La disuguaglianza di genere nel mondo

Cosa dicono i dati raccolti quest'anno dal World Economic Forum: per esempio che le cose migliorano molto in Rwanda e peggiorano in Italia

A father and his son walk in a forest, near Saint-Maur-des-Fossés eastern Paris, on October 9, 2010. AFP PHOTO BORIS HORVAT (Photo credit should read BORIS HORVAT/AFP/Getty Images)
A father and his son walk in a forest, near Saint-Maur-des-Fossés eastern Paris, on October 9, 2010. AFP PHOTO BORIS HORVAT (Photo credit should read BORIS HORVAT/AFP/Getty Images)

Ogni anno dal 2006 il World Economic Forum (WEF) pubblica una ricerca che quantifica le disparità di genere in vari paesi del mondo: il Global Gender Gap Report. Il rapporto permette di fare una comparazione tra paesi e individuare i miglioramenti e i peggioramenti in base a quattro criteri: economia (si considerano salari, partecipazione e leadership), salute (aspettative di vita e rapporto tra sessi alla nascita), istruzione (accesso all’istruzione elementare e superiore) e politica (rappresentanza). Va subito precisato che il rapporto non misura la qualità della vita in generale delle donne o il loro livello di libertà – non tiene conto, per esempio, di questioni come il diritto all’aborto o il livello della violenza di genere – ma misura semplicemente il divario quantitativo tra uomini e donne in quattro settori della società.

Nel rapporto c’è scritto che la parità di genere è «una necessità assoluta»: innanzitutto perché è una «questione di giustizia», ma anche perché la parità corrisponde a una maggiore competitività e prosperità dei paesi dal punto di vista economico. «Donne sane e istruite avranno bambini più sani e più istruiti, e questo crea un circolo virtuoso per la comunità o per il paese». Nella relazione finale, si dice poi che avere un maggior numero di donne che partecipano al processo decisionale significa anche prendere decisioni che tengano conto delle esigenze di un segmento più ampio della società e ottenere quindi dei risultati che interessano un maggior numero di persone in generale.

La situazione in generale
Dalla classifica generale – che comprende 142 paesi – risulta che nessuno ha raggiunto al 100 per cento la parità. I quattro settori considerati mostrano forti differenze tra loro. La partecipazione al mercato del lavoro e la distribuzione della ricchezza sono ancora fortemente sproporzionate tra uomini e donne: la parità, in questo settore, è arrivata al 60 per cento e i miglioramenti dal 2006 ad oggi sono stati minimi (mostrano cioè solo un più 4 per cento rispetto al 56 per cento del 2006, quando venne fatta la prima misurazione). Di questo passo ci vorranno 81 anni prima che ci sia a livello mondiale una vera e propria parità tra i sessi nel settore economico e lavorativo.

La disparità più bassa si riscontra nel settore della salute e della sopravvivenza (è al 96 per cento, ma nel 2013 era al 97) e risulta che 35 paesi abbiano in questi nove ultimi anni completamente chiuso il gap. Per quanto riguarda l’istruzione, uomini e donne hanno raggiunto la parità al 94 per cento, sempre a livello mondiale (25 paesi hanno completamente eliminato il divario). I miglioramenti più rilevanti arrivano nel settore della partecipazione alla vita politica, che però rimane anche quello in cui il divario è più ampio: la percentuale di parità è infatti solo del 21 per cento, il che significa che le donne hanno una rappresentanza che sta in un rapporto di due a dieci.

La classifica generale sulla parità dei generi è guidata (come nel 2013 e come nel 2012) dai paesi del nord Europa, che hanno ridotto la disparità di oltre l’80 per cento: Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca sono nelle prime cinque posizioni. Lo Yemen è in ultima posizione, a causa degli alti tassi di mortalità e di analfabetismo tra le ragazze di età compresa tra i 6 e i 14 anni. Solo sei paesi – Sri Lanka, Mali, Croazia, Macedonia, Giordania e Tunisia – hanno visto il loro divario di genere crescere dal 2006.

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Tra i principali paesi europei, rispetto al 2013 la Germania ha guadagnato due posizioni raggiungendo il 12esimo posto; la Gran Bretagna ha perso otto posizioni retrocedendo al 26esimo posto a causa dell’aumento dei divari retributivi; la Spagna è al 29esimo – ma nel 2007 era tra le prime 10 – e la Francia è entrata per la prima volta tra le prime venti e si trova al 16esimo posto, grazie soprattutto a un aumento del numero delle donne francesi in politica.

La posizione del Rwanda potrebbe stupire molti: è entrato per la prima volta in classifica al settimo posto e questo perché, alle elezioni del settembre 2013, le donne hanno ottenuto 51 seggi su 80 della Camera bassa. Il loro ruolo è stato poi fondamentale nella ricostruzione del paese dopo il genocidio del 1994, che causò la morte di più di 800 mila persone. Dopo il 1994 le donne – che furono molto colpite dagli scontri etnici, con abusi sessuali e stupri di massa – si trovarono a essere quasi il doppio degli uomini: tra 60 e il 70 per cento della popolazione, secondo i dati dell’ONU (oggi il divario è diminuito e rappresentano circa il 55 per cento). Hanno iniziato allora a essere più attive rispetto al passato in tutti i livelli della vita pubblica, compresa la politica.

E l’Italia?
L’Italia è al 69esimo posto (con un punteggio di 0,697 su 1) su 142 paesi, guadagnando due posizioni rispetto all’anno scorso. Il livello più alto nella classifica generale dell’Italia si è registrato nel 2008, quando era al 67esimo posto.

Per quanto riguarda il settore economico, l’Italia nel 2014 è però peggiorata notevolmente rispetto all’anno precedente passando dal 97esimo posto al 114esimo, la posizione più bassa mai registrata dal 2006. Uno degli indici peggiori in questo ambito riguarda la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro (88esima posizione) e la retribuzione a parità di mansioni, per cui l’Italia è 129esima (nel 2014 una donna ha guadagnato il 48 per cento dello stipendio medio di un uomo). Per fare un paragone: in Danimarca le donne guadagnano il 71 per cento degli uomini che svolgono lo stesso lavoro, in Germania il 63, in Francia il 50, in Spagna il 54.

Ad aver fatto migliorare l’Italia nella classifica generale è il fattore della rappresentanza politica (l’Italia è al 37esimo posto). Per differenza nel livello di scolarizzazione tra uomini e donne, l’Italia è al 62esimo posto; per quanto riguarda le aspettative di vita in buona salute è al 70esimo.

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