Gli Stati Uniti minacciarono Yahoo affinché consegnasse i dati degli utenti alla NSA

Nel 2008 la società si rifiutò di partecipare al programma di spionaggio PRISM, ma un tribunale speciale le diede torto

Nel 2008 il governo degli Stati Uniti minacciò una multa giornaliera di 250mila dollari contro Yahoo se la società non avesse iniziato a partecipare al programma di raccolta dati sulle comunicazioni online PRISM avviato dalla National Security Agency (NSA), l’agenzia governativa che si occupa delle attività di spionaggio all’estero. Yahoo inizialmente si era rifiutata di partecipare, sostenendo che la richiesta fosse incostituzionale e portando il caso in tribunale. La Foreign Intelligence Surveillance Court of Review, la corte che si occupa dello spionaggio all’estero, stabilì che la richiesta del governo statunitense fosse legittima e di conseguenza Yahoo fu costretta a partecipare, fornendo una grande quantità di dati sulle comunicazioni dei propri utenti.

La sentenza persa da Yahoo, scrive il Washington Post, divenne un’importante risorsa per la NSA, che riuscì a coinvolgere più facilmente altre grandi società informatiche statunitensi. Nei mesi seguenti all’avvio della partecipazione “forzata” di Yahoo, aziende come Google, Facebook e Apple iniziarono a fornire su base regolare file e dati sulle comunicazioni dei loro utenti. Microsoft aveva già iniziato a farlo prima della sentenza contro Yahoo, come era emerso in precedenza grazie ai documenti forniti un anno fa dall’ex collaboratore dello spionaggio statunitense, Edward Snowden, al centro delle rilevazioni su PRISM e sui sistemi adottati dagli Stati Uniti per spiare le comunicazioni di centinaia di milioni di persone in giro per il mondo.

I documenti sulla sentenza contro Yahoo sono stati resi pubblici solo di recente, in seguito a una decisione della Foreign Intelligence Surveillance Court e della Foreign Intelligence Survellaince Court of Review, nell’ambito dell’iniziativa portata avanti dal governo degli Stati Uniti per fare chiarezza sulla vicenda della NSA. Una prima versione dei documenti legali sulla causa persa da Yahoo era stata pubblicata nel 2009, ma le oltre 1.500 pagine erano state pesantemente modificate ed erano piene di omissioni, al punto da essere praticamente incomprensibili.

Yahoo ha pubblicato sul proprio blog un post in cui ricorda che “la documentazione sottolinea quanto fummo costretti a combattere per contrastare le richieste di sorveglianza portate avanti dal governo degli Stati Uniti”. Nei mesi dopo le rilevazioni su PRISM rese possibili da Snowden, tutte le grandi società informatiche coinvolte hanno avviato campagne e iniziative per dimostrare di essere state di fatto costrette a fornire i dati al governo e di non avere avuto alternativa. Sono stati pubblicati rapporti sulla trasparenza nei quali sono elencate le richieste che le società sono state autorizzate a rendere pubbliche, ma secondo diverse associazioni per la tutela della privacy online ci sono ancora molto punti da chiarire, anche sul ruolo delle società informatiche nella vicenda.

Uno dei documenti governativi citati nella causa persa da Yahoo, e che risale al febbraio del 2008, cita la possibilità che il programma di sorveglianza possa portare all’intercettazione in modo incidentale di comunicazioni tra cittadini statunitensi. La NSA può solo svolgere attività di spionaggio all’estero, raccogliendo dati e informazioni senza particolari ostacoli legali, mentre per spiare un cittadino statunitense sono previste autorizzazioni di tribunale aggiuntive, da analizzare caso per caso. Per questo motivo Yahoo fece ricorso, sostenendo che l’eventuale controllo di comunicazioni tra cittadini statunitensi avrebbe violato la Costituzione, e nello specifico il quarto emendamento che vieta perquisizioni e controlli senza un mandato stabilito da un giudice. La corte competente stabilì che il governo degli Stati Uniti avesse messo in piedi sistemi di protezione e garanzia sufficienti per evitare che si violasse la Costituzione, e di conseguenza diede torto a Yahoo.

Ottenuto il consenso della corte, il governo degli Stati Uniti minacciò di multare Yahoo con una ammenda da 250mila dollari al giorno, fino a quando la società non avesse iniziato a collaborare. La società fu quindi costretta ad avviare la collaborazione, ma nel frattempo fece appello contro la decisione dei giudici, perdendo anche quello alcuni mesi dopo.