Perché si protesta in Burundi
Da due settimane ci sono scontri tra polizia e manifestanti che contestano la candidatura alle prossime elezioni del presidente Pierre Nkurunziza: sono morte almeno 12 persone
In Burundi da circa due settimane ci sono continui scontri tra manifestanti anti-governativi e polizia. Le proteste sono cominciate il 26 aprile, dopo che il presidente uscente del Burundi – Pierre Nkurunziza – ha annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni fissate per il 26 giugno. Secondo i suoi oppositori, Nkurunziza ha già raggiunto il limite dei mandati presidenziali consentiti: gli accordi di Arusha del 2000, il successivo accordo di pace del 2006 che mise fine a 13 anni di guerra civile nel paese e la Costituzione del Burundi stabiliscono un massimo di due mandati. Le proteste anti-governative delle ultime due settimane sono state molto violente: finora sono state uccise almeno 12 persone, ha detto la Croce Rossa del Burundi, e circa 20mila persone sono state costrette a lasciare le loro case e a rifugiarsi in Ruanda e Congo, paesi che confinano con il Burundi.
Da capo, cos’è il Burundi
È un paese senza sbocco sul mare dell’Africa centrale: si trova nella regione dei Grandi Laghi, conosciuta in Occidente per i massacri degli anni Novanta e in particolare per il genocidio in Ruanda, quando nel giro di 100 giorni furono uccise 1 milione di persone. Il Burundi, che è uno dei paesi più poveri al mondo, ha circa 10 milioni di abitanti: l’etnia prevalente è quella degli hutu (85 per cento) e poi ci sono i tutsi (14 per cento). La storia del Burundi è molto legata a quella del Ruanda, come hanno dimostrato le stragi degli anni Novanta. Il paese controllato dai tedeschi fino alla fine della Prima guerra mondiale, poi diventò colonia del Belgio, che allo stesso tempo prese il controllo anche del Ruanda. Nel 1924 il Belgio ottenne mandato dalla Società delle Nazioni – l’antenato delle Nazioni Unite – di amministrare i due territori, che vennero chiamati come un’unica entità, il Ruanda-Urundi. La situazione rimase simile nel 1945, quando la Società delle Nazioni fu sostituita delle Nazioni Unite. Ruanda e Burundi ottennero l’indipendenza dal Belgio solo nel 1962.
I primi anni dalla indipendenza furono molto difficili per il Burundi. Il re aveva nominato un primo ministro tutsi, nonostante gli hutu fossero la maggioranza nel paese e in parlamento. Cominciò un periodo di grandi violenze, durante il quale gli hutu cercarono di prendere il potere diverse volte ma furono repressi dai tutsi. Alle violenze etniche si aggiunsero anche scontri politici interni alle varie fazioni. I tutsi rimasero al governo per molti anni: solo nel 1993 fu eletto il primo presidente hutu del Burundi, Melchior Ndadaye: sia lui che il suo successore, Cyprien Ntaryamira, furono uccisi nel giro di pochi mesi. Ntaryamira morì insieme al presidente del Ruanda mentre i due erano a bordo di un aereo che fu abbattuto da un razzo, episodio che diede inizio al genocidio ruandese. Dopo colpi di stato e vari massacri, hutu e tutsi raggiunsero un accordo ad Arusha, nel nord della Tanzania: tra le altre cose, l’accordo stabiliva che il presidente del Burundi non poteva rimanere in carica per più di due mandati.
Chi è Pierre Nkurunziza
È il presidente del Burundi dal 2005, e fino ad allora era stato il capo del partito “Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la difesa della democrazia”, CNDD-FDD in sigla, il più importante gruppo di ribelli durante la guerra civile in Burundi (1993-2005). Nkurunziza, di etnia hutu, si unì al CNDD-FDD nel 1995, dopo che un attacco dell’esercito controllato dai tutsi nel suo campus universitario uccise circa 200 persone. Nel 1998 un tribunale burundese lo condannò a morte in contumacia per i crimini che aveva commesso durante la sua militanza nel gruppo dei ribelli. Alla fine degli anni Novanta il CNDD-FDD si divise in varie fazioni, e Nkurunziza riuscì a prendere il controllo di una di queste. Nel 2003 riuscì a negoziare un accordo di pace con l’allora presidente Domitien Ndayizeye: come parte dell’accordo, Nkurunziza ricevette l’immunità nel processo in cui era stato condannato per crimini di guerra. Nel 2005 divenne presidente, votato dal parlamento.
Nella foto: Pierre Nkurunziza, a destra, alza un bastoncino, il simbolo della leadership del popolo del Burundi, dopo avere giurato come presidente il 26 agosto 2005, a Bujumbura. Di fianco a lui c’è l’ex presidente Domitien Ndayizeye. (AP Photo/Riccardo Gangale)
I sostenitori di un’altra candidatura di Nkurunziza dicono che in realtà si deve contare un solo mandato presidenziale, visto che nel 2005 Nkurunziza fu eletto dal parlamento, e non dal popolo attraverso le elezioni. Il governo statunitense ha criticato la decisione del CNDD-FDD: il dipartimento di Stato americano ha diffuso un comunicato in cui dice che «con questa decisione, il Burundi sta perdendo un’opportunità storica di rafforzare la sua democrazia, attraverso un processo di transizione democratica». Oltre 20mila burundesi hanno lasciato le loro case e sono andati in Ruanda per paura delle violenze che potrebbero diffondersi in vista delle elezioni. Altri burundesi, ha detto l’agenzia dell’ONU che si occupa dei profughi, se ne sono andati per le violenze compiute da Imbonerakure, l’ala “giovanile” e più violenta del partito CNDD-FDD.
Le proteste
Dopo l’annuncio della candidatura di Nkurunziza, centinaia di persone hanno cominciato a protestare a Bujumbura, la capitale del Burundi. Un giornalista di BBC ha detto di avere visto più di un migliaio di persone per le strade del quartiere Musaga di Bujumbura, nonostante il governo avesse emanato un ordine per vietare le manifestazioni. Diversi manifestanti hanno lanciato pietre contro la polizia e bruciato oggetti per bloccare le strade, mentre i poliziotti antisommossa hanno risposto sparando. In questo momento il ruolo dell’esercito sembra piuttosto ambiguo: il 3 maggio il capo delle forze armate, il generale Prime Niyongabo, ha annunciato la neutralità dell’esercito. Negli ultimi giorni i soldati del Burundi si sono frapposti tra i manifestanti e i poliziotti antisommossa: come ha scritto Associated Press, hanno svolto il ruolo di “forza cuscinetto”, per evitare violenze più gravi.
Una settimana fa il governo aveva anche bloccato l’accesso dai telefoni cellulari ad alcuni social network e ai servizi di messaggistica: tra gli altri, WhatsApp, Twitter, Facebook e Tango, che secondo le autorità erano stati usati per incitare e organizzare le proteste. Non è stato bloccato l’accesso internet a questi siti e servizi, ha scritto Quartz, ma gli effetti della decisione sono stati comunque piuttosto rilevanti, visto che la maggior parte dei burundesi accede a internet dal cellulare. Il governo aveva deciso anche la chiusura delle radio indipendenti del paese: le radio sono state riaperte con l’avvertenza da parte del vicepresidente Prosper Bazombanza di smettere di incitare l’insurrezione.
Il principale leader dell’opposizione, Agathon Rwasa, ha detto che la crisi è già andata troppo oltre e ha chiesto che le elezioni presidenziali fissate per il 26 giugno vengano rimandate. Rwasa ha anche chiesto che la milizia Imbonerakure, accusata di essere responsabile di molte recenti violenze, venga disarmata. Mercoledì intanto si sono incontrati i ministri degli Esteri di Burundi, Uganda, Ruanda e Tanzania a Bujumbura, per discutere della crisi: i leader di questi paesi si reincontreranno il 13 maggio in Tanzania, per evitare che le proteste si diffondano anche nei paesi confinanti con il Burundi. Le violenze di questi ultimi giorni, scrive BBC, sono le più gravi nel paese dal 2005, anno della fine della guerra civile.