• Mondo
  • Domenica 12 luglio 2015

Com’è cambiato il Turkana con il petrolio

È la regione più povera del Kenya dove di recente è stato trovato il petrolio: il problema ora è come gestire la nuova ricchezza e le tensioni sociali che ha creato

Questa settimana l’Economist ha raccontato la storia del Turkana, la regione più povera e remota del Kenya dove nel 2012 alcuni ricercatori hanno scoperto delle riserve petrolifere. Oggi il Turkana, che si trova nella parte settentrionale del paese al confine con Sud Sudan ed Uganda, sta attraversando un periodo di rapidi cambiamenti, non tutti positivi. L’arrivo degli investimenti esteri ha inasprito le tensioni sociali e ha prodotto scontri e violenze. L’andamento altalenante del mercato del petrolio ha deluso gli abitanti locali, che a seconda del prezzo del petrolio vengono assunti oppure licenziati. Nonostante tutto, sostiene l’Economist, è difficile trovare qualcuno degli abitanti del Turkana che non vorrebbe vivere in quest’epoca di grandi cambiamenti.

Quella del Turkana è una storia lunghissima: almeno 3,3 milioni di anni, la data a cui i paleontologi hanno fatto risalire alcuni utensili creati dai primi uomini e ritrovati nel deserto brullo e adatto alla conservazione che circonda il lago Turkana. Si tratta dei più antichi utensili mai ritrovati e la loro scoperta ha spinto gli scienziati ad anticipare di 800 mila anni la data in cui si ritiene che la nostra specie abbia cominciato a farne utilizzo. In altre parole, è proprio da quest’area oggi desertica che si sono evoluti i primi antenati degli esseri umani ed è da qui che loro hanno cominciato la loro colonizzazione del pianeta.

Da allora e fino a pochi anni fa la vita in Turkana è cambiata molto lentamente. Gran parte degli abitanti della regione sono ancora nomadi o semi-nomadi analfabeti che vivono di pastorizia. Nel 2012, con la scoperta del petrolio, i cambiamenti hanno cominciato a prendere un altro passo. Alcune città sono cresciute per numero di abitanti del 500 per cento mentre centinaia di famiglie sono passate a una vita sedentaria e hanno ricevuto un lavoro nella nuova industria petrolifera o nel suo indotto. Molti degli abitanti del Turkana che avevano abbandonato la loro regione per andare a studiare nel resto del paese stanno ritornando per approfittare del boom economico. Ci sono ancora molte cose da fare: in Turkana non ci sono praticamente strade asfaltate e l’edificio più grande è alto due piani. Ma, come scrive l’Economist, «Le tasche vuote degli abitanti più poveri del Kenya stanno cominciando a riempirsi».

Tutto questo, però, è arrivato a un prezzo: i terreni che sorgono vicino ai giacimenti sono aumentati di valore e bande di uomini armati hanno iniziato a cercare di accaparrarsi la terra cacciandone gli abitanti per poi rivenderla alle compagnie petrolifere. Le violenze tra le comunità di pastori ci sono sempre state, ma ultimamente sono peggiorate anche a causa dell’arrivo di armi in particolare dal Sud Sudan, uno stato che confina con il Turkana e dove è in corso da molti mesi una violenta guerra civile. Proprio in questi giorni, tre famosi atleti kenyoti stanno girando il Turkana e il resto del nord del Kenya per persuadere le comunità locali a non usare la violenza per risolvere le loro dispute.

Si sono sviluppate tensioni anche tra gli stranieri arrivati nel Turkana e gli abitanti locali, che si sono lamentati di essere stati esclusi dalle posizioni più prestigiose e remunerative delle nuove società. Le compagnie petrolifere hanno risposto che è difficile trovare lavoratori locali abbastanza qualificati per occupare le posizioni più importanti. Nel corso del 2013 questa situazione ha portato a scioperi e saccheggi che hanno bloccato per diversi mesi i lavori di ricerca ed estrazione del greggio. Alla fine del 2014 c’è stata un’altra battuta di arresto nello sviluppo economico a causa del crollo del prezzo del petrolio. Secondo gli esperti, la gran parte dei giacimenti del Turkana sono profittevoli con un prezzo al barile di 70 dollari: il prezzo oggi è di poco meno di 60.

La prima conseguenza del calo del prezzo del petrolio è stato l’aumento significativo dei licenziamenti. La reazione degli abitanti locali è stata però meno dura di quanto si potesse prevedere. Secondo l’Economist, diversi attivisti e politici locali pensano che in un modo o nell’altro si dovrà convivere con la nuova abbondanza scoperta nel Turkana. Se e come il governo e la società del Turkana riusciranno a gestire le risorse è uno dei temi principali non solo per il Kenya, ma per gran parte dell’Africa e per il resto del mondo in via di sviluppo. La sfida è quella del cosiddetto “paradosso dell’abbondanza”: il fenomeno per cui i paesi in via di sviluppo con le più ricche risorse naturali sono spesso i più poveri e quelli colpiti dai peggiori conflitti. La presenza di risorse naturali facili da monopolizzare (come petrolio o diamanti) crea infatti un forte incentivo ad impossessarsene con la violenza, oltre a generare corruzione o clientelismo. Come ha scritto l’Economist, il rischio è che il Kenya non abbia le istituzioni e una società civile in grado di gestire il boom della sua regione più povera. Ma se dovesse riuscirci diventerebbe un esempio per tutto il resto dell’Africa.