti, cosmetici, opere d’arte e strumenti musicali. Le modelle hanno sfilato indossando tappeti persiani, gonne bruciacchiate o annerite, o addirittura fumanti. Il senso di Il falò delle vanità era criticare il fenomeno dell’eccessiva “velocità della moda“. Negli ultimi tempi il mondo della moda sta riflettendo sui modi e i tempi di presentazione dei nuovi capi alle sfilate e poi nei negozi: gli stilisti sono obbligati a proporre più collezioni all’anno rispetto a prima dell’arrivo dei social network perché ora le sfilate sono mostrate in tempo reale al pubblico che poi non ha voglia di aspettare sei mesi per acquistare i nuovi capi. Le collezioni sono prodotte una dopo l’altra, più di prima e molto velocemente: il rischio è che il sistema diventi insostenibile, e gli abiti bruciati sono una metafora di questo pericolo. 

Jeremy Scott è a sua volta responsabile del problema della “moda veloce”. Ai tempi di Franco Moschino la casa di moda faceva uscire due collezioni all’anno, Scott disegna due collezioni principali (di circa 220 capi ciascuna), una pre-collezione femminile di circa 200 capi, e due collezioni maschili. Per ognuna di queste realizza anche borse e accessori. Dal 2014 Scott ha iniziato a disegnare anche capsule collection: collezioni con una quantità di capi limitata, tra i 20 e i 30, solitamente dedicate a occasioni speciali che si trovano nei negozi a partire dal giorno successivo alla sfilata. Scott realizza anche altre due collezioni ogni anno, quelle per il suo marchio personale. Scott è anche tra gli stilisti che usano di più i social network, un altro fattore che ha accelerato l’industria della moda. 

Da quando Scott è diventato il direttore creativo di Moschino, le sue sfilate alla settimana della moda di Milano sono diventate grossi eventi mondani, che attraggono personaggi famosi: Katy Perry, Miley Cyrus, Rihanna e altre star della musica pop sono apparse più volte in prima fila. Gli stessi personaggi compaiono spesso anche anche nelle foto che Scott pubblica sul suo profilo Instagram, seguito da 1,3 milioni di persone.

  I LOVE MY @badgalriri SO MUCH AND COULD NOT BE MORE PROUD OF HER !!! 💘💕💘💕💘   Una foto pubblicata da Jeremy Scott (@itsjeremyscott) in data:

L’eredità di Franco Moschino

Sul New Yorker, Lizzie Widdicombe scrive che nel mondo della moda Scott è considerato il perfetto erede di Franco Moschino, che prima di fondare la sua casa di moda era stato un pittore e poi un illustratore per marchi come Versace. All’inizio degli anni Ottanta provò ad andare contro la serietà della moda dell’epoca ispirandosi agli artisti surrealisti, parodiando le ultime tendenze e usando fantasie ironiche per le sue collezioni: carte da gioco, finti nasi da maiale, punti di domanda, stampe di pelle di mucca. Alcune di queste fantasie sono state riprese da Scott che a sua volta si diverte a prendere in giro i simboli della moda, come ha fatto per i tailleur e le borse Chanel nella sfilata autunno-inverno 2014-15.

In passato Scott ha anche utilizzato gli abiti per lanciare un messaggio politico, come faceva anche Franco Moschino, inserendo messaggio contro la crudeltà verso gli animali o di sensibilizzazione sull’AIDS: nella collezione autunno-inverno 2009-10 del suo marchio personale, Scott ha inserito l’elmetto con le orecchie da Topolino – indossato da Rihanna nel video di Hard – e altri elementi in stile militare sdrammatizzati, per criticare gli interventi dell’esercito americano nel mondo.