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  • Mercoledì 28 gennaio 2015

La causa collettiva contro Asahi Shimbun

Diecimila giapponesi hanno fatto causa al principale giornale di sinistra del paese per aver scritto "donne di compagnia" invece che "schiave del sesso": è una vecchia storia

Tokyo, JAPAN: Japanese women hold portraits of Chinese, Philippine, South Korean and Taiwanese former comfort women who were sex slaves for Japanese soldiers during World War II, at a protest held in front of the Japanese parliament in Tokyo, 14 June 2007. About 150 people took part in the protest demanding compensation by the Japanese government. AFP PHOTO/Toru YAMANAKA (Photo credit should read TORU YAMANAKA/AFP/Getty Images)
Tokyo, JAPAN: Japanese women hold portraits of Chinese, Philippine, South Korean and Taiwanese former comfort women who were sex slaves for Japanese soldiers during World War II, at a protest held in front of the Japanese parliament in Tokyo, 14 June 2007. About 150 people took part in the protest demanding compensation by the Japanese government. AFP PHOTO/Toru YAMANAKA (Photo credit should read TORU YAMANAKA/AFP/Getty Images)

In Giappone più di 10mila persone hanno avviato un’azione legale contro il principale quotidiano di sinistra del paese, Asahi Shimbun, per la lunga e dibattuta questione della scelta del termine “donne di compagnia” oppure “schiave del sesso” per riferirsi alle donne che si prostituirono nei bordelli militari giapponesi prima e durante la Seconda guerra mondiale.

Nel settembre dello scorso anno Asahi Shimbun aveva detto che molte storie pubblicate negli anni Ottanta e Novanta sul forzato “arruolamento” delle donne nei bordelli si erano basate in realtà sulla falsa testimonianza di Seiji Yoshida, ex soldato giapponese che aveva raccontato di essere stato testimone del rapimento di alcune donne sudcoreane dell’isola di Jeju, donne poi finite nei bordelli giapponesi. Per questo il giornale “ritrattava” la versione secondo cui tutte le donne finite nei bordelli giapponesi erano state obbligate a prostituirsi: non erano più “schiave del sesso” ma “donne di compagnia”. La questione è dibattuta perché in Giappone un grosso movimento conservatore da anni sta spingendo affinché si usi l’espressione “donne di compagnia” al posto di “schiave del sesso”, che implica il fatto che le donne fossero state prelevate con la forza e costrette a prostituirsi.

Il gruppo di querelanti è guidato da Shoichi Watanabe, professore emerito dell’Università Sophia, e chiede 10mila yen a testa – circa 75 euro – come risarcimento simbolico. Si descrive come un gruppo di “cittadini giapponesi il cui onore e la cui credibilità sono stati danneggiati dalle false notizie riportate da Asahi Shimbun“. I querelanti hanno detto che il sistema delle cosiddette donne di compagnia “ha provocato una indescrivibile umiliazione non solo sugli ex soldati, ma anche sui cittadini giapponesi onorevoli… che vengono etichettati come discendenti di stupratori di gruppo”.