Le foto di Giovanni Troilo, premiate e discusse

Il sindaco di Charleroi ha criticato il lavoro del fotografo italiano vincitore del World Press Photo, definendolo ingannevole, ma il premio è stato confermato

The gas supply tubes run along the houses built near the steel factories of Charleroi. Before the electric upgrade of the blast furnace these tubes used to provide the energy necessary to this operation. The factory and furnace infringe and loom over the lives of the inhabitants.
The gas supply tubes run along the houses built near the steel factories of Charleroi. Before the electric upgrade of the blast furnace these tubes used to provide the energy necessary to this operation. The factory and furnace infringe and loom over the lives of the inhabitants.

Il fotografo italiano Giovanni Troilo, ha 33 anni, lavora per l’agenzia fotografica Luz (che ha anche un blog sul Post) e ha recentemente vinto il primo premio nella categoria contemporary issues del World Press Photo 2015 con la raccolta intitolata Dark Heart of Europe. Il premio è stato seguito da alcune polemiche dato che il sindaco di Charleroi, la città del Belgio dove sono state scattate le foto, ha accusato il fotografo di aver travisato volontariamente lo spirito del posto. Le foto mostrano situazioni di degrado sociale: due persone che fanno sesso in una macchina, un uomo a torso nudo con una pistola in mano “che tiene l’arma nei boschi perché è più sicuro che in casa, dove la polizia viene a fargli visita regolarmente”, fino a una donna completamente nuda chiusa in una gabbia in quello che sembra essere uno scantinato abbandonato. Molte delle foto sono “posate”, cioè fotografano una scena creata appositamente: per esempio una delle due persone “colte” a fare sesso in macchina è il cugino del fotografo. Troilo ha spiegato nelle didascalie di aver ricreato situazioni vere.

Paul Magnette, sindaco di Charleroi, ha accusato Troilo di aver praticato una distorsione della realtà e ha inviato una lettera al World Press Photo – la fondazione olandese che dal 1955 assegna ogni anno il più importante premio fotogiornalistico al mondo – chiedendo che venisse revocata l’assegnazione del premio. Magnette ha scritto: «Questo lavoro utilizza essenzialmente tecniche di messa in scena che aggiungono dramma alle immagini attraverso una luce artificiale. Se fosse un lavoro artistico privato non sarebbe assolutamente un problema. Sfortunatamente il fotografo non ha presentato il suo lavoro come tale. Ha dichiarato di aver svolto giornalismo investigativo, un saggio fotografico che riflette la realtà. Ma questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà: le didascalie false e fuorvianti, la realtà traviata e la messinscena, tutto questo è molto disonesto e non rispetta l’etica giornalistica».

Giovanni Troilo è stato intervistato da Michele Smargiassi, giornalista esperto di fotografia di Repubblica: non ha negato di aver “costruito” alcune fotografie ma ha anche spiegato il suo punto di vista. «Io nella descrizione del progetto per il World Press Photo sono stato chiaro, il mio non è un reportage d’inchiesta, infatti non concorreva per le categorie di news ma in quella su temi contemporanei… Il mio è un punto di vista, è la mia visione di Charleroi come un luogo che rappresenta l’Europa nei suoi lati più oscuri e nascosti, che nessuno vuol vedere… Andiamo spesso a cercare le stesse cose in altri continenti, dove risultano credibili, magari solo per esotismo… Io ho voluto mostrare che un lato oscuro esiste anche qui, ma non l’ho inventato, esiste davvero, io l’ho raccontato».

Domenica 1 marzo il World Press Photo ha fatto sapere di aver respinto le richieste del sindaco, confermando il premio a Troilo: «La giuria non ha alcun motivo per mettere in dubbio l’integrità del fotografo nell’esercizio del suo lavoro. Non sono stati trovati elementi fuorvianti nelle didascalie delle foto». Non è il primo caso in cui un fotografo premiato modifica le proprie fotografie o ricrea eventi successi in momenti diversi da quelli catturati. C’era stata una grossa polemica per esempio intorno al lavoro del fotografo italiano Carlo Bevilacqua, “Eremiti del terzo millennio”, pubblicato sul New York Times nel 2012. In quel caso però si trattava di modifiche sostanziali della realtà, grazie anche all’uso di Photoshop.