Perché Ferrari sarà scorporata da Fiat

Le decisioni prese ieri da Sergio Marchionne e da FCA, spiegate ai non addetti ai lavori

di Andrea Fiorello – @andreafiorello

Mercoledì il consiglio d’amministrazione di Fiat Chrysler Automobiles N.V. (FCA) – la società di diritto olandese con domicilio fiscale nel Regno Unito nata il 12 ottobre 2014 dall’unione dei produttori automobilistici Fiat e Chrysler – si è riunito per la prima volta nella sua nuova sede di Londra, nel West End, e ha preso decisioni molto importanti per il futuro del gruppo, di cui fanno parte i marchi Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Abarth, Maserati, Ferrari, Chrysler, Dodge, Mopar, RAM, SRT e Jeep. I provvedimenti approvati dal consiglio di amministrazione di FCA sono tre: separare Ferrari dal gruppo; quotare sulla borsa di New York (e forse in una borsa europea) il 10 per cento delle azioni di Ferrari; vendere cento milioni di azioni di FCA ed emettere un prestito obbligazionario a conversione obbligatoria con scadenza nel 2016 del valore di 2,5 miliardi di dollari, pari a circa due miliardi di euro.

Con queste operazioni finanziarie Sergio Marchionne, amministratore delegato di FCA, ha detto agli analisti che il gruppo prevede di guadagnare circa quattro miliardi di euro, che serviranno per finanziare parzialmente i 48 miliardi di euro d’investimenti che FCA aveva annunciato il 6 maggio scorso, in occasione della presentazione del piano industriale fino al 2018. Nello specifico, sembra che i quattro miliardi saranno spesi per rilanciare la produzione Alfa Romeo negli stabilimenti italiani: quello di Cassino, dove verrà costruita la nuova berlina Alfa Romeo Giulia, e quello di Mirafiori, dove dalla fine del 2015 sarà prodotto il SUV Maserati Levante e in un secondo tempo un crossover Alfa Romeo.

I comunicati stampa del consiglio d’amministrazione di FCA non precisano i dettagli delle operazioni finanziarie annunciate, ma con i dati a disposizione è già possibile cominciare a descrivere le potenziali conseguenze delle manovre annunciate, che nei piani del gruppo dovrebbero essere realizzate tra la fine del 2014 e il 2015.

La separazione di Ferrari
Oggi la Ferrari è una società per azioni di diritto italiano non quotata in borsa, le cui azioni cioè non possono essere comprate e vendute su un mercato finanziario, ed è posseduta per il 90 per cento dalla FCA e per il restante 10 per cento da Piero Ferrari, figlio del fondatore Enzo Ferrari. Il consiglio d’amministrazione di FCA ha deciso che nel 2015 separerà Ferrari dal resto del gruppo, offrendo sul mercato della borsa di New York e in una borsa europea (non è stato specificato se sarà Milano) un 10 per cento delle azioni e trasferendo il restante 80 per cento di sua proprietà agli azionisti di FCA, secondo le loro quote in quest’ultima.

Al termine di quest’operazione l’80 per cento di Ferrari non sarà più di proprietà FCA ma direttamente dei suoi soci, tra i quali c’è Exor S.p.A. – la società holding con cui la famiglia Agnelli controlla il 30 per cento di FCA – che secondo le proporzioni finirebbe per possedere il 24 per cento (il 30 per cento dell’80 per cento) delle azioni Ferrari. Giornalisti ed esperti dicono che la separazione di Ferrari sarà fatta in modo che la somma delle azioni di Exor (24 per cento) e di Piero Ferrari (10 per cento) risulti nel 51 per cento dei diritti di voto in assemblea, frazione che darebbe loro la maggioranza assoluta in qualsiasi decisione presa dalla società. Questo espediente, fatto per evitare che un investitore “esterno” possa comprare la maggioranza delle azioni e controllare la Ferrari, è possibile assegnando un numero maggiore di voti alle azioni di alcuni soci secondo criteri prestabiliti, come il possesso continuato di azioni per un periodo lungo, che favorirebbe proprio i soci storici come la famiglia Agnelli e l’erede Ferrari.

Il valore del 10 per cento di azioni Ferrari che verranno vendute alla borsa di New York è stato stimato in circa un miliardo di euro, ma i restanti tre miliardi di cui ha parlato Sergio Marchionne verranno dalle altre due operazioni decise ieri.

La vendita di azioni FCA e il prestito obbligazionario
Secondo la società di consulenze Brand Finance, Ferrari è il brand più importante al mondo – più di Apple, per dire – ed economicamente è un’azienda che produce grossi profitti: per questa ragione FCA crede che l’opportunità per i suoi soci di diventare anche soci Ferrari, al momento della separazione nel 2015, spingerà gli investitori ad acquistare azioni FCA, che il gruppo metterà in vendita sulla borsa di New York in un numero massimo di cento milioni. Questa operazione, prevista entro la fine del 2014, porterà due conseguenze positive per FCA: farà aumentare il numero di azioni scambiate (in linguaggio tecnico “flottante”) sul mercato americano, che finora è stato piuttosto indifferente nei confronti della quotazione FCA iniziata il 13 ottobre scorso, e rimetterà in circolazione i 54 milioni di azioni restituite dagli ex soci Fiat che ad agosto si opposero alla fusione di quest’ultima nel gruppo Fiat Chrysler Automobiles. La vendita di queste azioni dovrebbe portare, secondo le stime riferite all’attuale prezzo di mercato dei titoli FCA, un altro miliardo di euro nelle casse di Fiat Chrysler Automobiles.

L’ultima operazione approvata dal consiglio d’amministrazione di mercoledì è l’emissione sulla borsa di New York di obbligazioni a conversione obbligatoria per circa due miliardi di euro. Le obbligazioni sono quote di un prestito che i risparmiatori possono decidere di fare a un’azienda, queste quote danno diritto a interessi e alla restituzione del capitale prestato all’azienda, in modo simile a quello che accade nei mutui o nei prestiti alle persone. La particolarità delle obbligazioni che FCA emetterà è che sono a conversione obbligatoria (per questo si chiamano anche “prestito convertendo”): vuol dire che alla loro scadenza la società non restituirà il capitale consegnato dal risparmiatore, ma lo convertirà in azioni della società stessa.

L’emissione di questo tipo di obbligazioni è un modo che l’azienda ha di ottenere un prestito senza dare segnali negativi al mercato: l’obbligo di conversione in azioni, infatti, sottintende che la dirigenza di una società si aspetta che le sue attività andranno bene e genereranno un aumento del prezzo delle azioni, che costituirà un guadagno per il sottoscrittore dell’obbligazione.