11 canzoni di Joe Henry

In giro non lo si sa molto, ma il cognato di Madonna è uno dei migliori musicisti contemporanei

Joe Henry durante un concerto a Los Angeles, California, nel 2002 (Robert Mora/Getty Images)
Joe Henry durante un concerto a Los Angeles, California, nel 2002 (Robert Mora/Getty Images)

Joe Henry è un cantautore e produttore discografico statunitense – molto bravo e stimato e non molto famoso, come si spiega qui sotto -, ed è nato il 2 dicembre 1960.
Da produttore ha collaborato con Solomon Burke, Aimee Mann, Elvis Costello, Lisa Hannigan, e Ani DiFranco, tra gli altri. E poi c’è il fatto che è il cognato di Madonna, ed è coautore di due sue canzoni: “Don’t Tell Me” (che lui aveva cantato in una versione che si chiama “Stop”) e “Jump”. Queste sono le sue undici canzoni che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha scelto per il suo libro Playlist.

Joe Henry
(1960, Charlotte, North Carolina)
In giro non lo si sa molto, ma uno dei migliori musicisti contemporanei si chiama Joe Henry, ed è americano. Cantautore versatile, partito dal country-rock e approdato a dischi quasi jazz, cognato di Madonna per cui ha scritto una volta una bella canzone, e poi eclettico produttore di bei dischi altrui. Prima Solomon Burke, leggenda del soul, poi Jim White, Aimee Mann, Ani DiFranco ed Elvis Costello. Nel 1998 gli chiesero i suoi dieci dischi preferiti e lui mise al numero uno una raccolta di Paolo Conte.

Date for church
(Shuffletown, 1990)
Ha un andamento da innamorarsi e passeggiare per i vialetti alberati, diretti alla funzione serale. Lui ha un appuntamento in chiesa, stasera. Comincia come un’idea romantica e angelica, poi a poco poco viene fuori che sono diversi giorni che la segue e la guarda, e stasera la seguirà in chiesa ma se ne andrà prima che finisca la messa, e lei non si accorgerà che era lì. Non lo saprà mai.

Drowning in the river half laughing
(Shuffletown, 1990)
“Il magistrato è ubriaco” è un verso iniziale che avrebbe potuto avere fortuna, in Italia. Ce ne sono altri, stupendi, a cominciare dal titolo, “affogando nel fiume mentre mi scappa da ridere”. Più avanti è la luna ad affogare: “the moon is losing ground, drowning in the river, and I have come to think my chest is hollow through and through”. Canzone stupenda, lenta lenta, di pianoforte e basso, con qualcosa di Tom Waits.

Good fortune
(Short man’s room, 1992)
In Short man’s room Henry si buttò più verso il country, in un momento in cui il genere veniva rivisitato molto dal giovane rock americano. Con lui suonano alcuni dei Jayhawks, e in “Good fortune” se ne sente il ritmo.

Sault Sainte Marie
(Short man’s room, 1992)
Sault Sainte Marie sono due città con lo stesso nome sulle rive opposte del fiume Saint Mary, che fa da confine tra il Canada e gli Stati Uniti: una in Ontario e l’altra in Michigan.

Buckdancer’s choice
(Kindness of the world, 1993)
Resa dei conti amorosa, da un lato all’altro della strada, con il parcheggio, i lampioni, i cani, tutto su un doppio binario di metafore e realtà. Anche in Kindness of the world suonano i due Jayhawks Perlman e Louris, assieme a Victoria Williams, cantautrice di culto americano e moglie di Mark Olson, altro Jayhawk che aveva suonato in Short man’s room.

Who would know
(Kindness of the world, 1993)
Siamo solo io e te, a chi vuoi che interessi chi ha ragione e chi torto?

Go with God
(Trampoline, 1996)
Del guardare il mondo e se stessi dalla terrazza sopra la spiaggia, quassù. Quello del banjo si chiama Mike Russell.

Stop
(Scar, 2001)
Diventerà assai più famosa quando la canterà, stravolta, la sorella di Melanie Henry, moglie di Joe. La canzone si chiamerà “Don’t tell me” e la sorella si chiamerà Madonna. Qui è un tango.

Cold enough to cross
(Scar, 2001)
Molti anni dopo, sembra tornare a “Drowning in the river half laughing”, col pianoforte e il cantato ancora più waitsiano. Dentro Scar suonano i seguenti: Ornette Coleman, Brad Mehldau, Marc Ribot, Meshell Ndegéocello. Ed è dedicato all’attore Richard Pryor (a cui è anche intitolata una canzone), allo stesso Coleman, e a Neilo Anthony Ciccone, uno di famiglia.

Widows of the revolution
(Tiny voices, 2003)
Una musica da funerale a New Orleans, per raccontare dell’attesa addolorata della moglie di un “rivoluzionario”: “un giorno sapremo che eravamo nel giusto, ma stanotte il mio uomo non è tornato”.

God only knows
(Civilians, 2007)
A un certo punto la musica di Joe Henry diviene una cosa monocorde e ipnotica, ma buona come un gelato, a cui bastano la dolcezza dei suoni e l’indulgenza della sua voce, e le canzoni non si sa più bene come fanno: nel senso che canticchiarle sotto la doccia non è facilissimo. Ma va bene così.