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  • Martedì 4 novembre 2014

Il Manifesto ha lanciato una campagna per raccogliere entro dicembre 1 milione di euro per acquistare la testata che andrà all’asta

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Entro la fine dell’anno i liquidatori del Manifesto metteranno all’asta la testata. La storia degli ultimi due anni al Manifesto, quella almeno di una crisi finanziaria divenuta sempre più profonda e che ha messo a rischio, come mai prima, l’esistenza del giornale, è stata raccontata pubblicamente sulle sue pagine: è piuttosto complicata e l’abbiamo spiegata qui.

A causa dei conti in passivo, nel febbraio del 2011 i soci avevano deciso all’unanimità (come unica alternativa al fallimento) di avviare la liquidazione coatta amministrativa. Alla fine del 2012 i liquidatori – che nel frattempo avevano assunto la gestione provvisoria del giornale – avevano avviato ufficialmente le procedure per la vendita che non era però andata a buon fine (le offerte d’acquisto erano state giudicate ben al di sotto del valore della testata). Subito dopo il fallimento della vendita era nata al Manifesto una nuova cooperativa (più ridotta rispetto alla vecchia e composta da oltre 40 soci) che da gennaio 2013 era tornata a gestire il giornale in totale autonomia affittandolo per 20 mila euro dai commissari liquidatori. Il pagamento dell’affitto mensile forniva una rendita alla liquidazione stessa rendendo meno urgente la questione della vendita. La procedura della liquidazione è però nel frattempo proseguita ed è stato deciso dai liquidatori di portarla a termine entro il 2014: per ripagare i creditori (l’affitto della vecchia sede, i tipografi e i lavoratori, per esempio) è stata quindi decisa la vendita dell’unico bene posseduto dal Manifesto e cioè il Manifesto stesso.

Il quotidiano ha dunque lanciato oggi in prima pagina una campagna intitolata #mirirpendoilmanifesto (questo l’hashtag su Twitter) per raccogliere un milione di euro, poter partecipare all’asta e ri-acquistare collettivamente il giornale. Nel suo editoriale di oggi, Norma Rangeri scrive:

Dob­biamo, vogliamo for­te­mente diven­tare «padroni» (parola che sta­volta pos­siamo usare), di noi stessi. Padroni di noi stessi per­ché non c’è chi più di noi possa recla­marne il diritto di esserlo. Per­ché in tutti que­sti anni abbiamo impa­rato che l’indipendenza è stata ed è la grande forza del mani­fe­sto.

Non abbiamo un edi­tore, né un socio finan­zia­tore, nes­suno che ci dica quello che dob­biamo fare o non fare. A volte, nei momenti più dif­fi­cili, farebbe comodo avere un edi­tore dalle spalle forti. Ma si tratta di un pen­siero fugace, per­ché non si può cam­biare la natura di que­sta par­ti­co­lare voce della sini­stra, per­ché un edi­tore unico sna­tu­re­rebbe la sto­ria del giornale.

Ed è pro­prio l’esito che vor­remmo scon­giu­rare: evi­tare che il mani­fe­sto fini­sca in altre mani.

Que­sto com­pito non può essere affron­tato e garan­tito solo dal col­let­tivo. Per­ciò abbiamo biso­gno di una forte mobi­li­ta­zione di tutti voi. La «par­tita» va chiusa entro Natale. E noi dob­biamo gio­carla e vincerla.

Pos­siamo farlo sol­tanto insieme: noi e voi, voi e noi.

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