La riforma del Senato fa un altro passettino

Il testo base è stato approvato in commissione ma si discute di due parole («tenuto conto») e siamo ancora lontani da un vero accordo: lunedì il ddl arriva in aula

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
09-07-2014 Roma (Italia)
Politica
Senato - Commissione Affari Costituzionali
Nella foto Roberto Calderoli, Anna Finocchiaro

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
09-07-2014 Rome (Italy)
Senate - Constitutional Affairs Committee
In the photo Roberto Calderoli, Anna Finocchiaro
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Giovedì 10 luglio i due vicesegretari del Partito Democratico, Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini, hanno dichiarato in una nota: «Siamo certi che l’aula saprà confermare in tempi rapidi l’impianto del nuovo Senato uscito dalla commissione». La commissione a cui si fa riferimento è quella degli Affari Costituzionali presieduta da Anna Finocchiaro (PD), che nel tardo pomeriggio di ieri ha dato il via libera al testo per le riforme costituzionali.

La versione del ddl della commissione costituirà la base della discussione in aula che inizierà il prossimo lunedì alle ore 11. Il testo dovrà essere votato al Senato e alla Camera per due volte con una maggioranza di almeno due terzi. Visto che si tratta di una modifica alla Costituzione, se non riuscirà a ottenere i due terzi dei voti la legge dovrà essere confermata da un referendum (per il quale non è previsto quorum).

La giornata di giovedì in commissione è stata piuttosto complicata, tanto che sono in molti oggi a spiegare che non si è arrivati ad un vero e proprio accordo sul testo ma a un compromesso, e che dunque altre modifiche sono ancora possibili. L’approvazione del testo in commissione – che sarebbe dovuta avvenire entro la mattinata di giovedì, con conseguente inizio della discussione in aula nel pomeriggio – ha subìto un ritardo per il dissenso di alcuni partiti e componenti della commissione stessa su alcune questioni: la principale ha a che fare con il metodo di elezione indiretta dei nuovi senatori.

Fino a qui
Ci sono stati molti episodi che hanno portato a un sostanziale rallentamento del progresso della riforma: il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato a maggio che entro il 10 giugno ci sarebbe stato il primo voto in Senato sulla riforma. C’è stata la questione dell’ordine del giorno del relatore di minoranza Roberto Calderoli (che avevamo raccontato qui) e che era passato anche grazie all’astensione del senatore PD Corradino Mineo; quella della controversa rimozione dalla commissione dello stesso Mineo e di Vannino Chiti; quella dell’autosospensione, poi rientrata, di 14 senatori del PD; e quella, infine, sull’immunità.

Giovedì in commissione
L’ultimo episodio è avvenuto ieri ma è stato risolto dopo qualche ora. Roberto Calderoli aveva sollevato dei dubbi sulle modalità dell’elezione dei senatori tra i consiglieri regionali (ci torneremo) dicendo: «l’accordo sulle riforme è saltato, così non va, non c’è accordo. A questo punto andiamo in Aula lunedì e lì scioglieremo i nodi». Poi è intervenuto Quagliariello del Nuovo Centro Destra: «Siamo contrari all’idea che il nuovo Senato non solo non verrà eletto dai cittadini ma neppure dai consigli regionali».

Infine un gruppo di 22 senatori di Forza Italia aveva chiesto un rinvio: «Alla luce della riunione dei gruppi parlamentari prevista con Silvio Berlusconi nei prossimi giorni, i sottoscritti senatori chiedono il rinvio dell’incardinamento in Aula del testo di riforma del Parlamento allo scopo di ottenere il risultato unitario che vogliamo garantire al presidente Silvio Berlusconi e al processo di riforme urgenti che il Paese attende». Hanno approfittato della situazione SEL e Movimento 5 Stelle, contrari alla riforma, iniziando a fare opposizione in commissione per tutta la giornata finché, dopo una sospensione e un incontro tra il ministro Maria Elena Boschi, Calderoli e Quagliariello, è stato dato il via libera al testo. Resta poi il dissenso all’interno del PD rappresentato dal senatore Vannino Chiti, che ha definito il testo base un «pasticciaccio immondo».

Il testo
Il testo di legge base uscito dalla commissione prevede una profonda modifica del cosiddetto bicameralismo perfetto, l’attuale assetto istituzionale in cui Camera e Senato fanno sostanzialmente le stesse cose. La Stampa ha riassunto i sei punti principali del ddl sul nuovo Senato:

1. Il nuovo Senato
Sarà composto da 100 membri: 5 nominati dal Capo dello Stato, 95 eletti dai consigli regionali (tra cui 74 consiglieri e 21 sindaci).

2. Le funzioni
La nuova camera delle autonomie avrà funzioni ridotte rispetto all’attuale Senato, per esempio non voterà la fiducia al governo.

3. La Camera
Non cambia nulla per i 630 deputati che siedono a Montecitorio: bocciati gli emendamenti che ne chiedevano la riduzione.

4. Il capo dello Stato
All’elezione non parteciperanno i 58 Consiglieri regionali, sale il quorum per l’elezione: maggioranza qualificata per i primi 8 scrutini

5. Il Titolo V
Vengono ridefinite le competenze tra Stato e Regioni e viene introdotto il principio dei costi standard (gli articoli interessati sono il 117 e il 119)

6. I referendum
Per presentare un referendum abrogativo serviranno 800 mila firme (oggi sono 500 mila), il quorum scatta se si reca alle urne la metà dei votanti alle ultime politiche

Tra le principali modifiche intervenute nel passaggio in Commissione (e che sono elencate sul blog di Stefano Ceccanti) la principale ha riguardato il sistema di elezione indiretta dei futuri senatori, che verranno votati dai consiglieri regionali con listini bloccati predisposti dai partiti. In particolare ci sono due parole contenute in un emendamento al ddl della relatrice Finocchiaro, inserito d’intesa con il governo e Forza Italia, con quello che modifica l’articolo 57 della Costituzione: «tenuto conto». L’emendamento prevedeva la spartizione dei seggi dei senatori che spettano ai partiti in ogni regione con «sistema proporzionale, tenuto conto», però, «della composizione di ciascun consiglio regionale». Scrive il Corriere della Sera:

Questo principio inserito in Costituzione avrebbe significato premiare, in termini di seggi senatoriali, solo il primo partito della maggioranza e il primo dell’opposizione. Pd e FI, appunto. Per cui Lega e Ncd hanno alzato gli scudi, chiedendo che il principio elettorale scolpito nella Costituzione fosse uno solo: un metodo proporzionale per assegnare i seggi del Senato. Punto. E così è andata, almeno in parte. Con legge ordinaria, dunque, si provvederà a stabilire che i seggi saranno attribuiti «in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio». Sembra questione di lana caprina ma così non è, insiste Calderoli, perché «questo può significare molti seggi senatoriali in più o in meno legati al premio di maggioranza che c’è nelle leggi elettorali regionali».

Secondo quanto spiegato da Calderoli, insomma, la modalità di elezione dei senatori da parte dei consigli regionali sarà stabilita da una legge ordinaria e dovrà tenere conto sia della composizione di ciascun Consiglio regionale (e cioè della consistenza dei gruppi), che del risultato elettorale (cioè della percentuale dei voti effettivamente presi). Poiché il sistema elettorale delle regioni prevede ovunque il premio di maggioranza saranno tutelati i piccoli partiti rispetto agli altri nella composizione del nuovo Senato.