Claudio Scajola e Gianni De Gennaro sono indagati nella nuova inchiesta sulla mancata concessione della scorta a Marco Biagi, ucciso nel 2002
Claudio Scajola e Gianni De Gennaro sono indagati nell’inchiesta bis sulla revoca della scorta a Marco Biagi, il professore esperto di diritto del lavoro ucciso dal movimento armato di estrema sinistra “Nuove Brigate Rosse” il 19 marzo del 2002. All’epoca Scajola e De Gennaro erano ministro dell’Interno e capo della Polizia. I processi per l’omicidio Biagi si svolsero tra il giugno del 2005 e la fine del 2007. In primo grado la Corte d’Assise di Bologna condannò a cinque ergastoli i componenti delle “Nuove Brigate Rosse”: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini. In secondo grado a Boccaccini furono riconosciute le attenuanti generiche e la pena gli fu ridotta a 21 anni di reclusione. La Corte di Cassazione nel 2007 confermò la sentenza di secondo grado.
Nel 2004, a Bologna, venne aperta un’inchiesta per «cooperazione colposa in omicidio» ma venne archiviata perché non vennero trovate circostanze di rilievo penale nella catena che portò alla revoca della scorta di Biagi. Lo scorso maggio il procuratore Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane, lo stesso pm che aveva chiesto l’archiviazione nel 2004, ne chiese la riapertura a seguito del ritrovamento di una serie di nuovi documenti. Si parlava in particolare di due lettere trovate lo scorso luglio a casa di Luciano Zocchi, ex capo della segreteria dell’allora ministro Claudio Scajola, lettere che sarebbero state vistate personalmente dall’ex ministro Scajola. Scajola sarebbe stato insomma direttamente a conoscenza della questione mentre ha sempre sostenuto di non sapere nulla dei rischi che stava correndo Biagi. Pochi mesi prima dell’attentato, Scajola aveva deciso di revocare la scorta a Marco Biagi, richiesta dallo stesso giuslavorista che temeva attacchi da parte degli estremisti di sinistra. Biagi spiegò di aver ricevuto minacce e inviò lettere a diversi esponenti politici per avere qualche forma di tutela: la scorta gli fu data nel 2000, tolta nel 2001 e mai più riaffidata. Durante il processo emerse che i brigatisti scelsero Biagi come obiettivo anche in virtù del fatto che non era più sotto scorta.
Nell’estate del 2002 Scajola si dimise da ministro in seguito ad alcune sue frasi colte da alcuni giornalisti mentre era in una visita ufficiale a Cipro. Scajola disse che se ci fosse stata la scorta quella sera a Bologna i morti sarebbero stati tre, e che Biagi non era così centrale per la riforma del lavoro, ma più che altro «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza». Il reato ipotizzato, al momento della riapertura, era quello di «omicidio per omissione» contro ignoti. Si tratta di un’ipotesi di reato più grave dell’omissione semplice (che sarebbe caduta in prescrizione nel 2009) e dunque tuttora perseguibile.