Quale è il segreto per vivere a lungo e felici?

Tanto per cominciare: non ascoltare i consigli degli studi scientifici che spiegano come vivere felici e a lungo

di Ray Fisman

Nel film Il Dormiglione di Woody Allen, il protagonista Miles Monroe (interpretato dallo stesso Allen), viene congelato e risvegliato dopo 200 anni. I dottori che lo esaminano nel Ventiduesimo secolo sono affascinati dalle sue superstizioni sulla dieta e sulla salute:

Dr. Melik: Questa mattina ha chiesto per colazione qualcosa chiamato “germi di grano”, “miele organico” e “latte di tigre”.
Dr. Aragon: [ridacchiando] Oh si. Queste erano le sostanze che qualche anno fa si credeva possedessero proprietà salutistiche.
Dr. Melik: Intende dire che non c’erano grassi saturi? Bistecche? Torte? Cioccolata calda?
Dr. Aragon: Questi erano i cibi che credevamo insalubri… esattamente l’opposto di quello che oggi sappiamo essere vero.
Dr. Melik: Incredibile.

Sono passati più di 40 anni dall’uscita al cinema del film di Allen, ma la sua satira delle ricerche sulla salute umana è ancora tristemente attuale. Questa settimana è circolato molto un articolo pubblicato su un blog del New York Times in cui si parlava di uno studio scientifico in cui si sostiene che chi corre almeno cinque minuti al giorno ha una vita più lunga in media di tre anni. Questa scoperta è stata ottenuta dopo aver aggiustato i risultati in base ad alcune caratteristiche dei soggetti esaminati – il loro sesso, se erano fumatori o meno, storie cliniche di famiglia e così via.

Il problema con questi studi – e di molti studi simili su quello che ci fa o non ci fa vivere più a lungo – è che le persone in salute sono molto diverse da quelle meno sane. Si può tenere conto di alcune differenze tra chi corre e chi non corre, come ad esempio l’altezza, il peso, l’età, il fatto che fumino o meno (come è stato fatto per lo studio sulla corsa). Ma inevitabilmente tra corridori e non corridori ci sono differenze che non possono essere conteggiate: forse i corridori dormono in media a lungo, oppure mangiano più mandorle o more; magari hanno un lavoro meno stressante che favorisce la possibilità di fare un po’ di esercizio fisico. Magari sono meno depressi perché devono fare meno strada per andare al lavoro, oppure il percorso che li riporta a casa li costringe a camminare più che a guidare. In altre parole: la lista di caratteristiche e abitudini, ognuna delle quali può contribuire alla lunghezza della vita, si estende all’infinito. È il correre cinque minuti al giorno che allunga la vita? O una di queste infinite differenze che non sono state considerate?

Oggi gli scienziati sociali prendono queste preoccupazioni molto più seriamente che in passato: viviamo accompagnati dal mantra che recita “correlazione non implica causalità”. Come risultato, facciamo sempre più “studi randomizzati”, il tipo di metodo che viene utilizzato da decenni nel settore della ricerca biomedica. Ecco come funziona: mettiamo di voler scoprire che differenza fa per un bambino essere in una classe insieme ad altri 22 studenti o in una di quindici. Semplice: si prende un gruppo a caso di bambini e li si mette in una classe piccola mentre un altro gruppo, scelto altrettanto a caso, viene messo in una classe più grande. Per definizione, in uno studio di questo tipo non ci possono essere differenze non considerate tra i due gruppi, visto che l’assegnazione all’una o all’altra classe è avvenuta in maniera del tutto casuale.

Sfortunatamente, gli scienziati sociali che studiano la salute sono molto indietro rispetto ai loro colleghi medici che utilizzano gli studi randomizzati. Per esempio secondo Amy Finkelstein, economista del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che sostiene la necessità di un utilizzo maggiore di questo tipo di esperimenti, meno del 20 per cento delle ricerche commissionate dal sistema sanitario americano (studi fatti per scoprire, ad esempio, come spingere i pazienti a prendere le medicine o come evitare che si facciano ricoverare in ospedale per lo stesso problema) vengono fatti con studi randomizzati. D’altro canto, più dell’80 per cento degli studi sui trattamenti medici (quindi ricerche sulle medicine e sui dispositivi medici) è randomizzato.

Certo, applicare questo tipo di studi alle scienze sociali non è affatto semplice. Ed è difficile costringere un gruppo di persone prese a caso a fare esercizio oppure costringere un gruppo di controllo, preso altrettanto a caso, a rimanere sedentario; anche se non impossibile – future ricerche potrebbero prevedere degli incentivi economici al fare esercizio e quindi studiare l’impatto della corsa. Ma per ora che cosa possiamo fare? Di sicuro non è una cattiva idea fare un po’ di corsa al giorno. E mentre lo fate, magari, bevete un bicchiere di vino e mangiate un po’ di cioccolata. Probabilmente non vi farà male e magari vi farà vivere più a lungo. Magari.

Ma il miglior consiglio per avere una vita bilanciata arriva da un altro film classico. Alla fine del Senso della vita, del gruppo comico inglese Monthy Python, il narratore riceve una busta con i seguenti consigli: “Cerca di essere gentile con le persone, evita di mangiare cibi grassi, leggi un buon libro ogni tanto, fa qualche passeggiata e cerca di vivere in armonia con i popoli di tutti i credi e di tutte le nazioni”. Si tratta di un consiglio saggio, almeno fino a che leggeremo sul Times della prossima settimana che le bistecche grasse e le torte alla crema sono, in effetti, la chiave per l’immortalità.

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