Che cos’è l’obbligo di fedeltà?
Se ne parla da due giorni perché è stato eliminato dell'accordo fra PD e NCD sul ddl Cirinnà: cosa prevede, e cosa (non) cambierà per le coppie gay
Mercoledì 24 febbraio il Partito Democratico (PD) e Nuovo Centro Destra (NCD) hanno stretto un accordo sul ddl Cirinnà in discussione al Senato, e il governo ha deciso di porre la fiducia sul maxi-emendamento nato dall’accordo (la mozione di fiducia è stata successivamente approvata). Il maxi-emendamento è una proposta di modifica di un disegno di legge, prima che entri in vigore: quello su cui si sono accordati il PD e NCD di fatto riscrive la legge e rispetto alla versione iniziale prevede lo stralcio della stepchild adoption e dell’obbligo di fedeltà. L’eliminazione dell’obbligo di fedeltà fa parte delle richieste avanzate dal nuovo Centro Destra ma anche da diversi emendamenti presentati al testo iniziale da alcuni senatori del PD per eliminare qualsiasi equiparazione dell’unione civile al matrimonio.
In Italia il matrimonio inteso come atto giuridico è regolato dal codice civile: nel Titolo VI si trova un intero capitolo dedicato ai diritti e ai doveri che «nascono» dal matrimonio. E si dice:
«Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
Nello specifico, si parla poi del cognome della moglie, di coabitazione (i coniugi devono fissare di comune accordo la residenza della famiglia in base alle esigenze di entrambi e della famiglia stessa), di assistenza morale e materiale (ciascun coniuge deve provvedere ai bisogni della famiglia in base alle proprie capacità), di obbligo a educare, istruire e mantenere i figli.
Nel Capo successivo del codice civile si parla di scioglimento del matrimonio e di separazione dei coniugi. All’articolo 151 si dice:
«La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole.
Il Giudice, pronunziando la separazione dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio».
La dichiarazione di addebito (semplificando: di chi è la colpa) può essere pronunciata dal giudice «se richiesto» e se «ricorrono le circostanze dell’addebito». Le conseguenze dell’addebito della separazione sono prevalentemente di carattere patrimoniale. Presupposto della dichiarazione di addebito è un comportamento cosciente e volontario contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. Ma diverse sentenze hanno stabilito che non è sufficiente la sola violazione dei doveri che derivano dal matrimonio: è necessario verificare se a questa violazione sia riconducibile la crisi del matrimonio stesso. Deve esserci insomma un nesso di causalità fra l’infedeltà e la crisi coniugale.
Una sentenza del 2008 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha anche dato una particolare interpretazione del concetto di fedeltà: «L’obbligo della fedeltà è da intendere non soltanto come astensione da relazioni extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la reciproca fiducia ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio». In questa sentenza il concetto di “fedeltà” è molto simile a quello di “lealtà” e, si legge, «impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro l’infedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda».
Il testo originale del ddl Cirinnà all’articolo 3 diceva che «Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni». Nel nuovo maxi-emendamento è stato eliminato questo dovere previsto invece nel matrimonio.