• Moda
  • Lunedì 23 marzo 2015

Storia e futuro di Birkenstock

Il New Yorker racconta gli arditi progetti e gli aneddoti della società tedesca che fa le scarpe celebri per quanto sono comode e quanto sono brutte

di Andrea Fiorello – @andreafiorello

Birkenstock

La maggior parte delle persone associa i sandali Birkenstock ai turisti tedeschi o a certe “controculture” statunitensi, ma l’azienda tedesca che li produce ha una storia che comincia molto più indietro nel tempo: la racconta Rebecca Mead sul New Yorker, spiegando che già nel 1774 i registri della parrocchia di Langen-Bergheim, una cittadina vicina a Francoforte sul Meno, riportavano il nome di un certo Johann Adam Birkenstock che di mestiere faceva il calzolaio.

Alla fine del diciannovesimo secolo, un discendente di Johann Adam chiamato Konrad aprì due negozi di calzature a Francoforte: al tempo le suole delle scarpe erano tipicamente piatte, mentre l’idea innovativa di Konrad fu di creare un plantare sagomato che avvolgesse e supportasse il piede. All’inizio del ventesimo secolo, con la produzione di scarpe che diventava sempre più industrializzata, Konrad sviluppò delle solette di gomma flessibile che potessero essere inserite all’interno di qualsiasi calzatura commerciale per creare un confortevole Fussbett, letteralmente un “letto per il piede”. Questa immagine ha accompagnato l’azienda nel corso della sua evoluzione: le prime scatole di Birkenstock, infatti, avevano all’esterno il disegno del piede di un gigante poggiato su un letto e ancora oggi il plantare sagomato del marchio si chiama internazionalmente “Soft Footbed“.

La reputazione della Birkenstock nell’ambito dell’ortopedia si affermò grazie alle solette di gomma e al figlio di Konrad, Carl, che cominciò a occuparsi dell’attività di famiglia fin da giovane, mentre da adulto scrisse numerosi trattati sulla salute del piede che contenevano disegni di piedi deformati da scarpe inadatte. Quella delle calzature ortopediche è una tradizione molto consolidata in Germania e Birkenstock non è l’unica azienda famosa per la produzione di plantari sagomati che hanno la funzione di rafforzare il piede e tenerlo in posizione corretta: anche i sandali della Worishofer hanno il plantare ortopedico in sughero, mentre quello della Berkemann è in pioppo.

Questo tipo di calzature deve molta della sua fortuna alla passione di molti tedeschi per le lunghe camminate e all’esaltazione dei benefici di quest’attività fisica che nacque con la cultura termale ottocentesca. In quel periodo turisti da tutta Europa visitavano le terme della Germania e, dopo i bagni e aver bevuto le acque, si dedicavano a passeggiate nei boschi. L’idea dell’importanza di un “piede sano come fondamento di un corpo sano” si radicò a tal punto nella cultura tedesca che ancora oggi è in commercio una linea di prodotti cosmetici che porta il nome di Sebastian Kneipp, un frate cattolico bavarese che raccomandava di camminare scalzi sull’erba umida, sui sassi bagnati e nella neve. Questa “cultura ortopedica” ha avuto anche conseguenze devianti: lo storico della medicina Sander Gilman fa notare che nella letteratura antisemita tedesca di fine ottocento, il piede piatto e malformato era considerato un tratto caricaturale degli ebrei tanto quanto il naso adunco.

Con l’arrivo del figlio di Carl, Karl Birkenstock, negli anni sessanta del Novecento il marchio cominciò a produrre i sandali con il plantare di sughero per cui oggi è famoso; le leggende aziendali raccontano che Karl si mise a fare esperimenti nel forno di casa, dove cucinò una mescola di sughero e lattice per produrre un materiale leggero e resiliente, ma che al tempo stesso sostenesse il piede. Il primo modello di sandalo Birkenstock si chiamava Madrid e aveva un plantare sagomato di sughero e un cinturino con fibbia che copriva trasversalmente le dita dei piedi. La sua funzione era più ortopedica che estetica: la calzatura doveva dare la continua impressione di cadere, salvo che l’utilizzatore non cercasse costantemente di fare aderenza con le dita dei piedi contro la punta sagomata, tonificando così i muscoli del polpaccio.

Nell’articolo sul New Yorker Mead scrive che negli ultimi anni le Birkenstock sono diventate molto di moda nella zona newyorkese di Brooklyn dove lei vive e sostiene che la maggior parte delle mamme occupate a spingere passeggini o accompagnare i figli a scuola possiedono almeno uno o due paia di infradito Birkenstock del modello Gizeh. Secondo Mead, l’ampia diffusione di questi sandali è dovuta alla ricerca di sollievo delle sue vicine di casa abituate a portare quasi sempre i tacchi. Passare da un “tacco dodici” a una Birkenstock è, in questo senso, una specie di rivelazione, mentre molte donne continuano a rifiutare i sandali che trovano irrimediabilmente brutti.

Di recente, però, l’azienda tedesca ha cominciato a produrre i propri modelli non solo in marrone o grigio, ma anche in colori più moderni come l’argento o il bianco lucido. Il superamento di un altro “limite” dei sandali Birkenstock – quello per cui quando fa più freddo bisogna abbandonare le scarpe aperte – è cominciato invece grazie a una sfilata di moda parigina del 2012, in cui la direttrice creativa di Céline Phoebe Philo presentò la sua collezione facendo indossare alle modelle sandali che ricordavano le Arizona di Birkenstock, ma foderati con pelliccia di visone. L’omaggio di Céline ai sandali tedeschi, ribattezzati dalle riviste di moda “Furkenstocks” (dalla parola inglese fur, pelliccia), ne trasformò parzialmente l’immagine: la cantante Miley Cyrus si fece fotografare con un paio di sandali ingioiellati; lo stilista Giambattista Valli ne fece una versione metallizzata con borchie; il marchio Givenchy propose una sua variante di cuoio nero con rose rosa stampate. Persino lo stilista Manolo Blahnik, famoso per disegnare scarpe dai tacchi molto alti, si dichiarò un fan delle Birkenstock.

Visitando la sede principale dell’azienda a Neustadt, una cittadina vicino a Bonn, Mead ha intervistato l’amministratore delegato di Birkenstock Oliver Reichert, il quale ha detto che il “fenomeno Furkenstocks” era assolutamente non voluto: «Noi non ci occupiamo di calcolare quale sarà il prossimo trend nella moda, anzi a essere onesti sarebbe meglio non essere così di moda in questo momento». Reichert ha ammesso che è stato difficile tenere il passo della domanda di certi modelli e che avrebbe preferito una crescita più progressiva, perché un aumento improvviso di richieste può mettere l’azienda sotto una pressione eccessiva.
Secondo Reichert la ripresa del marchio non è solo un trend, ma la conseguenza di un vero e proprio cambio culturale: le donne hanno capito, dice, che molte delle scarpe che indossano le forzano a una postura scorretta e dannosa per la salute. La popolarità delle Birkenstock, sostiene Reichert, è dovuta al desiderio di tornare a una vita più naturale, che però non ha niente a che fare con i radicalismi ambientalisti, ma piuttosto con la consapevolezza che il corpo umano è fatto in un certo modo.

Un altro elemento che sta contribuendo al successo di Birkenstock, sostiene Reichert, è il crescente interesse dei consumatori verso la provenienza di ciò che s’indossa e verso l’impatto ambientale e sociale delle scelte nel vestiario. In questo senso Birkenstock – scrive Mead – è orgogliosa di produrre ancora i propri sandali in Germania, piuttosto che in Cina, e di mantenere la promessa di riparare le calzature consumate indipendentemente dal loro stato. «Chiedi a tua madre e lei ti dirà che è una cosa normale: compri le scarpe in un negozio e quando le porti indietro, loro le riparano. In passato un paio di scarpe era un bene di valore» ha detto Reichert a Mead, e poi ha spiegato: «Oggi puoi comprare un paio di pantaloni per meno di dieci euro da Primark (una catena di vestiti low-cost), ma questa cosa non durerà, perché persino i più giovani capiranno che in Bangladesh c’è qualcuno che ha dovuto soffrire per i loro pantaloni da dieci euro e questo non è per nulla un accordo equo».

Reichert ha assunto la carica di amministratore delegato nel 2013 con l’obiettivo di ristrutturare l’azienda, che in quel momento aveva un’organizzazione interna appesantita e una produzione inaffidabile. Quando nel primo decennio degli anni duemila Karl Birkenstock si ritirò dalle attività di famiglia, gestione e proprietà dell’azienda passarono ai suoi tre figli Christian, Stephan e Alex. Questo passaggio di consegne non ebbe successo, perché i tre fratelli si misero a capo di diverse divisioni interne che si facevano concorrenza tra loro. Due anni fa Stephan abbandonò l’azienda – Reichert sostiene di averlo convinto lui – e ora la proprietà è divisa tra Christian e Alex, ma questi non sono più coinvolti attivamente in azienda. Secondo Reichert, l’errore fu del padre Karl, che pensò di poter lasciare l’attività a tutti e tre i figli invece di sceglierne uno solo.

Reichert sta anche cercando di entrare in nuovi mercati: vorrebbe vendere borse di pelle a marchio Birkenstock ed espandersi in altri tipi di prodotti che abbiano nel comfort il loro punto fondamentale, come materassi e sedie da scrivania; ma dice che questi piani vanno affrontati con la massima cautela, perché secondo lui la Birkenstock è “un gigante dormiente” che deve essere svegliato con molta calma.

Da quando Reichert è in carica, Birkenstock ha cominciato a proporre altri modelli di calzature pensate per i climi freddi: per anni l’azienda ha prodotto una ciabatta-zoccolo chiamata Boston, che in Germania è usata generalmente in casa. Lo scorso autunno una Boston di camoscio blu ardesia foderata di montone è arrivata nei negozi: Mead, che ne ha comprato un paio, sostiene che siano il miglior motivo al mondo per lavorare da casa. Secondo Reichert, non importa quanto strana ti possa sembrare una Birkenstock al primo sguardo, bisogna indossarla per capire: «Devi provare a sopravvivere alla prima impressione visiva, ed è amore “a seconda vista”».

Una delle fabbriche principali della Birkenstock si trova alla periferia di Görlitz – cento chilometri a est di Dresda, in Sassonia – e impiega circa 900 persone; Mead racconta che nello stabilimento si sente un forte odore simile a quello delle panetterie, dovuto alla cottura del lattice col sughero, e che accanto alle linee di produzione si notano subito le grosse balle di iuta. Per creare il tipico plantare Birkenstock, il lattice e il sughero sono mischiati in una pasta granulosa che i macchinari poi versano nella determinata quantità negli stampi sagomati; a bordo linea un addetto colloca uno strato di iuta – un materiale resistente e traspirante – su ogni cumulo di miscela lattice-sughero e rifinisce con una fodera di camoscio, prima di mettere tutto in forno. La soletta sotto il plantare è invece di etilene vinil acetato, un polimero plastico flessibile e leggero conosciuto anche come E.V.A., che viene versato allo stato liquido in stampi a forma d’impronta del piede che scorrono su un nastro trasportatore. Il sughero è importato dal Portogallo e conservato in grossi sacchi.

Al secondo piano della fabbrica di Görlitz, Mead racconta di aver visto giovani addette che rimuovevano il materiale in eccesso dai plantari appena cotti, mentre altre segnavano col gesso su piccoli scampoli di cuoio i punti in cui il plantare sarebbe stato attaccato. Hilmar Knoll, il direttore di produzione della fabbrica, dice che ogni sandalo Birkenstock è maneggiato da diciannove addetti nel corso della sua realizzazione.

Il prezzo di un paio di Birkenstock in Germania parte da 49 euro, mentre negli Stati Uniti d’America costa almeno 100 dollari; per venire incontro ai clienti che cercano qualcosa di più economico, di recente l’azienda tedesca ha lanciato una variante dei propri modelli più famosi (Arizona, Madrid e Gizeh) la cui base è realizzata completamente in etilene vinil acetato. La base di plastica, oltre ad avere il vantaggio dell’impermeabilità, può essere in diversi colori e il prezzo dei sandali realizzati in questo materiale è di circa 25 euro, un costo che dovrebbe permettere a Birkenstock di allargare la propria clientela nei mercati emergenti del Sudamerica e del Sud-est asiatico.

Nel 2013 Birkenstock ha assunto il suo primo responsabile del prodotto e del design, Rudy Haslbeck, il cui incarico è di modernizzare il marchio senza stravolgerne l’essenza. Haslbeck – che durante l’intervista con Mead indossava un paio di Milano Exquisite, un tipo di sandalo il cui plantare è ricoperto della stessa pelle nera di cui sono fatte le fibbie – ha ammesso di non aver mai indossato un paio di Birkenstock prima di cominciare a lavorare per l’azienda che le produceva. Nei primi giorni del nuovo incarico si presentò in ufficio indossando un paio di sneakers, e il CEO Reichert gli chiese perché non usasse le Birkenstock. Haslbeck rispose: «Esistono tre regole di stile per l’uomo: uno, non indossare pantaloni corti se non sei in spiaggia; due, non indossare camicie a maniche corte; tre, non indossare sandali». Reichert rispose: «Dimentica la numero tre».

Tutti i prodotti Birkenstock hanno una cosa in comune che non può essere modificata: il plantare. Con limiti così stretti, sostiene Haslbeck, il lavoro del designer è ancora più difficile e stimolante: ad esempio, di recente il suo reparto ha aggiornato il modello Zurich, un sandalo maschile in commercio da quasi cinquant’anni dotato di un’ampia fascia di cuoio che copre la maggior parte del collo del piede. Le modifiche si sono limitate alla scelta di una pelle più spessa, robuste fibbie dorate e una suola increspata simile a quella che si trova nelle scarpe Clarks. «È molto massiccio, molto mascolino» ha detto Haslbeck, «lo compri solo una volta nella tua vita, perché durerà per sempre».
Altri interventi di Haslbeck sono stati più coraggiosi, come una versione della ciabatta Boston in velluto cremisi o dorato, o un Arizona con plantare di pelle color oro rosa e fasce in tweed color pesca con iridescenze argentate. «Il primo anno sono andato sul bianco, mentre per questa stagione ho pensato che finalmente posso aggiungere del colore».

Il prossimo autunno l’azienda ha in programma d’introdurre una gamma di scarpe a punta chiusa e stivali: da fuori sembreranno comuni calzature, ma dentro offriranno la sensazione tipica di Birkenstock. Per creare una scarpa dalle forme più affusolate, Haslbeck ha dovuto ridurre il bordo rialzato tipico del plantare dei sandali, che ha la funzione di proteggere il piede ma che lo fa sembrare più largo. Mead scrive che gli stivali che le sono stati mostrati ricordano quelli della marca Camper, perché riescono a unire il comfort a un aspetto energico e giovanile, e dopo averli provati sostiene che sono di una comodità straordinaria.

Un’altra novità in arrivo il prossimo autunno è la nuova linea di calzettoni, realizzata da un’azienda partner tedesca, che negli USA sarà promossa con lo slogan “Socks and ‘Stocks” (calzini e Birkenstock). Mead non è sicura che questo nuovo progetto avrà successo e scrive che i prototipi – alcuni realizzati in un quadruplo strato di cashmere, lunghi abbastanza da arrivare alla coscia – sono i calzini più strani che abbia mai visto.

La trasformazione di Birkenstock da produttore tedesco del settore ortopedico a marchio mondiale della moda non sarebbe probabilmente potuta avvenire senza Margot Fraser, una donna nata nel 1929, cresciuta a Berlino e diventata una sarta di successo a Brema. Nei primi anni sessanta Fraser aveva sposato un americano e si era trasferita nel nord della California; poiché aveva spesso i piedi doloranti, durante un viaggio in Germania nel 1966 acquistò un paio di Birkenstock Madrid. Appena tornata negli Stati Uniti, contattò Karl Birkenstock per proporgli di importare lì le sue calzature.

I commercianti di scarpe cui Fraser propose le Birkenstock dissero che quel tipo di sandali non avrebbe mai venduto, così un suo amico le suggerì di aprire uno stand alla fiera dei cibi salutari di San Francisco: i primi clienti di Fraser furono proprio i titolari dei negozi di alimentari, che passavano tutto il giorno in piedi; poi questi cominciarono a mettere in vendita le Birkenstock sui propri scaffali, accanto al muesli e alle vitamine. Il successo fu tale – ha raccontato Margot Fraser, che oggi ha 85 anni – che i commercianti di scarpe la pregarono che li rifornisse dei sandali.
Da allora le Birkenstock sono state associate con la controcultura americana e hanno avuto ciclicamente dei momenti di fama: nel 1990 Kate Moss apparve sulla rivista The Face con indosso un paio di Birkenstock, mentre nel 1992 lo stilista Marc Jacobs le usò per la collezione grunge realizzata per Perry Ellis.

I gusti degli statunitensi hanno spesso influenzato la produzione in Germania: Fraser ha raccontato a Mead che qualche volta le sue proposte trovavano resistenza da parte della sede centrale: «Quando cominciai a chiedere un po’ di colore, il responsabile della distribuzione in Svizzera rispose “Questa donna ci porterà alla rovina. Noi siamo ortopedici, non abbiamo bisogno di colore”. Noi però introducemmo i colori negli Stati Uniti d’America e questo aiutò le vendite in tutti i mercati».

Margot Fraser andò in pensione circa dieci anni fa, mentre dal 2013 la divisione americana di Birkenstock è guidata da David Kahan. In mezzo c’è stata una fase di gran confusione, con un continuo cambio di persone ai vertici che ha comportato conseguenze negative per l’azienda e i rivenditori. Durante una grande fiera delle calzature a Las Vegas, l’amministratore delegato Kahan ha detto a Mead «Qualunque brand può avere un modello che va di moda: le scarpe da barca sono di moda, le skeakers di tela sono di moda, ma noi abbiamo un marchio che è a un altro livello». Poi, guardando gli stand degli altri marchi ha aggiunto «Qui tutti vendono scarpe, ma quelle di uno sono fondamentalmente identiche a quelle dell’altro. Le uniche scarpe che puoi riconoscere al volo da cinque metri di distanza sono i sandali Birkenstock».

Kahan ha spiegato a Mead che le scarpe chiuse e gli stivali che arriveranno il prossimo autunno saranno ancora riconoscibili come Birkenstock, ma serviranno a sfruttare altre tendenze del mercato attuale. «Io uso la parola “Birkenstock” come un verbo» ha detto l’amministratore delegato. «Abbiamo “birkenstockato” le sneakers per la primavera, gli stivali Dr. Martens, abbiamo persino “birkenstockato” gli stivali da moto».

In un angolo dello stand alla fiera di Las Vegas, Mead scrive che c’erano anche alcune paia dei nuovi calzini Birkenstock, ma non quelli di cashmere. Jonathan Skow, il disegnatore della linea di vestiti da uomo californiana Mr. Turk, ha detto che promuoveva l’idea dei sandali abbinati ai calzini, ma ha anche ammesso che non è una scelta per tutti i gusti. Le Birkenstock – sostiene Skow – hanno sempre generato reazioni estreme, e proprio in questo starebbe l’essenza della moda: «È ciò che rende le cose interessanti, quando guardi un oggetto e non sei sicuro se ti piace o no».

Foto di Evan Agostini/Getty Images