La Camera ha approvato il Jobs Act

La riforma del lavoro proposta dal governo Renzi ora ritornerà all'esame del Senato

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
25-11-2014 Roma
Politica
Camera dei Deputati - Jobs Act
Nella foto Il voto

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
25-11-2014 Rome (Italy)
Chamber of Deputies - Jobs Act
In the photo vote
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-11-2014 Roma Politica Camera dei Deputati - Jobs Act Nella foto Il voto Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-11-2014 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Jobs Act In the photo vote

La Camera dei Deputati ha approvato con 316 voti a favore la riforma del lavoro, il cosiddetto “Jobs Act” proposto dal governo Renzi. I voti contrari sono stati solo 6 perché l’opposizione e parte della minoranza del PD non hanno partecipato alla votazione.

Il Jobs Act è una legge delega: un testo cioè che pone alcuni principi fondamentali all’interno dei quali il Parlamento delega il governo ad assumere delle decisioni. La legge è già stata approvata dal Senato lo scorso 9 ottobre – con il voto di fiducia, cosa che ha creato discussioni e polemiche – ma è stata modificata alla Camera con un emendamento proposto dal governo e quindi dopo il voto dovrà ritornare all’esame del Senato prima di essere approvata definitivamente.

La legge è stata molto discussa, anche e soprattutto all’interno del Partito Democratico, per alcune regole che modificano tra le altre cose le modalità di assunzione e di licenziamento, cambiando anche le tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La minoranza del PD contraria al Jobs Act, circa una quarantina di deputati, è rimasta divisa sul da farsi: alcuni non hanno partecipato al voto, altri – 6 – hanno confermato esplicitamente il loro voto contrario. Pier Luigi Bersani, che ha criticato molte cose della riforma del lavoro, ha detto che avrebbe votato “per disciplina” anche i provvedimenti che non condivide.

L’emendamento che ha modificato la legge alla Camera stabilisce che in caso di licenziamento discriminatorio o nullo – perché ha violato una serie di norme fondamentali come quelle a tutela della maternità e della paternità, degli orientamenti sessuali, della religione, delle opinioni politiche, dell’attività sindacale e così via – le tutele resteranno quelle previste dall’articolo 18: si continuerà ad applicare quella che viene definita “tutela reale piena”. Il o la dipendente (visto che nella maggior parte dei casi la discriminazione riguarda le donne) saranno rimessi al loro posto di lavoro nelle condizioni di pre-licenziamento (il cosiddetto reintegro). Dovrà essere dunque assicurato lo stesso trattamento economico e la stessa posizione che avevano prima. Il funzionamento concreto di questo diritto sarà deciso però con i decreti attuativi.