Cominciano a partire gli iracheni
In un paese che finora era stato marginale nelle migrazioni verso l'Europa stanno cambiando le cose, dicono dati e notizie
Nelle notizie che da settimane raccontano le storie e i viaggi dei migranti verso l’Europa si parla soprattutto di profughi provenienti dalla Siria. Ma negli ultimi giorni diversi osservatori e giornali internazionali hanno cominciato a segnalare i nuovi flussi da un altro paese dove la situazione è piuttosto complicata: l’Iraq. Per il governo iracheno, ha scritto il New York Times in un articolo ieri, la questione delle partenze sta diventando una «preoccupazione nazionale».
In Iraq ci sono circa 3,1 milioni di sfollati. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) ha parlato di circa 6 mila iracheni in arrivo nel 2015 via mare in Grecia: si tratta di un numero di almeno cinque volte maggiore rispetto a quello dello scorso anno. Questi dati rappresentano tra l’altro solo una piccola parte del numero effettivo di iracheni che decidono di lasciare il paese per arrivare in Europa, perché la maggior parte di loro evita di registrarsi ufficialmente.
Le traiettorie seguite dagli iracheni verso l’Europa sono diverse. C’è quella via mare verso l’isola greca di Kos partendo dal centro turistico di Bodrum, in Turchia: «Ma è un viaggio insidioso e difficile» scrive il Washington Post. Da Bodrum era partita la barca, poi naufragata, su cui stava viaggiando la famiglia siriana del bambino di tre anni trovato morto su una spiaggia della Turchia. Negli ultimi giorni, la polizia turca ha intensificato il monitoraggio lungo quel tratto di costa e le partenze sono diventate sempre più complicate soprattutto per gli iracheni appena arrivati da Baghdad senza contatti per intraprendere il viaggio.
Molti arrivi dall’Iraq alla Grecia avvengono comunque attraverso gli aeroporti. Dalla metà di agosto, almeno 250 iracheni al giorno sono atterrati sulle isole greche. Per soddisfare l’aumento della domanda, Iraqi Airways ha recentemente aggiunto due nuovi voli giornalieri da Baghdad verso Istanbul. Le partenze, soprattutto di giovani, sono diventate talmente rilevanti che nelle ultime settimane diversi funzionari del governo iracheno e leader religiosi hanno rilasciato dichiarazioni esortando le persone a rimanere, facendo appello al loro patriottismo e al senso del dovere che andrebbe dimostrato soprattutto in tempo di guerra.
I flussi migratori dall’Iraq hanno avuto diverse fasi. Dal 1980, quando ebbe inizio la guerra tra l’Iran dell’ayatollah Khomeini e l’Iraq di Saddam Hussein, molti giovani uomini cominciarono a lasciare il loro paese per sfuggire al servizio militare. Nell’agosto del 1990 le migrazioni furono causate dalle sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro l’Iraq quattro giorni dopo l’invasione irachena del Kuwait: le sanzioni rimasero in buona parte in vigore fino al maggio del 2003 dopo che l’allora presidente Saddam Hussein perse il potere, colpendo indiscriminatamente la popolazione che già subiva i danni provocati dai bombardamenti statunitensi, finalizzati a costringere i militari iracheni a ritirarsi dal Kuwait. L’invasione da parte degli Stati Uniti del 2003 – che portò alla caduta della dittatura di Saddam – convinse molti esuli a tornare indietro nella speranza di una ricostruzione democratica del paese, ma l’inizio della guerra civile diede un nuovo impulso alle partenze.
Attualmente la decisione del governo tedesco e di quello austriaco di accogliere migliaia di migranti sembra aver riattivato un cospicuo processo di partenze dall’Iraq. Durante una protesta a Baghdad alla fine di agosto contro la corruzione e l’inefficienza del governo, i manifestanti hanno mostrato dei cartelli con il volto della cancelliera tedesca Angela Merkel, ringraziandola. Le motivazioni delle migrazioni dall’Iraq sono comunque varie. Nelle diverse interviste raccolte da New York Times e Washington Post, alcune persone hanno detto di non sentirsi al sicuro e di temere per la loro vita, altre di voler scappare dai miliziani dello Stato Islamico, altre ancora di voler fuggire dalla povertà e dalle difficoltà economiche che sono aumentate dopo la recente crisi finanziaria causata dalla caduta dei prezzi del petrolio.