Una vita da Eduard Shevardnadze
È morto l'ex presidente della Georgia, ma soprattutto lo storico ministro degli Esteri sovietico importantissimo nella politica della distensione promossa da Gorbaciov
Lunedì 7 luglio è morto Eduard Shevardnadze: aveva 86 anni ed era malato. Nel 1995 era diventato presidente della Georgia, da poco indipendente, ma nel novembre 2003 venne rovesciato dalla cosiddetta “rivoluzione delle rose”. Fu anche l’ultimo ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica e ebbe un ruolo importantissimo nella politica di distensione internazionale promossa da Michail Gorbaciov.
Shevardnadze nacque nel 1928 a Lanchkhuti, otto anni dopo che la Georgia – a quel tempo Repubblica Socialista Sovietica di Georgia – entrò a far parte dell’Unione Sovietica. Nel 1946 si unì al movimento giovanile del Partito Comunista di cui divenne ben presto primo segretario (1972-1985). A partire dagli anni Sessanta si fece notare dal governo sovietico per la sua lotta contro la corruzione condotta contro molti funzionari locali. Sotto la sua guida la Georgia conobbe un periodo di crescita economica, sia in campo industriale che agricolo, grazie a una importante riforma che restituiva il potere decisionale a livello dei governi locali. Nel 1985, in seguito all’elezione di Michail Gorbaciov, e in quanto giovane riformista, Shevardnadze divenne ministro degli esteri dell’Unione Sovietica sostituendo Andrej Gromyko, storico responsabile delle relazioni con l’estero dell’URSS in carica da quasi trent’anni.
Shevardnadze fu il promotore della “Dottrina Sinatra”, nome che il governo sovietico usò – facendo riferimento alla canzone “My way” di Frank Sinatra – per descrivere una nuova politica estera basata sulla non ingerenza nella politica interna dei paesi dell’est che facevano parte del cosiddetto blocco comunista. In base a questa linea, Shevardnadze impedì diversi interventi armati per reprimere i movimenti popolari di protesta, andando dunque contro il principio leninista di solidarietà internazionalista fra le forze socialiste mondiali.
In contrasto con le politiche economiche di Gorbaciov, Shevardnadze si dimise nel dicembre 1990, ma fu nominato nuovamente nel novembre del 1991. Dopo un mese, si dimise insieme a Michail Gorbaciov e al resto del governo, quando cioè l’Unione Sovietica fu formalmente sciolta.
Diventata una Repubblica indipendente nel 1991, la Georgia attraversò una lunga fase di instabilità interna, dovuta soprattutto agli scontri etnici che erano esplosi dopo il distacco dall’URSS. Tornato in Georgia nel marzo del 1992, Shevardnadze divenne capo del Consiglio di stato cioè di un organismo provvisorio che aveva ampi poteri e che era stato costituito dai militari che avevano deposto il presidente Gamsachurdia. Affrontò anche le aspirazioni indipendentiste delle repubbliche autonome dell’Ossetia meridionale e dell’Abcasia.
La nuova Costituzione fu approvata nel 1995 e Shevardnadze fu eletto presidente della Repubblica: mentre stava salendo in macchina per andare al Palazzo della Gioventù di Tbilisi dove lo aspettavano i deputati per la cerimonia della firma della nuova Costituzione, subì un attentato (non fu comunque il primo: ne scampò almeno altri due durante la guerra civile). In quell’occasione un’auto esplose e Shevardnadze rimase lievemente ferito al volto. Alle elezioni del 2000 fu riconfermato. Le elezioni parlamentari del 2003, vinte dalla coalizione di Shevardnadze, furono però fortemente contestate dall’opposizione guidata da Saakašvili con grandi movimenti di piazza (la cosiddetta Rivoluzione delle Rose) e fino all’occupazione del Parlamento: Shevardnadze – che era stato accusato anche di non aver affrontato la dilagante corruzione nel paese – fu costretto alle dimissioni (siamo nel marzo del 2003). Il suo posto fu preso dallo stesso Saakašvili, sconfitto poi alle elezioni legislative dell’ottobre 2012 dalla coalizione chiamata “Sogno georgiano” guidata da Boris “Bidzina” Ivanishvili. Le presidenziali dell’ottobre del 2013, sono state vinte da uno stretto alleato di Ivanishvili: Giorgi Margvelashvili.