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Entro la fine dell’anno i liquidatori del Manifesto metteranno all’asta la testata. La storia degli ultimi due anni al Manifesto, quella almeno di una crisi finanziaria divenuta sempre più profonda e che ha messo a rischio, come mai prima, l’esistenza del giornale, è stata raccontata pubblicamente sulle sue pagine: è piuttosto complicata e l’abbiamo spiegata qui.
A causa dei conti in passivo, nel febbraio del 2011 i soci avevano deciso all’unanimità (come unica alternativa al fallimento) di avviare la liquidazione coatta amministrativa. Alla fine del 2012 i liquidatori – che nel frattempo avevano assunto la gestione provvisoria del giornale – avevano avviato ufficialmente le procedure per la vendita che non era però andata a buon fine (le offerte d’acquisto erano state giudicate ben al di sotto del valore della testata). Subito dopo il fallimento della vendita era nata al Manifesto una nuova cooperativa (più ridotta rispetto alla vecchia e composta da oltre 40 soci) che da gennaio 2013 era tornata a gestire il giornale in totale autonomia affittandolo per 20 mila euro dai commissari liquidatori. Il pagamento dell’affitto mensile forniva una rendita alla liquidazione stessa rendendo meno urgente la questione della vendita. La procedura della liquidazione è però nel frattempo proseguita ed è stato deciso dai liquidatori di portarla a termine entro il 2014: per ripagare i creditori (l’affitto della vecchia sede, i tipografi e i lavoratori, per esempio) è stata quindi decisa la vendita dell’unico bene posseduto dal Manifesto e cioè il Manifesto stesso.
Il quotidiano ha dunque lanciato oggi in prima pagina una campagna intitolata #mirirpendoilmanifesto (questo l’hashtag su Twitter) per raccogliere un milione di euro, poter partecipare all’asta e ri-acquistare collettivamente il giornale. Nel suo editoriale di oggi, Norma Rangeri scrive:
Dobbiamo, vogliamo fortemente diventare «padroni» (parola che stavolta possiamo usare), di noi stessi. Padroni di noi stessi perché non c’è chi più di noi possa reclamarne il diritto di esserlo. Perché in tutti questi anni abbiamo imparato che l’indipendenza è stata ed è la grande forza del manifesto.
Non abbiamo un editore, né un socio finanziatore, nessuno che ci dica quello che dobbiamo fare o non fare. A volte, nei momenti più difficili, farebbe comodo avere un editore dalle spalle forti. Ma si tratta di un pensiero fugace, perché non si può cambiare la natura di questa particolare voce della sinistra, perché un editore unico snaturerebbe la storia del giornale.
Ed è proprio l’esito che vorremmo scongiurare: evitare che il manifesto finisca in altre mani.
Questo compito non può essere affrontato e garantito solo dal collettivo. Perciò abbiamo bisogno di una forte mobilitazione di tutti voi. La «partita» va chiusa entro Natale. E noi dobbiamo giocarla e vincerla.
Possiamo farlo soltanto insieme: noi e voi, voi e noi.
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