Il Jobs Act che torna al Senato

Come è stato modificato alla Camera, quando sarà approvato definitivamente e cosa succede dopo

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
25-11-2014 Roma
Politica
Camera dei Deputati - Jobs Act
Nella foto Il voto

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
25-11-2014 Rome (Italy)
Chamber of Deputies - Jobs Act
In the photo vote
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-11-2014 Roma Politica Camera dei Deputati - Jobs Act Nella foto Il voto Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-11-2014 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Jobs Act In the photo vote

Il Jobs Act, la “legge delega” che indica le linee guida che il governo dovrà seguire per riformare le regole del mondo del lavoro, è stato approvato il 25 novembre dalla Camera dei Deputati. Si tratta di uno dei provvedimenti più importanti e discussi che il governo ha proposto fino ad ora ed è stato duramente criticato dai sindacati e dalla minoranza interna al Partito Democratico. Proprio durante il voto del 25 novembre la legge è stata modificata su richiesta della minoranza del PD che, in parte, ha votato la riforma (in 29 non hanno comunque partecipato alla votazione e in due hanno votato contro). Ora la legge dovrà quindi ritornare al voto del Senato, dove era già stata approvata lo scorso ottobre, per una terza e definitiva approvazione. La commissione al Senato ha approvato il testo della Camera che sarà votato in aula martedì prossimo.

Cos’è il Job Act
Tecnicamente il Jobs Act è un “disegno di legge delega”, un testo che indica al governo una serie di temi e linee guida per legiferare – dandone la “delega” al governo, appunto – in un certo campo: la regolamentazione del lavoro, in questo caso. Una volta approvata dal parlamento, una legge delega permette al governo di emanare dei “decreti delegati” (chiamati anche “attuativi” o “legislativi”), una serie di atti che hanno immediatamente forza di legge. La Corte costituzionale, se ne viene fatta richiesta, si occupa di verificare che i decreti delegati rispettino lo spirito della legge delega approvata dal parlamento.

Il Jobs Act, ossia la legge delega numero 1428, è composto da quindici articoli che trattano: ammortizzatori sociali (gli strumenti di sostegno a chi perde il lavoro); normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive (incentivi per l’occupazione); semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese (a livello amministrativo); tipologie contrattuali; tutela della maternità e forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Com’è cambiato alla Camera
L’articolo più delicato e quello dove la legge delega va più nello specifico nel delimitare il percorso da seguire per il governo, è quello che riguarda la riforma delle tipologie contrattuali. Nel primo testo del Jobs Act, approvato lo scorso ottobre con un voto di fiducia al Senato, non c’era alcun accenno all’articolo 18, quello contenuto nello statuto dei lavoratori che regolamenta i licenziamenti e che costituisce il principale punto di dissenso tra governo e oppositori della riforma che temevano quindi il governo avesse eccessive libertà di modifica.

Con l’emendamento approvato martedì 25 alla Camera l’azione del governo sull’articolo 18 viene limitata. In sostanza: il governo dovrà inserire esplicitamente nel decreto delegato una norma che obblighi il giudice – in caso di licenziamento discriminatorio – ad ordinare all’impresa di reintegrare il lavoratore, cioè assumerlo di nuovo nello stesso ruolo e con lo stesso stipendio. Non è invece previsto alcun reintegro per i licenziamenti dovuti a motivi economici, sempre che il giudice non ritenga che il licenziamento per motivi economici non nasconda in realtà un licenziamento discriminatorio. In maniera abbastanza generica, il testo dell’emendamento prevede anche che solo per alcune “fattispecie” di licenziamento disciplinare il giudice abbia la possibilità di ordinare il reintegro. In tutti gli altri casi, al lavoratore spetterà un indennizzo economico proporzionale alla sua anzianità di servizio.

Cosa succede ora
Il testo è stato approvato alla Camera con 316 voti favorevoli e 6 contrari perché le opposizioni non hanno partecipato al voto. Ventinove deputati del PD non hanno votato, tra cui Rosy Bindi, Stefano Fassina e Gianni Cuperlo (che ha spiegato la sua decisione in un’intervista assai critica nei confronti del governo). In due, Giuseppe Civati e Luca Pastorino, hanno votato contro. Visto che il testo approvato dalla Camera è stato modificato, ora la legge delega dovrà ritornare al Senato per essere nuovamente approvata (è quella che il gergo parlamentare definisce “navetta”). La commissione Lavoro del Senato ha approvato il nuovo testo venerdì 28 e la votazione in aula è prevista per martedì 2 dicembre. Se il testo sarà approvato, il governo ha dichiarato che inizierà da gennaio ad approvare i decreti delegati.