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  • Domenica 1 febbraio 2015

Una settimana di Syriza in Grecia

Il nuovo governo greco sta facendo la voce grossa su debiti e privatizzazioni, ma ha fatto anche qualche gaffe sulle sanzioni europee contro la Russia

Newly appointed Greek Prime Minister Alexis Tsipras leaves the Presidential Palace in Athens on January 27, 2015. Greece named radical left-wing economist Yanis Varoufakis as its new finance minister, giving him the mammoth task of leading negotiations with international creditors over the country's bailout. The appointment of Varoufakis is seen as a signal that the new anti-austerity Syriza-led government will take a hard line in haggling over the 240-billion-euro ($269 billion) EU-IMF package. AFP PHOTO / ARIS MESSINIS (Photo credit should read ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)
Newly appointed Greek Prime Minister Alexis Tsipras leaves the Presidential Palace in Athens on January 27, 2015. Greece named radical left-wing economist Yanis Varoufakis as its new finance minister, giving him the mammoth task of leading negotiations with international creditors over the country's bailout. The appointment of Varoufakis is seen as a signal that the new anti-austerity Syriza-led government will take a hard line in haggling over the 240-billion-euro ($269 billion) EU-IMF package. AFP PHOTO / ARIS MESSINIS (Photo credit should read ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)

Domenica 25 gennaio Syriza, il partito di sinistra radicale guidato da Alexis Tsipras, ha vinto le elezioni in Grecia e ha rapidamente formato un governo alleandosi con i Greci Indipendenti, una formazione di destra populista. Il risultato delle elezioni greche era atteso in tutta Europa: la Grecia è un paese molto indebitato e da quello che deciderà di fare con il suo debito dipenderà molto della futura situazione economica dell’Unione Europea. Il debito, comunque, non è l’unica ragione per cui oggi c’è molta attenzione sulla situazione greca. Syriza è un partito di sinistra con un programma molto radicale e il suo successo è stato preso come esempio da molti movimenti di sinistra in tutta Europa (in Spagna, il partito Podemos ha fatto una grande manifestazione proprio ieri, facendo riferimento diretto alla vittoria di Syriza).

La questione del debito
Uno dei problemi principali della Grecia è il suo gigantesco debito pubblico, che è pari al 175 per cento del PIL (in Italia è pari a “solo” il 130 per cento del PIL). Si tratta in tutto di circa 323 miliardi di euro che la Grecia deve restituire soprattutto agli altri paesi dell’eurozona, alla BCE e al Fondo Monetario Internazionale. Nel 2012 i creditori privati della Grecia – le banche in sostanza – furono infatti costrette a un cosiddetto “haircut“, ovvero dovettero rinunciare a gran parte del denaro che avevano prestato alla Grecia.

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In campagna elettorale Syriza aveva promesso di “dimezzare” il debito pubblico greco, una possibilità che è stata esclusa più volte dai principali creditori del paese. Dopo la formazione del governo, la scorsa settimana si è tornati a discutere del tema e la posizione di Syriza è diventata leggermente più flessibile. Il nuovo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, si è scontrato con i rappresentanti dei creditori e ha detto di non voler più trattare con la Troika, il nome informale con cui si indicano i rappresentanti dei creditori della Grecia: FMI, BCE e Commissione Europea. Non voler più trattare con la Troika significa trattare direttamente con quei paesi che hanno prestato denaro alla Grecia, sperando così di ottenere condizioni migliori. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto in settimana che è inaccettabile che la Grecia tratti direttamente con i singoli stati.

Sabato 31 gennaio sembra che la tensione che si era creata dopo l’elezione di Syriza si sia in parte alleviata. Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha inviato una mail a Bloomberg News per spiegare che la Grecia ripagherà i suoi debiti con FMI e BCE – che ne detengono circa il 16 per cento del totale – e che troverà un accordo con i paesi dell’eurozona – che detengono il 60 per cento del suo debito: l’Italia da sola è in credito di circa 40 miliardi di euro. Per il momento sembra che il governo greco intenda perseguire una strategia di trattativa con i singoli paesi creditori nel tentativo di rinegoziare i suoi debiti: quindi continuare a pagarli, ma a tassi di interessi più bassi e con tempi meno stringenti.

Privatizzazioni e prime misure
Oltre alla questione del debito, negli ultimi giorni si è parlato di altri importanti temi legati ai problemi interni della Grecia. Il governo, ad esempio, ha detto che vuole alzare il salario minimo, assumere di nuovo molti lavoratori statali licenziati (tra cui gli addetti alle pulizie del ministero delle Finanze) e soprattutto bloccare il gran numero di privatizzazioni approvate dagli scorsi governi. Le privatizzazioni sono un altro dei simboli della crisi greca. In cambio dei primi pacchetti di aiuti nel 2010, la Troika chiese al governo di vendere alcune grandi società pubbliche – spesso dei carrozzoni inefficienti – per fare cassa e rendere le stesse società più efficienti.

Le privatizzazioni hanno portato in molti casi a licenziamenti e tagli di stipendio: anche per questo motivo, su un pacchetto di privatizzazioni da 22 miliardi di euro i vari governi che si sono succeduti fino ad oggi sono riusciti a portarne in cassa molto meno della metà. Syriza ha fatto del blocco delle privatizzazioni uno dei punti più importanti del suo programma elettorale. Tsipras ha già deciso di bloccare la vendita del 67 per cento delle azioni della società che controlla il porto del Pireo, il più grande del paese. Le azioni avrebbero dovuto essere acquistate dalla società cinese COSCO e da altre quattro società. Il governo ha anche annunciato di voler bloccare la privatizzazione della Società Pubblica di Energia. Sono in tutto una decina le privatizzazioni che ora sono in dubbio. Secondo il governo greco, vendere questi beni pubblici è un errore e penalizza in ogni caso il popolo greco: l’amministrazione deve restare pubblica e i posti di lavoro devono essere preservati.

Il caso delle sanzioni alla Russia
Martedì 27 gennaio la stampa europea ha reagito con sorpresa a una dichiarazione con cui il governo greco sembrava opporsi alla possibilità di estendere le sanzioni contro la Russia. Le decisioni in politica estera dell’Unione Europea vanno prese all’unanimità, quindi basta il voto contrario di un singolo paese per bloccare qualsiasi iniziativa. Dopo un paio di giorni, il governo greco ha chiarito che si era trattato di un equivoco dovuto semplicemente all’inesperienza di alcuni ministri: in sostanza il governo pensava di non essere stato interpellato dall’Europa sul tema delle sanzioni alla Russia, quando in realtà era in vigore un meccanismo di silenzio-assenso. La Grecia ha dato poi ufficialmente il suo assenso al prolungamento delle sanzioni attualmente imposte alla Russia e alla possibilità di discuterne di nuove il prossimo mese.

Il nuovo governo greco, comunque, ha posizioni più morbide della maggior parte dei paesi membri dell’Unione Europea nei confronti della Russia. In passato Tsipras ha visitato la Russia e criticato il governo ucraino con l’accusa di ospitare elementi “nazisti” (l’accusa di nazismo è stata una delle più riprese dalla stampa russa durante la rivoluzione che un anno fa portò alla deposizione dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych). Diversi attuali membri del governo hanno avuto rapporti con alcuni elementi della destra nazionalista russa, come il filosofo Alexander Dugin che pochi mesi fa ha chiesto di compiere un “genocidio” degli ucraini. L’attuale ministro degli Esteri greco, Nikos Kotzias, invitò Dugin a un seminario al Pireo nel 2013.