• Moda
  • Mercoledì 12 agosto 2015

I corpi di Azzedine Alaia

Corpi di donne, naturalmente, raccontati a Roma in una particolare mostra su un particolare stilista

di Enrico Matzeu – @enricomatzeu

Azzedine Alaia alla mostra di Roma. (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
Azzedine Alaia alla mostra di Roma. (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Dal 10 luglio è aperta alla Galleria Borghese di Roma una mostra intitolata “Azzedine Alaïa. Couture/Sculpture”, dedicata allo stilista franco-tunisino Azzedine Alaïa (con l’accento sulla à). La mostra è aperta fino al 25 ottobre ed espone sessantacinque abiti dall’archivio dello stilista, disposti tra le opere della collezione permanente della Galleria Borghese: l’intenzione dei curatori è stata di accostare le opere d’arte agli abiti di Alaïa per sottolineare le affinità di questi ultimi con la scultura. In un articolo del New York Times dedicato alla mostra, Vanessa Friedman scrive che «la cosa che colpisce è il modo in cui gli abiti ti si avvicinano silenziosamente, trattati nell’insieme non come oggetti estranei ma come elementi che meritano di essere inclusi nell’ambiente».

Il rapporto con l’arte fa parte della formazione di Azzedine Alaïa, che si iscrisse a soli quindici anni – mentendo allora sulla sua vera età – all’Accademia di Belle Arti di Tunisi, seguendo proprio un corso di scultura che gli permise di imparare il senso del volume e della forma che tuttora si ritrova nei suoi abiti e che lo distingue da altri designer. In un articolo su Vogue Italia Suzy Menkes sostiene che «Le più grandi abilità del designer si esplicano nel considerare le proporzioni, comprendere il corpo femminile e, ovviamente, capire la direzione in cui si sta muovendo la moda». Alaïa però non ha mai seguito il tradizionale alternarsi delle stagioni regolato dalle settimane della moda e sin dagli esordi della sua linea, agli inizi degli anni Sessanta, presentava le collezioni in periodi e luoghi alternativi a quelli delle altre maison. Quando nel 1981 lanciò la linea di prêt-à-porter, ad esempio, decise di farlo presentandola nel suo appartamento di Rue de Bellechasse a Parigi (dove tutt’ora ospita spesso i giornalisti per far vedere in anteprima ciò che crea). Lo stesso Alaïa spesso ripete che «quelli che si alternano a ogni stagione, sono semplicemente vestiti. Un abito diventa importante quando a un tratto tutti lo vogliono. Un capo del 18esimo secolo ha vita propria e ci può affascinare ancora oggi anche se non è più di moda».

Azzedine Alaïa è nato nel 1940 a Tunisi (ma non tutte le fonti danno per certo quest’anno esatto). In una recente intervista a D di Repubblica ha detto che la sua passione per la moda è legata a una celebre ballerina tunisina che frequentava la sua casa quando era bambino e che indossava solo modelli copiati da Dior. Di lei ha detto di ricordare le sue scarpe e le giacche strette in vita. Dopo che ebbe imparato a cucire da una sarta – non senza i pregiudizi del vicinato – si trasferì a Parigi nel 1957 per lavorare da Christian Dior. Successivamente, prima di dedicarsi alla propria linea di Haute Couture, disegnò per lo stilista Guy Laroche e per Thierry Mugler, che influenzò molto il suo stile, soprattutto per gli abiti aderenti e sensuali che cambiarono allora la percezione del corpo femminile. In un articolo su Business of Fashion Colin McDowell spiega come, quando negli anni Ottanta mostrarsi “sexy” era diventato di moda, Alaïa riuscisse ancora a rendere sexy le donne attraverso i suoi abiti come nessun altro in quel momento, utilizzando maglina di jersey, Lycra, pelle leggera o scamosciata. McDowell ricorda, inoltre, che in quegli anni Alaïa cominciò a essere conosciuto non solo dagli addetti ai lavori ma da un pubblico sempre più ampio anche grazie al celebre mini abito fatto di catene d’oro che indossò Tina Turner nei suoi concerti o alle modelle Pat Cleveland e Naomi Campbell che iniziarono a sfilare per lui. Naomi Campbell cominciò da Alaïa che aveva appena quattordici anni e lui – su richiesta della madre della modella – la ospitava a casa sua nei periodi delle sfilate, passando il tempo a mostrarle film come “Donne” di George Cukor e filmati di Josephine Baker, per insegnarle i modelli di divismo femminile del passato. E nel 1986 la fece debuttare sulle passerelle con un abito fasciante ispirato alle mummie egiziane.

Nella vita professionale di Alaïa le donne sono sempre state al centro delle sue ispirazioni e così si è circondato di molte ispirazioni celebri, come Grace Jones e Greta Garbo, per la quale creò cappotti, vestiti e mantelli. Tutti capi che lo stilista riacquistò all’asta dopo la morte dell’attrice e che fanno parte del suo archivio. Dopo la morte della sorella negli anni Novanta, Azzedine Alaïa si ritirò per qualche tempo dal lavoro, ma ad aiutarlo a riprendersi fu la gallerista Carla Sozzani, che Alaïa racconta come una seconda sorella e che tutt’ora lo sostiene nel suo lavoro.

Ma nel 2000 Alaïa chiuse un accordo con il gruppo Prada, che acquisì in esclusiva le licenze del marchio Azzedine Alaïa. Dopo un paio di anni riprese a sfilare con l’Haute Couture riguadagnando il successo degli anni Ottanta, e nel 2007 – dopo aver riacquistato da Prada le licenze – chiuse un accordo con la società svizzera Richemont, che da allora non ha modificato lo stile del brand ma ha puntato ad un allargamento della clientela con l’apertura di nuove boutique e il lancio del primo profumo nel maggio scorso. Alaïa ultimamente si è adeguato ai ritmi del fashion system, ma nell’intervista citata a D di Repubblica ha detto: «Quando Jean-Paul Gaultier ha chiuso il suo prêt-à-porter, ho pensato: ha fatto bene. Come si possono sostenere i ritmi produttivi di oggi? È impossibile essere creativi facendo dieci, dodici collezioni l’anno. Mi fa anche impressione la trasformazione del designer: da stilista è diventato direttore creativo, praticamente una redattrice di moda evoluta che lavora per immagini, non per contenuti, e non c’è più alcuno studio sugli abiti. Forse, se si vuole di nuovo parlare di creatività e innovazione, bisogna tornare indietro. Ma non penso voglia farlo nessuno».

Alaïa ha un’identità molto forte e riconoscibile: lui stesso si veste quasi sempre di nero, indossando camicie che ricordano, nel taglio, gli abiti tradizionali tunisini. Simone Marchetti su D lo ha descritto così: « Piccolo di statura, occhi di fuoco: Azzedine è come un folletto nero. È timido e impulsivo ma, appena sa di poter aprire il libro dei ricordi, diventa un fiume in piena».
Ma sono ormai almeno trent’anni che la cosa più nota di lui è quella raccontata nella mostra romana, l’attenzione al corpo femminile, a come è fatto, a mostrarlo, anche in modi un tempo giudicati impudichi.

Per alcuni i suoi abiti superaderenti, scolpiti alla cintura e sul sedere rappresentano il peggio della nuova immagina della moda: uno scarto indietro verso i vestiti sexy e provocanti di certo inappropriati per la donna moderna. Alaia risponde con filosofia: «Dipende da chi li indossa».