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  • Giovedì 8 gennaio 2015

È giusto pubblicare le vignette di Charlie Hebdo?

Se ne discute molto e i grandi giornali si sono divisi: il New York Times e il Washington Post per esempio non le hanno pubblicate, perché offendono un gruppo religioso

di Paul Farhi – Washington Post

A person reads on November 1, 2011 in Paris an issue of Satirical French magazine Charlie Hebdo to be published on November 2, 2011, whose cover features prophet Mohammed. "In order fittingly to celebrate the Islamist Ennahda's win in Tunisia and the NTC (National Transitional Council) president's promise that sharia would be the main source of law in Libya, Charlie Hebdo asked Mohammed to be guest editor," said a statement.
AFP PHOTO MARTIN BUREAU (Photo credit should read MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)
A person reads on November 1, 2011 in Paris an issue of Satirical French magazine Charlie Hebdo to be published on November 2, 2011, whose cover features prophet Mohammed. "In order fittingly to celebrate the Islamist Ennahda's win in Tunisia and the NTC (National Transitional Council) president's promise that sharia would be the main source of law in Libya, Charlie Hebdo asked Mohammed to be guest editor," said a statement. AFP PHOTO MARTIN BUREAU (Photo credit should read MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)

Da quando nel 2005 un quotidiano danese ha pubblicato alcune vignette che prendevano in giro Maometto, attirandosi proteste e minacce di morte, le redazioni dei giornali si sono chieste: è necessario o no pubblicare quelle vignette che fanno parte della notizia, benché offensive per qualcuno? Il problema si è ripresentato in seguito all’attacco alla redazione di Charlie Hebdo, che nel 2006 aveva pubblicato le vignette danesi assieme ad altre di propria creazione. L’attacco ha causato la morte di 12 persone, incluso il direttore della rivista Stéphane Charbonnier, che una volta ha posato per una foto assieme alla copertina di un numero di Charlie Hebdo con un ebreo ortodosso che spingeva Maometto su una carrozzina (era un riferimento al film francese Quasi Amici, il cui titolo originale è “Intouchables”: e i personaggi alludevano proprio al fatto che non potevano essere presi in giro).

Nelle ore successive alcuni giornali occidentali [tra cui il Post] hanno diffuso alcune delle vignette e copertine di Charlie Hebdo. Altri, invece, non lo hanno fatto. Anche la foto di Charbonnier mentre regge quel numero di Charlie Hebdo – scattata nel suo ufficio nel 2011 – è stata considerata controversa, tanto che Associated Press ha tagliato l’immagine lasciando visibili solo la faccia di Charbonnier e il nome della testata.

Charb

Una seconda foto del direttore, che raffigurava per intero la copertina di quel numero, è stata tolta dall’archivio di Associated Press. Era stata scattata da un’agenzia francese, la SIPA, che collabora con Associated Press. La CNN, il New York Daily News e il Telegraph hanno fatto in tempo a utilizzare questa seconda foto, offuscando però l’immagine di Maometto presente sulla copertina.

Santiago Lyon, il vicedirettore di Associated Press e il capo della divisione che si occupa delle fotografie, ha detto: «La nostra linea generale è non pubblicare cose offensive o rappresentazioni che offendono, provochino, intimidiscano o prendano di mira simboli religiosi, o che facciano arrabbiare persone che hanno convinzioni etiche o religiose. Non crediamo che sia utile».

Lyon ha aggiunto che Associated Press non ha ceduto alle minacce dei terroristi, ma che sta applicando una pratica che si applica a tutti i contesti. Quando un pastore cristiano, Terry Jones, aveva minacciato di bruciare diversi libri contenenti il Corano nel 2013 come “tributo” alle vittime dell’11 settembre, i fotografi di Associated Press discussero di come raccontare la storia senza mostrare le immagini dei libri che bruciano (Jones alla fine non bruciò il Corano).

I giornali modificano regolarmente le immagini che reputano troppo dure, forti o offensive, nonostante siano parte di una notizia che stanno raccontando: succede per esempio con le foto di incidenti stradali, con quelle dei morti a causa della guerra o con le foto di nudi. Pochi giornali, per esempio, hanno pubblicato le tremende immagini della decapitazione degli ostaggi americani uccisi dallo Stato Islamico, o le foto delle attrici statunitensi nude trapelate online nei mesi scorsi.

Nè il New York Times né il Washington Post hanno mai pubblicato le famose vignette danesi o quelle francesi, ed entrambi i giornali ieri hanno spiegato che non intendono farlo. Il caporedattore del New York Times che si occupa delle “scelte etiche” del giornale, Philip B. Corbett, ha detto che il Times non pubblica materiale «che intende offendere di proposito la sensibilità religiosa» di qualcuno. Ha detto che i capi della redazione del giornale hanno deciso che descrivere le vignette piuttosto che pubblicarle «dia ai lettori elementi sufficienti per capire la notizia di ieri». Un caporedattore del Washington Post, Martin Baron, ha detto che il giornale evita la pubblicazione di materiale «apertamente – o senza motivo – offensivo verso gruppi religiosi» e che continuerà ad applicare questo metro di giudizio anche in questi giorni, dopo l’attacco di Parigi.

La pagina del Washington Post che ospita contributi e articoli di persone esterne alla redazione, che è sottoposta a un altro tipo di supervisione, ha invece pubblicato una delle copertine di Charlie Hebdo: quella in cui Maometto spiega che infliggerà cento frustate a “quelli che non muoiono di risate” durante la lettura della rivista (e che all’apparenza ha provocato un precedente attacco alla redazione, nel 2011). Fred Hiatt, che dirige quella sezione del giornale, ha detto che «vedere quella copertina farà capire meglio ai lettori di cosa si sta parlando».

Il direttore del quotidiano USA Today, David Callaway, ha detto che la sua redazione «sta discutendo» se pubblicare o meno le vignette su Maometto. Mercoledì sera, però, ha detto che il giornale pubblicherà probabilmente le vignette che sono state disegnate in risposta all’attacco. Ha detto Callaway: «Sarebbe sciocco pensare che questa scelta non abbia fatto riflettere ogni direttore, almeno per un minuto. Ma l’attacco alla libertà di espressione è stato troppo grande. Se qualcosa è una notizia, la pubblichiamo».

Stephen Pollard, il direttore del quotidiano inglese ebraico Jewish Chronicle, ha argomentato su Twitter contro la pubblicazione delle vignette: «È facile attaccare i giornali che non le pubblicano. Io mi chiedo: ogni principio in cui credo mi dice di pubblicarle. Ma che diritto ho di mettere a rischio la vita dei miei dipendenti solo per prendere una posizione?».

prima foto: MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images
seconda foto: AP Photo/Michel Euler

© Washington Post