• Mondo
  • Mercoledì 23 luglio 2014

La sospensione dei voli a Tel Aviv

Le principali compagnie aeree statunitensi ed europee non volano verso l'aeroporto Ben Gurion, mancato di poco da un razzo palestinese

Aggiornamento delle 18.45: La Federal Aviation Administration ha esteso la sospensione dei voli da e per l’aeroporto di Tel Aviv per altre 24 ore.

***

Martedì 22 luglio un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza da miliziani palestinesi è caduto a poca distanza dall’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, in territorio israeliano. Due persone sono rimaste ferite e l’attacco ha spinto diverse importanti compagnie aeree statunitensi ed europee a sospendere i loro voli verso Israele. Tra le compagnie con base in Europa che hanno cancellato i voli ci sono Air France, Alitalia, Lufthansa ed Easyjet. La Federal Aviation Administration, l’ente governativo degli Stati Uniti che regola l’aviazione civile, ha imposto nel pomeriggio di martedì un divieto di utilizzare l’aeroporto per 24 ore a tutte le compagnie aeree statunitensi dopo che due delle maggiori avevano deciso autonomamente in questo senso.

In seguito alla sospensione dei voli, il ministro dei trasporti di Israele ha commentato dicendo che si tratta di una sorta di concessione al terrorismo. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha chiesto al segretario di stato americano John Kerry di aiutarlo a ripristinare i voli. Per il sentire degli israeliani – abituati a una straordinaria coesistenza di stato di guerra e svolgimento di “normalità” – la limitazione della possibilità di entrare e uscire dal paese è una svolta molto critica. Gli Stati Uniti hanno però spiegato che la decisione della FAA è basata sui possibili pericoli che ci potrebbero essere per gli aerei statunitensi presso il Ben Gurion, e che si atterranno alle decisioni dell’agenzia.

L’offensiva via terra da parte di Israele, iniziata giovedì 17 luglio, è proseguita con nuovi attacchi e operazioni militari contro Hamas e altri gruppi di miliziani, che nelle ultime settimane hanno lanciato razzi verso il territorio israeliano. Le autorità della Striscia di Gaza dicono che in tutto sono morti almeno 637 palestinesi e che oltre 4mila persone sono rimaste ferite. Secondo le Nazioni Unite, la maggior parte delle persone uccise erano civili, con un numero consistente di donne e bambini.

L’esercito di Israele ha annunciato di avere ucciso fino a ora 170 miliziani grazie ai suoi bombardamenti aerei durati una decina di giorni e alla conseguente invasione di terra. Nelle due settimane del conflitto, sono morti 28 soldati israeliani e due civili nel territorio di Israele. Altri due soldati sono stati uccisi martedì sera, come riporta la notizia di apertura del quotidiano israeliano Haaretz. Di un soldato disperso non è ancora chiaro se sia stato ucciso o se, come diceva una notizia senza conferme affidabili, sia stato catturato da Hamas.

Le Nazioni Unite hanno organizzato centri di accoglienza per i rifugiati. Si stima che campi e scuole allestiti negli ultimi giorni siano stati raggiunti da quasi 120mila persone in cerca di riparo. Circa la metà del territorio della Striscia di Gaza è stato interessato da avvisi di evacuazione negli ultimi giorni, cosa che ha indotto molte persone a cercare rifugio altrove.

Nelle ultime ore sono intanto falliti i primi tentativi di organizzare una nuova tregua tra Israele e Hamas, portati avanti soprattutto da Kerry e dal segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki-moon. Entrambi hanno chiesto che le due parti fermino le violenze e concordino un cessate il fuoco, ma l’invito non è stato raccolto. Netanyahu ha detto che la colpa di una mancata tregua deve ricadere su Hamas, che ha rifiutato tutte le recenti proposte per interrompere il conflitto. Hamas ha definito inaccettabili le condizioni poste dalle proposte di tregua, perché non prevedono nuove e chiare regole sulla possibilità per gli abitanti della Striscia di Gaza di ottenere alimenti e altri beni dall’esterno senza gli strettissimi controlli al confine di Israele. Il governo israeliano da anni gestisce una sorta di embargo per impedire che all’interno della Striscia arrivino munizioni e armi per i miliziani.

Rami Hamdallah, il primo ministro palestinese, ha detto che non ci potrà essere un accordo per una tregua duratura se prima non si affronterà il problema del blocco ai confini della Striscia di Gaza. Incontrando Ban Ki-moon, Hamdallah ha detto che “è tempo di fermare l’assedio”, condizione minima per discutere una nuova tregua tra Israele e palestinesi.